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Domenica 1 giugno Ascensione C (Lc 24,46-53)

L’ascensione di Gesù al cielo riassume tutto il senso della sua missione e illumina i cristiani sul mistero inesprimibile della Pasqua.

L’ascensione di Gesù al cielo riassume tutto il senso della sua missione e illumina i cristiani sul mistero inesprimibile della Pasqua. Questo suo salire ci pone alla ricerca di un crocevia tra terra e cielo, di uno spiraglio che possa dura al di là del tramonto del giorno. Prima di salire compie tre gesti: invia, benedice, scompare. Manda i suoi e la chiesa in uscita perché non pongano al centro se stessi, ma il servizio all’essere umano e a tutte le vite. Alzate le mani capisce le loro fragilità e li benedice: dice bene di coloro che gli hanno voluto bene e di quelli che hanno remato contro. La chiesa nasce da quel corpo assente e da una presenza silenziosa ed efficace che sempre l’accompagna nel profondo della vita. Se prima era con i discepoli, ora sarà dentro di loro, per rimanervi e farci sperimentare che la vita è più forte di ogni ferita.

Non possiamo escludere la reazione dei discepoli che pensano: dove te ne vai Maestro? Perché ci lasci di nuovo soli? Ciascuno di noi conosce la nostalgia dolorosa di poter rivedere anche solo per un momento, per un breve attimo la persona cara che ha perduto. È il desiderio di offrire al suo volt un’ultima carezza, magari un tenero bacio e così scambiarsi uno sguardo non senza lacrime e amore. Dopo la sua morte gli apostoli hanno potuto vedere e toccare il crocifisso risorto, ma poi è sembrato un sogno. In realtà oggi il Maestro li saluta non lasciando loro una dottrina, un metodo per pregare, non con il compito di bruciare incensi e nemmeno di inginocchiarsi ad alcuna autorità, religiosa o civile che sia. Il mandato è di imparare dal suo stile di essere “per gli altri”, per quel prossimo ferito che di volta in volta rimane raggiungibile. È in quella carne che Lui si fa trovare!

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Domenica 25 maggio 2025 - 6 di Pasqua (Gv 14,23-29)

L’evangelista Giovanni concentra il messaggio di Gesù in tre parole: “dimora”, “Spirito”, “pace”. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola».

L’evangelista Giovanni concentra il messaggio di Gesù in tre parole: “dimora”, “Spirito”, “pace”. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola». Amarlo significa, come Lui, aprire la porta, dare, tendere la mano. Ricevere lo “Spirito”, inoltre, vuol dire nelle tempeste lasciarsi incoraggiare, nelle vite spente accendere il cuore, tener vivo tra le ceneri il fuoco della speranza. Il dono della “pace”, infine, non si compra e non si vende, ma piove sui cuori di ogni giorno, bagna i terreni umani in guerra, già oggi ci salva da una vita e da azioni senza cuore. Se mi ami – dice Gesù – vivrai la mia Parola, che orienta i tuoi passi, ti condure al tempio del cuore, ti guida sulla strada del voler bene. Uno si chiede: dov’è Dio? Lo cerchi e non lo trovi. Quando vediamo persone che si vogliono bene Dio è presente e ce lo raccontano.

Che cosa significa osservare la sua Parola? Nel Vangelo il rimo posto non spetta alla morale, ma alla storia di amore che viviamo con Dio. Questa parola maiuscola, che è la persona di Gesù, crea ponti, genera abbracci, accende strette di mano, spalanca stagioni nuove, semina buon seme nel campo sterile della vita. Noi pensiamo: se osservo le sue leggi, amo Dio. Ma non è così, perché puoi essere un cristiano osservante anche per paura, per cercare dei vantaggi o per dei sensi di colpa. Ci hanno insegnato: se ti penti, ti perdona. In realtà la misericordia di Dio anticipa il tuo pentimento: è già nel tuo cuore e nelle tua mani. Osservare la sua Parola è vivere nella pace che continuamente va osata e che mai assicurata. Il mondo, invece, cerca la pace come un equilibrio di paure o come la vittoria del più forte, quando in realtà va costruita con il cuore del paziente artigiano.

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Domenica 20 aprile 2025 - Pasqua (Gv 20,1-9)

Nei primi due giorni del triduo pasquale abbiamo seguito Gesù nella passione, nella morte e nella sepoltura.

Nei primi due giorni del triduo pasquale abbiamo seguito Gesù nella passione, nella morte e nella sepoltura. Il terzo giorno lo seguiamo risorto, perché colui che era realmente morto è stato risuscitato: non semplicemente vivente, ma «il Vivente». Maria di Magdala, quando ancora era buio, va al sepolcro per imbalsamare il corpo di Gesù. Gesù era morto, ma quello che si usava fare per un caro estinto andava fatto. Ma ecco la sorpresa: la tomba è vuota! Maria informa Simon Pietro e l’altro discepoli che hanno rubato il corpo e i due corrono. Il discepolo Giovanni, che Gesù amava, arriva per primo e giunge a credere, perché i segni sono eloquenti sono per il cuore che li sa leggere. Quanta fretta mossa dal legame con il Nazareno: chi ama ha sempre fretta, capisce prima, più a fondo. Le donne vogliono imbalsamarlo, i discepoli sono stupiti.

La sorpresa della tomba vuota sembra rendere ridicola Maria che va per imbalsamare l’amico Gesù. Ma questo è anche il nostro rischio quando siamo tentati di ridurre il risorto a un ricordo, a una semplice nostalgia a una speranza umanamente impossibile. Oggi il vangelo dice a Maria Maddalena e a noi: non imbalsamare Gesù, perché è vivo ed è risorto: è in mezzo a noi! Imbalsamarlo vuol dire chiuderlo in una chiesa, appenderlo muto al muro di casa, portarlo dorato con una catenina al collo. In realtà tu non hai bisogno di una sua immagine, ma di Lui, della Sua persona. Dove speri di trovarlo vivo? Non imbalsamato nella dottrina, non ingessato nella statua, non impagliato nel museo, per conservarlo nella forma che aveva da vivo, ma presente nei sofferenti, nei poveri, negli emarginati. Il risorto ci insegna che chi ama non muore mai!

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Domenica 13 aprile 2025 - Palme C (Lc 22,14-23,56)

La festa che noi chiamiamo delle Palme è il corteo che accompagna Gesù giù dal Monte degli Ulivi: c’è chi canta, chi applaude, chi stende mantelli al suo passaggio, chi agita rami di palma. Qualsiasi uomo qualsiasi re, potendolo scenderebbe dalla croce: Lui no.

La festa che noi chiamiamo delle Palme è il corteo che accompagna Gesù giù dal Monte degli Ulivi: c’è chi canta, chi applaude, chi stende mantelli al suo passaggio, chi agita rami di palma. Qualsiasi uomo qualsiasi re, potendolo scenderebbe dalla croce: Lui no. È un Dio differente da tanti altri perché entra nella tragedia umana, sale sulla croce per essere insieme a me appeso alle mie croci. Non è una novità perché si è fatto conoscere fin dalla nascita in questo modo. È arrivato sulla terra non rivestito di corazze e di frecce velenose, ma fasciato dalla tenera pelle di un bambino, con l’odore del latte materno e il balsamo delle carezze amorose. Si è mostrato un Dio fragile, capace di commuoversi, di soffrire, di abbracciare chi era orfano di misericordia. Non ha fatto la parte del leone ruggente, ma dell’«agnello condotto al macello, della pecora muta di fronte ai suoi tosatori» (Is 53,7).

Quando Gesù ha avuto sonno, sete, fame e stanchezza, quando sconsolato ha sentito il bisogno di appoggiarsi agli amici, quando non è riuscito a trattenere le lacrime dinanzi all’amico morto o sulla città che lo avrebbe messo in croce, ha mostrato tutta la sua umanità non diversa dalla nostra. Non è facile accettare un Dio così scandaloso: troppo debole, troppo uguale a noi, così fragile da morire sulla croce. Quando la salita della vita pesa più del solito pensiamo all’asino del corteo delle Palme. Il clima è di festa, alcuni camminano al fianco di Gesù, altri osservano curiosi a distanza. Ma chi fa lo sforzo maggiore è l’asino che porta lo sconosciuto: fatica più di tutti, eppure non si ferma, continua. Sente il peso di quella strada, ma è anche il più vicino a Gesù. L’importante è non arrendersi mentre portiamo il peso del Vangelo.

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Domenica 6 aprile 2025 - 5 quaresima C (Gv 8,1-11)

l vangelo ci porta nel tempio e ci descrive due schieramenti: da un lato gli scribi e i farisei, dall’altra la donna colta in adulterio e Gesù.

Il vangelo ci porta nel tempio e ci descrive due schieramenti: da un lato gli scribi e i farisei, dall’altra la donna colta in adulterio e Gesù. Da una parte gli osservanti puri e duri, dall’altra Gesù: la misericordia in persona. Gli accusatori, con intenzioni maliziose, coinvolgono Gesù in un giudizio sulla donna, sulla legge e finiscono per essere coinvolti in un giudizio su se stessi. L’accusato è Gesù: se propone la clemenza va contro la legge di Mosè, se approva la lapidazione contraddice la misericordia. Due sono i modi vedere quella donna: per scribi e farisei è un caso da risolvere con le regole, per Gesù è una persona viva da rispettare, che soffre e non da umiliare. L’obbedienza, infatti, rispetta le regole, ma l’amore sa quando infrangerle. L’amore è più grande dell’obbedienza! Gesù, che è la Parola, mette a tacere ogni sentenza di morte verso la peccatrice.

Osserviamo la postura di Gesù. Alla domanda:tu che ne dici? Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Si china, scrive per terra, poi si alza dicendo «Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra». Poi di nuovo si china e scrive per terra. Il chinarsi e apre e chiude la sua arringa di avvocato improvvisato. Fra chi osserva e i giustizieri l’unica persona a terra è l’adultera. Gesù inchinandosi si mette al suo livello, condivide la postura della condannata, quasi a dire: sono vicino a te. Stare in piedi significa stare dalla parte dei giudici, di chi si sente sopra. Stare chinato significa essere dalla parte della peccatrice. Se era stata colta in flagrante adulterio dov’era l’uomo? È sconcertante notare come i primi pronti a coprire di pietre chi sbaglia, siano gli osservanti. Può accadere anche oggi che molti avvertano la chiesa dalla parte degli osservanti: con uno sguardo e un giudizio di pietra.

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Domenica 30 marzo 2025 - 4 Quaresima C - (Lc 15,1-3.11-32)

Ci sono storie che si ripetono un po’ in ogni famiglia. Storie di porte sbattute, di silenzi pesanti, di grida di insofferenza, di malumori tra fratelli e sorelle.

Ci sono storie che si ripetono un po’ in ogni famiglia. Storie di porte sbattute, di silenzi pesanti, di grida di insofferenza, di malumori tra fratelli e sorelle. Oggi Gesù ce ne racconta una per dirci di un padre di due figli che vede il più giovane andarsene, non a mani vuote, ma pretendendo l’eredità, come se il padre fosse già morto per lui. non ne ha una grande opinione, gli appare debole avaro, vecchio, fuori tempo. Ma in fondo i ribelli domandano di essere amati. Il fratello maggiore, intanto, continua la sua vita tutta casa e lavoro, ma il suo cuore è assente e anche lui avverte il padre come padrone al quale si deve ubbidire, ma non amare. La parabola si propone i farci cambiare l’opinione su Dio. La fame muove il primo figlio, non l’amore: «Mi alzerò… andrò… gli dirò». Il figlio maggiore, troppo fedele, sempre perfetto e giusto ha un cuore di servo e non di figlio.

La parabola è detta per i giusti e non per i peccatori. Sono loro che hanno falsato il rapporto con Dio, perché pensano di avanzare meriti davanti a lui. Il padre vedendo il giovane figlio da lontano gli corse incontro. Non domanda: perché l’hai fatto? Non dice: te l’avevo detto! Ma: hai fame? Quel padre non è esperto in rimorsi, ma in abbracci. In chi si considera giusto nasce la domanda: dare in questo modo il perdono ai peccatori, non significa rendere inutile ogni sforzo di fedeltà? Perché allora impegnarsi? È giusto far pagare quando si sbaglia! Purtroppo questa mentalità religiosa non concede spazio alla misericordia di Dio, gli proibisce di esprimersi. Il suo è un amore che non finisce di sorprendere anche il fratello maggiore. Eppure questo amore non va giudicato nemmeno quando non lo si capisce!

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Domenica 23 marzo 2025 - 3 quaresima – C (Lc 13,1-9)

Che colpa avevano i diciotto morti sotto il crollo della torre di Siloe?

Che colpa avevano i diciotto morti sotto il crollo della torre di Siloe? Perché il Signore non ha incenerito Pilato responsabile di crimini spietati? E le vittime di terremoti, di incidenti, di malattie, sono forse più peccatori di altri? È la domanda che non raramente attraversa anche i nostri pensieri. Gesù esclude che ci sia un rapporto tra la morte di queste persone e le loro colpe. Perché non prende posizione di fronte al massacro? Gesù non sfugge il problema, ma propone una soluzione diversa dall’ira, dall’odio, dalla violenza chiedendo di cambiare mentalità: invita a intervenire alle radici del male. Solo persone diverse, dal cuore nuove possono costruire un mondo nuovo. Al fico che non produce Gesù concede un altro anno di attesa per coltivarlo perché forse produrrà frutti non sperati. “Convertirsi” significa cambiare il nostro sguardo su Dio e su noi stessi.

Torna la domanda: “Che cosa ho fatto di male per meritarmi questo?” È l’idea di un Dio che premia i buoni e castiga i cattivi. È una dottrina malata che ci portiamo dentro. Gesù distrugge l’equazione peccato = castigo. A suo avviso l’umanità non è divisa tra buoni e cattivi, ma tutti siamo in modo diverso “ladroni sulla croce”, eppure tremendamente amati in quanto figli e non per le nostre buone azioni. La fiducia dei genitori è come una vela gonfia di vento per i figli, che li spinge in avanti e che fiorirà pur tra le crisi. Ai genitori è richiesto di essere credibili senza pretendere di essere creduti. La quaresima ha un senso se ci disintossichiamo dalla nostra immagine di un Dio terrorista e ci affidiamo a un Dio contadino paziente e fedele, che si prende cura del mio ‘campo’ e scommette ancora su di me, su questo mio terreno spesso incolto e senza frutti.

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Domenica 16 marzo 2025 -2 quaresima – C (Lc 9,28b-36)

Gesù va sul monte a pregare per capire gradualmente che cosa lo aspetta.

Gesù va sul monte a pregare per capire gradualmente che cosa lo aspetta. Si è reso conto che è chiamato a salvare gli uomini non mediante il trionfo, ma attraverso la sconfitta. Egli sperimenta l’insuccesso: le folle entusiaste lo abbandonano, qualcuno lo ritiene un esaltato, i suoi nemici tramano di ucciderlo. È comprensibile che egli si interroghi sul cammino previsto dal Padre. Sul monte cambia d’aspetto, offre un anticipo della risurrezione. I tre discepoli con lui sono entusiasti e vorrebbero che quel momento non finisse mai. Il maestro mostra che il suo cammino non finisce con la morte, ma va oltre. Una voce dal cielo dice: «Ascoltate Lui», spiate nel groviglio della storia la sua parola. I discepoli non potevano parlare dell’esperienza perché non avevano capito.

Nel cambio d’aspetto di Gesù che diventa luminoso è riassunto il cammino del credente. Il nostro nascere è un “venire alla luce”, il partorire delle donne è un “dare alla luce”. Vivere è la fatica, dura e gioiosa, di liberare la luce sepolta in noi. L’ascolto della sua Parola ci permette di dire: è bello stare qui in questo mondo, in questa umanità malata e splendida, barbara e magnifica. Il trasfigurato ci insegna che nella nebbia occorre sfilare la luce. Sofferenza e benessere si nutrono reciprocamente. La fatica e il dolore contengono sempre un senso, un significato, perché dove qualcuno soffre qualcosa parla! Quante persone sfigurate dalla malattia, dalla sofferenza che hanno perso la loro figura, eppure il dolore è un modo per decifrare meglio se stessi, spoglia dell’essenziale. Per quanto buio può essere la notte, dice il trasfigurato, l’alba è vicina.

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Domenica 2 marzo 2025 - 8 C (Lc 6,39-45)

L’invito di Gesù è di guardarsi dentro. Ci porta alla scuola della sapienza degli alberi. La prima legge di un albero è portare frutto.

L’invito di Gesù è di guardarsi dentro. Ci porta alla scuola della sapienza degli alberi. La prima legge di un albero è portare frutto. Ed è la stessa regola che ispira il vangelo: portare frutti buoni con gesti che fanno davvero bene, con una parola che consola e guarisce, con un sorriso che riapre la speranza. Nel giudizio finale, non nel tribunale, ma nella rivelazione della verità ultima del nostro vivere, il dramma non saranno le nostre mani forse sporche, ma le mani desolatamente vuote, senza frutti buoni offerti per la fame di altri. Gli alberi, per loro natura, mostrano come non vivano per se stessi, ma al servizio di chi raccoglierà e mangerà i loro frutti. Dio non cerca alberi senza difetti, con nessun ramo spezzato dalle bufere della vita, ma alberi piegati dal peso dei tanti frutti, carichi di spighe e di pane, di grappoli e di lacrime asciugate.

A volte abbiamo la pretesa di essere guida dell’altro e maestro dell’altro, ma se siamo ciechi, che guida pretendiamo di essere? Se siamo falsi, che maestri vogliamo essere? Non bastano i titoli, le facciate, le poltrone, l’appartenenza a gruppi religiosi, l’abitudine di ripetere pratiche di pietà e poi scoprirsi come alberi che producono frutti acerbi e velenosi. L’invito di Gesù è a guardarsi dentro. Se uno è troppo occupato a guardare gli altri, a sentenziare sulle loro pagliuzze finisce per credersi senza difetti. Se i tuoi occhi sono chiusi, malati, diventano un pericolo per coloro che pretendi di accompagnare. La trave di cui parla il Vangelo è la falsità religiosa: ingigantiamo le colpe degli altri e minimizziamo i comportamenti di casa nostra. Controlla il cuore, dice Gesù, a volte basta il tono della voce per capire che cosa abbiamo nel cuore.

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Domenica 23 febbraio 2025 - 7 C (Lc 6,27-38)

Dopo aver chiamato beati i discepoli perché sono poveri, perché hanno fame, piangono, sono perseguitati, Gesù annuncia parole sconvolgenti: «Amate i vostri nemici,

Dopo aver chiamato beati i discepoli perché sono poveri, perché hanno fame, piangono, sono perseguitati, Gesù annuncia parole sconvolgenti: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano». Gesù condanna ogni forma sbrigativa di violenza. Noi siamo convinti che facendo pagare il torto si ristabilisca la giustizia e tutti ricevano una lezione di vita. La forma sbrigativa non aiuta chi ha sbagliato a migliorare, ma scatena maggior aggressività e odio. Con un tono provocatorio Gesù chiede ai suoi: da che cosa si vede che siete miei discepoli? Se amate chi vi ama, perdonate chi vi perdona, che fate di così diverso da altri? Lo fa anche chi dice di non credere.

La novità impegnativa che Gesù chiede a chi lo segue è: «Amerai i tuoi nemici». E noi a rispondere: come amare chi mi umilia e calpesta? Amare non significa sopportare in silenzio, senza reagire, ma ristabilire la giustizia e l’armonia con il metodo del vangelo che non ricorre alle armi, alla violenza, alla vendetta: non paga il male con il male. Il comanda di Gesù va oltre il criterio della reciprocità: “io ti do a condizione che tu mi dia”. Siamo sempre legati alla logica: peccato, castigo, pentimento, perdono. «Ciò che desideri per e dallo all’altro». Altrimenti ci sbraneremo per un pugno di euro, per una donna, per i rumori condominiali, per un bonus, per un posto al parcheggio. Gesù non esige che diventiamo amici di chi ci fa del male, non domanda di guardare solo ai propri diritti, ma ai bisogni dell’altro.

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Domenica 16 febbraio 2025 - 6 C (Lc 6,17.20-26)

Tutti siamo mendicanti di felicità. Il mondo di oggi non cessa di ricordarci che la persona felice è quella che è in salute, ricca, famosa e stimata.

Tutti siamo mendicanti di felicità. Il mondo di oggi non cessa di ricordarci che la persona felice è quella che è in salute, ricca, famosa e stimata. Il nazareno Gesù indica un’altra strada estremamente concreta che l’evangelista Luca racconta con quattro beatitudini e quattro lamenti. Dapprima chiama beato chi è povero, chi è affamato, chi piange, chi è rifiutato. Non dice «beati voi» perché soffrite, perché vi manca qualcosa, ma perché «vostro è il regno di Dio», perché appoggiate la vostra sicurezza su di Lui. E poi aggiunge quattro «guai»: rivolti ai ricchi, ai sazi, a chi soltanto ride, a chi si accontenta di ricevere complimenti. Il termine “povero”, in greco, indica lo stare rannicchiato davanti a Dio, davanti a tutti, come in attesa. Al contrario la parola “ricco” signifca l’essere pieni di sé e perché pieni non c’è posto né per Dio, né per nessuno.

Gesù non ha mai disprezzato la ricchezza, ma ne ha denunciato i rischi, perché in essa si può attaccare il cuore. I beni sono preziosi, ma essendo un dono non ne siamo i padroni. Gesù chiama beati i poveri, ma non beatifica la povertà!egli propone un ondo in cui nessuno accumula per sé, nessuno sperpera, ma mette a disposizione ciò che ha ricevuto. Dire «beati i poveri», non è un messaggio di rassegnazione, ma di speranza. Per Gesù è beato chi vive e ama onestamente dove trionfa la falsità. È beato chi conosce le lacrime in una società dagli occhi asciutti per l’indifferenza. È beato chi crede nella fedeltà in un clima diffuso di infedeltà. È beato chi si mantiene umano in un mondo che ha fame di interessi e sete dieuri, mentre altri piangono e muoiono di fame. Il mondo non appartiene a chi lo compra, ma a chi lo rende migliore.

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A tutti è successo di aver fallito nel mare della vita, di aver sbagliato tutto, di esserci ingannati su un amore, su una relazione e di trovarci precipitati in una lunga notte di delusione.

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Domenica 2 febbraio 2025 - Presentazione del Signore (Lc 2,22-40)

Per secoli nell’Antico Testamento si è coltivata l’attesa e la certezza che un giorno Dio si sarebbe mostrato con tutta la sua forza contro chi non osservava la sua Legge.

Per secoli nell’Antico Testamento si è coltivata l’attesa e la certezza che un giorno Dio si sarebbe mostrato con tutta la sua forza contro chi non osservava la sua Legge. Ma con sorpresa entra nella storia in un modo del tutto inatteso. Ci si attendeva un suo ingresso trionfale nel santuario, fra schiere di angeli, giudice severo, pronto a condannare e invece entra come neonato debole, indifeso, avvolto in fasce, che ancora non parla. Non sono i sacerdoti ad accoglierlo, ma due laici anziani Simeone e Anna, innamorati della vita, di Dio, che non smettono di sperare. Gesù, infatti, non appartiene all’istituzione, alla gerarchia, non è dei preti, ma dell’umanità intera. Simeone prendendo in braccio il bambino dice: «I miei occhi hanno visto la salvezza di tutti». Ma quale salvezza hanno visto? Solo un bambino: Dio che si fa carne, storia amata, luce nel buio.

E Simeone aggiunge: «Egli è qui per la caduta, la risurrezione, …segno di contraddizione». Queste parole diventano preghiera. Fa “cadere” o Signore le mie sicurezze, il mio orgoglio, la mia presunzione. “Contraddici” i miei pensieri con i tuoi pensieri, demolisci le mie posizioni con la tua proposta di amore, contesta la mia visione del mondo con la tua, demolisci le mie sicurezze. Sii tu la mia “risurrezione” quanto cado a terra e non mi rialzo, sii tu la mia rinascita quando mi sembra che tutto sia finito, sii tu la mia rifioritura quando le stagioni della vita mi impediscono di fiorire. Sii tu la mia “risurrezione” quando sperimento l’inferno, la delusione, il tradimento, l’infedeltà. È così che Simeone e Anna, con gli occhi velati dalla vecchiaia e forse con qualche cataratta, se ne tornarono al magistero della famiglia senza smettere di vedere nel Bambino la Speranza fatta carne.

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Domenica 26 gennaio 2025 - 3 C (Lc 1,1-4; 4,14-21)

Per quattro volte Gesù entra nella Sinagoga e ogni volta crea problemi. La prima  volta, quella di oggi, cercano addirittura di farlo fuori. Compie due infrazioni.

Per quattro volte Gesù entra nella Sinagoga e ogni volta crea problemi. La prima  volta, quella di oggi, cercano addirittura di farlo fuori. Compie due infrazioni. La prima consiste nel non leggere il testo previsto, ma di scegliere un passo di Isaia che proclama «l’anno di grazia del Signore». La seconda libertà che si prende è di non leggere tutto il versetto, che continuava parlando del «giorno di vendetta del nostro Dio». Lui si siede da maestro e tutti sono meravigliati e scandalizzati. Richiamando poi il tempo della carestia di Israele, dice che Dio andò da una vedova di Zarepta, nell’attuale Libano, perché la Sua azione è anche per i pagani. Non solo, ma nessuno dei molti lebbrosi al tempo del profeta Eliseo fu purificato se non il pagano Naàman, il Siro. Gesù annuncia un Dio che non si vendica e non fa preferenze di persona.

L’annuncio di liberazione: «Oggi si è compiuta questa Scrittura», in Gesù diventa fatto. La parola diventa carne per i prigionieri, per i ciechi, per i poveri… per noi. Dio dopo essersi raccontato nei libri, ora si racconta nella vita del Figlio dell’uomo. Egli annuncia “oggi” l’anno di grazia e cancella la vendetta. Comincia il suo cammino dalle periferie della terra, da chi è piegato dalla vita, da chi lo tradisce. In sua compagnia gli ultimi saranno i primi, le prostitute entreranno prima dei giusti nel Suo regno, le novantanove pecore saranno abbandonate per amore di quella che si è persa. È il capovolgimento delle nostre logiche e rigide norme religiose. A noi è affidato il compito di realizzare il sogno di Dio, facendoci compagni di viaggio dei poveri, degli umiliati e degli offesi, prendendo parte alle loro storie ferite e condividendone i pesi. A Gesù non importa se il povero e il cieco sono giusti o peccatori, ma se “oggi” hanno bisogno di amore o meno.

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Domenica 19 gennaio 2025 - 2 C (Gv 2,1-11)

«Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea». Al matrimonio sono invitati Maria e il figlio Gesù con i suoi discepoli.

«Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea». Al matrimonio sono invitati Maria e il figlio Gesù con i suoi discepoli. A un certo punto della festa il vino viene a mancare e dopo averlo segnalato al figlio dice ai servi: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Non soltanto ascoltatelo, ma rendetelo vivo, così che le anfore vuote della vostra vita possano riempirsi di senso. Il vino, nel linguaggio biblico, è simbolo dell’amore, del gusto della vita, della gioia. Gesù sembra dire: non importa come sia la tua vita, se è di pietra, se è fredda, se è sbagliata, a pezzi o infangata fino all’orlo: riempila d’acqua. Metti dentro ciò di cui sei capace, il poco che hai a disposizione, la tua scarsa capacità di amare: il resto lo faccio Io. Non importa quali siano stati gli amori che hanno nutrito la tua esistenza, fecondi o sterili, stabili o instabili, fedeli o ambigui: riempi l’anfora della tua vita con ciò che sei.

Accade a tutti che l’amore, ciò che rende una vita degna di essere vissuta, viene a mancare. Per motivi a volte misteriosi ci sentiamo aridi, piombando nel non-senso. Se muore l’amore fiorisce la violenza. La gioia si trasforma in tristezza, le relazioni saltano, gli affetti si spengono, gli ideali svaniscono e tutto diventa grigio e piatto. Ci si sente come svuotati, come “anfore di pietra vuote”. Ma ecco che una voce materna, come quella di Maria, ci dice: «Fate le sue parole». Per quanto sgangherata possa essere la tua vita, attingi al pozzo di te stesso e lì trovi tutto ciò di cui hai bisogno. Non devi cambiare l’acqua in vino, ma riempire la tua vita dell’acqua pura e impura che sei, perché questa diventi vino, desiderio di tornare ad amare la vita. Per Gesù non contano i tuoi meriti, ma il tuo bisogno.

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Battesimo del Signore - 12 gennaio 2025 C (Lc 3,15-16.21-22)

Con il battesimo di Gesù si racconta la manifestazione nelle acque del Giordano. Il vangelo apre constatando che «il popolo era in attesa».

Con il battesimo di Gesù si racconta la manifestazione nelle acque del Giordano. Il vangelo apre constatando che «il popolo era in attesa». Da trecento anni taceva la voce dei profeti, il cielo era chiuso e il silenzio di Dio era considerato una meritata punizione per le infedeltà del popolo. la religione non trasmetteva gioia, ma paura e angoscia. Giovanni il Battista dice di sé: io sono solo acqua, ma deve arrivare uno che è fuoco, con una parola che brucia, con una vita che incendia di amore. Gesù è il Salvatore. La storia di ieri e di oggi continua a partorire sedicenti salvatori, sinistre figure, dittatori, tiranni che promettono ciò che non possono dare. Con Gesù si chiude in modo definitivo il tempo in cui Dio è stato descritto come un sovrano e un giustiziere. I cieli si aprono, scende lo Spirito a la voce chiama Gesù «Figlio amato».

In che modo Gesù racconta Dio? Lo dice mettendosi in fila con i peccatori, facendosi battezzare con loro, stando accanto a ciascuno mentre convive con i suoi limiti. Dio, insieme a Gesù, dice a noi: “tu sei il figlio amato”, ti amo per quello che sei, così come sei, a prescindere. Gesù narra di un Dio che salendo su una croce, sale anche sulla nostra e accanto ritrova il “malfattore”, “chi fa il male”, l’amato perduto che siamo noi. Egli ci dice: ti amo per quanto sia grande il tuo peccato, per quanto sia tu sia a rischio di girarmi le spalle, perché sei mio figlio. Contemplare il battesimo di Gesù significa fare memoria del nostro battesimo, di ciò che siamo veramente, con il nostro limite, con le nostre contraddizioni e debolezze. Il battesimo ci dice che non viviamo più sotto un cielo chiuso e muto, non ci troviamo terribilmente soli e disperati, ma sotto un cielo in cui Qualcuno, senza nostro merito, brucia il peccato e non smette di considerarci suoi familiari e figli amati.

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Epifania - 6 gennaio 2025 - (Mt 2,1-12)

I Magi, con il loro viaggio ricco di simbolismo, ci raccontano il grande mistero che avvolge la vita.

I Magi, con il loro viaggio ricco di simbolismo, ci raccontano il grande mistero che avvolge la vita. Essi vengono dall’Oriente, senza precisare da quale luogo. È là dove sorge la luce, ma l’Oriente non è la luce. Vedono le stelle perché si muovono nel buio. Senza qualche ombra, infatti, non potrebbero scrutare e riconoscere le  stelle che li orientano. Mettendosi in viaggio interpretano l’inquietudine dell’uomo che cerca, l’insoddisfazione di chi si fa domande, l’insofferenza di chi non si accontenta. I Magi sono gente viva, in viaggio, che abbandonano la loro terra, che cercano e dubitano. Essi interpretano il desiderio profondo del cuore che sta sempre oltre quella stella che pensavano potesse finalmente dare loro il senso del vivere. Vengono da terra di uomini e donne che non so o tranquilli, non danno mai nulla per scontato e si fermano davanti a un Bambino.

Altri gli avranno rinfacciato: “tutto qui?”. E loro: “sì, il Tutto è qui, nel piccolo bambino”. A Gerusalemme si apre il Libro per sapere il luogo dove doveva nascere il Messia, mentre i Magi pagani consultano la storia di un popolo. Il Vangelo, infatti, non dà soluzioni, non costringe a strade obbligate, non semplifica la vita, ma è per gente inquieta che non si accontenta di risposte confezionate. Non basta avere la promessa, non bastano i preti che consultano freddamente il Libro, non basta usarlo per i propri interessi come fa Erode, non basta consultare i cieli, interrogare la natura o aprire il Catechismo: è necessario incontrare la “persona” e onorare la fede degli altri per esaltare la propria. Il cristianesimo è il viaggio contro quella religione che usa il proprio dio come “polizza assicurativa” sulla vita. L’esperienza ci insegna che spesso il sapore della vita si fa trovare nella ferita, nell’uscita di strada ed è un viaggio di ritorno verso se stessi.

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Sergio Gaburro Sergio Gaburro

2 domenica dopo Natale - 5 gennaio 2025 (Gv 1,1-18)

Contemplando la nascita del bambino Gesù risuona in noi la buona notizia di Giovanni: «La Parola si è fatta carne».

Contemplando la nascita del bambino Gesù risuona in noi la buona notizia di Giovanni: «La Parola si è fatta carne». Dopo tante parole spente, ripetitive, sciupate, dopo tante parole gridate, superbe, violente, dopo tante parole bugiarde, ambigue, seducenti, tutti sentiamo il bisogno di una parola diversa, cui affidare la vita. I nostri passi, lontani o vicini, frequentatori di chiese o di passaggio, ci portano a questa nascita, perché ci è rimasta dentro la percezione che la Parola ci è scritta nella nostra carne. È una Parola che orienta senza costringere, che protegge senza sequestrare, che nutre senza appesantire. Quel Dio invisibile atteso nell’Antico Testamento, quel Messia che gli ebrei da sempre attendono è arrivato in un frammento di carne, in un tessuto identico al nostro, pienamente intrecciato con la nostra vicenda umana.

«Venne tra i suoi» ci dice Giovanni e andò a casa di Zaccheo, al pozzo per chiedere da bere alla samaritana, alle nozze dove cambiò l’acqua in vino, al banchetto in cui accetta di lasciarsi profumare da una prostituta. Si diresse verso il mare facendosi amici dei pescatori che puzzavano di pesce, sedette a tavola con gente che nessuno avrebbe mai invitato a cena, andò alla croce morendo tra due giudicati ladri. Come ospitare un Dio così umano, tanto paradossale, così simile a noi? Per noi inizia un nuovo anno per sedersi vicino alla carne delle persone e ascoltarle, un nuovo anno per inchinarci davanti al mistero della vita, un nuovo anno in cui ci sia lecito guardare le persone dall'alto al basso solo per aiutarle a risollevarsi, un nuovo anno per amare questa vita, come Dio la ma. Si tratta di guardare verso la Parola fatta carne, per imparare a dirigere lo sguardo verso la carne dell’“altro” che ci è vicino.

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Sergio Gaburro Sergio Gaburro

Oggi la chiesa celebra Maria Madre di Dio. Perché proprio questa festa all’inizio dell’anno? Perché dare alla luce un figlio è qualcsoa di nuovo che apre al futuro.

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Sergio Gaburro Sergio Gaburro

Domenica 29 dicembre 2024 Famiglia di Nazareth- (Lc 2,41-52)

Se portiamo dentro un’idea convenzionale di famiglia, oggi il vangelo ci riporta con i piedi per terra.

Se portiamo dentro un’idea convenzionale di famiglia, oggi il vangelo ci riporta con i piedi per terra. Non deve stupirci che Giuseppe e Maria non comprendano Gesù, perché Dio non manca di suscitare sentieri inediti che sorprendono. Maria e Giuseppe, da ebrei osservanti, compiono un lungo e faticoso viaggio al tempio per presentare il bambino al Signore, quando tra le braccia reggono il vero “Tempio di Dio”. Di ritorno il fanciullo non è con Maria e Giuseppe, che entrano in ansia e lo cercano. Trovatolo risponde: «Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del padre mio?». Ma essi non capiscono, devono accettare di conoscere il figlio un po’ alla volta, passando come tutte le famiglie attraverso ansie e inquietudini.

Oggi la famiglia non gode di buona salute. Si parla di quella tradizionale, allargata, di fatto, biologica, affidataria, adottiva…? La Bibbia è popolata di storie d’amore difficile e violento, ma anche di legami disinteressati e sinceri. L’amore può anche spezzarsi: è indissolubile, ma non infrangibile. Il vangelo ci dà lezione di come vivere l’amore. Dicendo: «Tuo padre e io ti cercavamo insieme», Maria e Giuseppe richiamano chi neppure a tavola sta insieme. Inoltre, interrogando il figlio ci dicono l’importanza di far viaggiare la parola. Gesù rispondendo «Non sapevate…» dice loro che i figli non sono proprietà dei genitori. Infine, dicendo che «essi non compresero», si afferma che i genitori non hanno i figli che vorrebbero e neppure i figli i genitori sognati. Se in famiglia non siamo sempre capiti, sempre possiamo lasciarci abbracciare. Si dà “famiglia” non quando lo decide l’anagrafe, ma quando ci si vuole bene.

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