Domenica 28 aprile 2024 - 5 B di Pasqua (Gv 15,1-8)
Il nostro è un Dio agricoltore, che non solo odora di pecore, non solo le strappa agli attacchi dei lupi, ma che lavora anche i campi, la sua vigna. Egli ci porta a scuola in un vigneto. Quello di Israele era stata piantato in un terreno fertile, ma deluse Dio. Cominciò a produrre uva acida, ma nonostante l’infedeltà Dio non l’abbandonò, perché i doni che Dio dà non li può cancellare. Se nell’Antico Testamento Dio era il padrone della vigna, ora Gesù afferma qualcosa di nuovo: «Io sono la vite, voi siete i tralci». Diventando carne il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore si è fatto seme, il vasaio si è fatto argilla. Egli è un Dio che lavora l’uomo, così come lavora la vite per non far mancare la linfa al tralcio. «Ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto». Non solo il tralcio secco, ma anche quello vivo lo pota, per dargli più forza, perché porti più frutto.
Il tralcio non sta solo vicino alla vite, ma vive se è innestato in essa, se lascia passare la linfa. Perciò Gesù dice: «Rimanete in me e io in voi». È un’intimità che supera la distanza. Il tralcio pur unito alla vite non porta automaticamente frutto, ma deve essere potato. Il confronto costante con Gesù e con la sua Parola, è una continua e necessaria potatura. Quale tralcio desidera staccarsi dalla pianta? Come il tralcio staccato dalla vite non produce più frutto, così l’uomo separato da Cristo rischia di non riuscire più ad amare. Non basta il segno di croce, la messa domenicale, l’essere in regola con i sacramenti o la pura religiosità devozionale come un soprammobile. Staccati dalla persona di Gesù, dal Vangelo, diventiamo cristiani minorenni, infantili, incapaci di fare nostre le sue scelte. Non ci viene detto che restare uniti a Lui diventiamo famosi, fortunati e ricchi. La promessa è un’altra: «porterete molto frutto», secondo le mille modalità dell’amore.