Epifania (Mt 2,1-12)
Epifania è il nome della festa di oggi, che significa manifestazione a tutti dell’amore di Dio. Nel vangelo di oggi Matteo parla del Messia che si manifesta alle persone rifiutate da Israele, come i pagani e gli stranieri. Il paradosso è che i magi, sono avvolti per primi dall’amore di Dio. L’episodio crea una sorta di imbarazzo per i primi cristiani, tanto da trasformarlo quasi in una fiaba folcloristica. Chi sono questi maghi (μάγοι/grandi)? Sono pagani, stranieri, sapienti, la cui attività di ingannatori è condannata dalla bibbia. Per questo nella tradizione sono diventati magi: figure quasi romantiche. Poi, sono stati trasformati in re, sulla base dei doni si è stabilito il numero e persino il nome, interprete di tre razze dell’umanità: Melchiorre re di Persia, Gaspare re dell’India e Baldassarre re d’Arabia. Si è speculato anche sui doni trovando un significato per l’oro, l’incenso, la mirra. Così sono diventati i “re magi”. Questi abbellimenti devozionali e fantasiosi, possono dare un tocco di poesia al racconto, ma rischiano di sviare dal messaggio. In realtà si tratta di uomini in ricerca, che scrutano le stelle, che si mettono in cammino. L’Oriente antico, infatti, vede nella luce delle stelle un riflesso della luce divina, una Sua chiamata. Questi uomini vengono da una terra lontana e rispetto al popolo eletto sono extracomunitari.
Subito emerge il contrasto: i vicini cercano di far fuori il neonato, mentre i lontani cercano di incontrarlo. L’evangelista Matteo, scrivendo il suo racconto almeno cinquant’anni dopo la morte e la risurrezione di Gesù, ha sotto gli occhi ciò che stava succedendo. Il potere (con Erode), i capi dei sacerdoti, gli scribi e tutta Gerusalemme tremano di paura e non vedono la stella, mentre i non credenti, gli esclusi, aprono il loro cuore a questa nascita. Le persone religiose, convinte di essere i veri credenti, quelli che avevano il nome di Dio sulla bocca tutti i giorni, sono coloro che non riconoscono il Bambino. Con ironia si sta dicendo che il Messia atteso era così vicino, a due passi, ma gli esperti di religione, intenti a pregare Dio in cielo, non si sono resi conto che era venuto sulla terra. Il rischio delle nostre comunità cristiane è di pensare di possedere Dio, di avere l’esclusiva della fede, della morale e della verità. Quando ci sentiamo i migliori ci illudiamo di essere l’altoparlante di Dio, che si permette di estromettere le persone non gradite, quelle che non ci assomigliano. Non basta essere cattolici praticanti e devoti da generazioni, non è sufficiente essere in regola con tutti i sacramenti, non conta se siamo membri del consiglio pastorale o di qualche movimento... l’importante è rimanere in cammino, ascoltare la Parola, scrutare la vita, consapevoli che Dio non èproprietà privata. Forse, pensando di possedere Dio, non sappiamo più attenderlo, non impariamo più da chi viene da lontano. Tutti siamo a rischio. Soltanto chi si costruisce un idolo può pensare di possedere Dio! Chi studia e insegna teologia rischia che non aspetta Dio, perché lo ha rinchiuso nelle sue formule, chi è uomo di chiesa non aspetta Dio, perché lo ha già imprigionato nella sua personale esperienza religiosa. Non è facile dire Dio ai bambini e ai lontani, agli indifferenti e agli atei, spiegando nello stesso tempo che noi stessi non possediamo Dio, ma anche noi lo aspettiamo: oggi meglio di ieri.