Domenica 1 giugno Ascensione C (Lc 24,46-53)
L’ascensione di Gesù al cielo riassume tutto il senso della sua missione e illumina i cristiani sul mistero inesprimibile della Pasqua. Questo suo salire ci pone alla ricerca di un crocevia tra terra e cielo, di uno spiraglio che possa dura al di là del tramonto del giorno. Prima di salire compie tre gesti: invia, benedice, scompare. Manda i suoi e la chiesa in uscita perché non pongano al centro se stessi, ma il servizio all’essere umano e a tutte le vite. Alzate le mani capisce le loro fragilità e li benedice: dice bene di coloro che gli hanno voluto bene e di quelli che hanno remato contro. La chiesa nasce da quel corpo assente e da una presenza silenziosa ed efficace che sempre l’accompagna nel profondo della vita. Se prima era con i discepoli, ora sarà dentro di loro, per rimanervi e farci sperimentare che la vita è più forte di ogni ferita.
Non possiamo escludere la reazione dei discepoli che pensano: dove te ne vai Maestro? Perché ci lasci di nuovo soli? Ciascuno di noi conosce la nostalgia dolorosa di poter rivedere anche solo per un momento, per un breve attimo la persona cara che ha perduto. È il desiderio di offrire al suo volt un’ultima carezza, magari un tenero bacio e così scambiarsi uno sguardo non senza lacrime e amore. Dopo la sua morte gli apostoli hanno potuto vedere e toccare il crocifisso risorto, ma poi è sembrato un sogno. In realtà oggi il Maestro li saluta non lasciando loro una dottrina, un metodo per pregare, non con il compito di bruciare incensi e nemmeno di inginocchiarsi ad alcuna autorità, religiosa o civile che sia. Il mandato è di imparare dal suo stile di essere “per gli altri”, per quel prossimo ferito che di volta in volta rimane raggiungibile. È in quella carne che Lui si fa trovare!