Domenica 8 maggio 2022 - 4 di Pasqua C (Gv 10,27-30)
Nel breve racconto del vangelo Gesù descrive la qualità e il l’intensità unica che esiste tra il pastore e il gregge. Dicendo che il pastore “conosce” le sue pecore, dichiara di avere con loro una relazione d’amore personale e profonda. A loro “dà la vita eterna”, la stessa vita di Dio. La legge che regola il loro rapporto è la reciprocità. Queste pecore riconoscono tra mille voci quella del pastore. Non solo odono, ne percepiscono il suono, ma ascoltano la sua voce, facendola risuonare dentro di loro. Se la voce è la sintesi del mistero di una persona, non può stupire l’interesse evangelico per la voce del Signore, come del resto l’accordo tra l’orecchio delle pecore di Gesù e il suono della sua voce. Che cosa ascoltano le pecore nella voce del pastore? Esse ascoltano non solo la sua parola, ma anche la sua reale disponibilità a dare la vita per le pecore, l’eco di tutti i suoi incontri con le persone, il riuscito scontro e incontro con il suo ambiente culturale. Nella sua voce le pecore ascoltano il suo stile di vita, la sua disponibilità, la sua capacità di ascolto, la gioia dei suoi gesti. Se udire è lasciare che le voci entrino ed escano, senza fermarsi, ascoltare è lasciarsi trasformare, è ubbidire. Noi diciamo “questo figlio non mi ascolta”, per dire “questo figlio non mi obbedisce”.
Le pecore sono sospettose di fronte a voci estranee: «non conoscono la voce degli estranei» (v. 5). Accade anche nei pastori di oggi, educatori, formatori, preti, che il corpo rimanga estraneo, in alcuni il complesso mondo affettivo è separato, per altri l’ambiente culturale è percepito solo come alieno. Questa estraneità lascia tracce inconfondibili nella voce del pastore. La sua voce, così originale, non sfugge a nessuna delle pecore… nemmeno a quelle che sono fuori dal recinto. Tutte le pecore percepiscono la sua Voce. Ci sono persone che conducono una vita di fede senza pratica religiosa, che si sporcano le mani con i bisogni degli altri e non vengono per la messa, che compiono segni di solidarietà con chi è nel disagio e non sanno fare il segno della croce. Ascoltare il fratello è farlo ri-suonare dentro di noi e chi non lo ascolta finisce per non ascoltare neppure più Dio stesso, salvo poi parlargli in continuazione con chiacchiere religiose, con toni clericali, con una valanga di parole pie. Ancora oggi noi cristiani rischiamo di incontrare le pietre di un edificio sacro, senza respirare una presenza, senza ascoltare la voce che ci parla e così uscire come siamo entrati. Molti cantieri parrocchiali rischiano di non generare altro che vecchie abitudini, perché manca l’ascolto della Voce, che ci apre all’ascolto delle persone.