Domenica 8 giugno Pentecoste – C (Gv 14,15-16.23-26)
Per descrivere l’azione dello Spirito il vangelo adopera tre verbi. Egli rimane, insegna e ricorda. Innanzitutto è colui che “rimane” accanto, non abbandona, uno vicino a noi e non contro di noi: ci avvolge come il vento, come una brezza leggera o talvolta come un uragano che scuote la casa. È voce di silenzio sottile, ma anche fuoco che brucia. Inoltre è lo Spirito che “in-segna”, che incide un segno dentro la persona, nell’intimità di ciascuno, lascia un segno al suo passaggio, una traccia al suo soffio. Infine “ricorda”, nel senso che riaccende la memoria di quando passava e guariva la vita, dicendo parole di cui non si capiva fino in fondo. È uno Spirito che sfugge a ogni controllo, non si lascia sequestrare dai poteri di turno: fa parlare ciascuno la propria lingua e guarisce molte persone mute.
La condizione che Gesù pone è: «Se mi amate…». Lo dice ai suoi che lo avevano tradito e che non erano sati capaci di vegliare con lui nel Getsemani e lo dice a noi che in modo diverso gli assomigliamo quando vivendo prendiamo sonno. L’amore non è un luogo, ma è un modo di vivere. È l’unica vocazione a cui l’essere umano è chiamato a rispondere. Chi non ama, infatti, è fuori della sua vocazione: sia che faccia il prete, sia che si consacri come suora, sia che si sposi come marito o come moglie. Lo Spirito è come il vento che porta nuovo polline sul fiore della nostra vita. È la polvere microscopica essenziale per la ripartenza del piede stanco, il soffio che rafforza il nostro sistema immunitario, il respiro che riduce lo stress e combatte le allergie. È lo spirito della libertà che non dice all’altro: “Sii te stesso a modo mio”, ma “diventa ciò che sei”.