34 - Gesù Cristo re – A (Mt 25,31-46)
È l’ultima domenica dell’anno liturgico, solennità di Cristo re. Poi sarà Avvento. Sorprende che questo Cristo-re, dall’alto del suo trono, non pensa ai suoi palazzi, alla sua gloria. Stupisce che non chieda qualcosa di religioso per sé, ma di fare qualcosa di laico per le donne e gli uomini di oggi. È come se, in qualche modo, questo re si nascondesse nelle persone. Nasce la domanda: quando mai ti vediamo? Egli risponde: quando vedete un affamato, un assetato, uno straniero, uno senza vestiti, un malato, un carcerato, mi state vedendo. Molti di noi sono cresciuti da bambini con domande e risposte da catechismo e una di queste chiedeva: «Per quale fine Dio ci ha creati?». La risposta da imparare a memoria era: «Per conoscere, amare e servire Dio in questa vita e goderlo per tutta l’eternità». La parabola di oggi ci dice che in questa risposta manca qualcosa, manca il prendersi cura della persona che ha bisogno. Nel vangelo non ci è chiesto di fare miracoli, di compiere guarigioni, ma di prenderci cura. Non basta sentirci buoni e dire: io non faccio nulla di male. Perché si uccide anche con il silenzio, con lo stare alla finestra, con l’indifferenza. Il re del vangelo separa le pecore a destra e le capre a sinistra,…senza nessun riferimento politico. Il suo giudizio non sarà come pensavano gli ebrei: il popolo eletto da una parte e i pagani dall’altra. Piuttosto, sarà un giudizio morale tra giusti e ingiusti. Fin dalle prime parole si comprende che il giudizio di Cristo non sarà sul numero delle messe partecipate, sulle preghiere recitate, sulle cose che ci hanno fatto arrabbiare nella vita, ma sulla qualità della relazione che abbiamo vissuto con gli altri. Possiamo pensare alla realtà delle nostre case: là dove in silenzio si cura un malato, si sostiene un anziano, si dà speranza a un handicappato, a volte a prezzo di grandi fatiche… Cristo dice a questi: «Benedetti del Padre mio». C’è una benedizione reale anche nelle case, una benedizione diretta, che non ha bisogno di essere mediata dai preti. Non importa a quale fede o non fede tu appartenga, questa strada del prendersi cura delle ferite degli altri porta direttamente a Dio. Se non riconosci chi è in difficoltà, se non ti inginocchi davanti ai suoi bisogni, tutte le tue genuflessioni in chiesa non avranno nessun valore! Non si tratta di sentirci, allora, i salvatori del mondo, perché secondo il vangelo il nostro destino si gioca nel rapporto con “uno” solo, con una sola persona. Anche nel più piccolo servizio tocchiamo la totalità del servizio! In ogni frammento tocchiamo il tutto di Dio che si manifesta. Nel suo testamento don Lorenzo Milani scriveva: «Caro Michele. Caro Francesco, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non sia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto. Vi abbraccio».