Domenica 13 aprile 2025 - Palme C (Lc 22,14-23,56)

La festa che noi chiamiamo delle Palme è il corteo che accompagna Gesù giù dal Monte degli Ulivi: c’è chi canta, chi applaude, chi stende mantelli al suo passaggio, chi agita rami di palma. Qualsiasi uomo qualsiasi re, potendolo scenderebbe dalla croce: Lui no. È un Dio differente da tanti altri perché entra nella tragedia umana, sale sulla croce per essere insieme a me appeso alle mie croci. Non è una novità perché si è fatto conoscere fin dalla nascita in questo modo. È arrivato sulla terra non rivestito di corazze e di frecce velenose, ma fasciato dalla tenera pelle di un bambino, con l’odore del latte materno e il balsamo delle carezze amorose. Si è mostrato un Dio fragile, capace di commuoversi, di soffrire, di abbracciare chi era orfano di misericordia. Non ha fatto la parte del leone ruggente, ma dell’«agnello condotto al macello, della pecora muta di fronte ai suoi tosatori» (Is 53,7).

Quando Gesù ha avuto sonno, sete, fame e stanchezza, quando sconsolato ha sentito il bisogno di appoggiarsi agli amici, quando non è riuscito a trattenere le lacrime dinanzi all’amico morto o sulla città che lo avrebbe messo in croce, ha mostrato tutta la sua umanità non diversa dalla nostra. Non è facile accettare un Dio così scandaloso: troppo debole, troppo uguale a noi, così fragile da morire sulla croce. Quando la salita della vita pesa più del solito pensiamo all’asino del corteo delle Palme. Il clima è di festa, alcuni camminano al fianco di Gesù, altri osservano curiosi a distanza. Ma chi fa lo sforzo maggiore è l’asino che porta lo sconosciuto: fatica più di tutti, eppure non si ferma, continua. Sente il peso di quella strada, ma è anche il più vicino a Gesù. L’importante è non arrendersi mentre portiamo il peso del Vangelo.

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Domenica 20 aprile 2025 - Pasqua (Gv 20,1-9)

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