Domenica 1 Avvento B (Mc 13,33-37)
Iniziamo oggi il tempo liturgico dell’Avvento che ci dispone al Natale. L’Avvento non è un “bel giochino” in cui si fa finta che il Bambino non sia ancora venuto e aspettiamo che nasca. Gesù è già venuto, è in mezzo a noi: siamo noi che ce lo dimentichiamo e viviamo come se non fosse ancora impastato con la nostra carne. Non raramente si è usato questo brano del vangelo per creare la paura della morte improvvisa, quando Dio, il padrone di casa, a sorpresa arriva. Egli sembra giocare a fare scherzi di cattivo gusto. In realtà ci invita a fare tesoro della nostra vita, a non addormentarci, a tenere gli occhi ben aperti come le sentinelle nella notte. Dicendo che il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo… il testo biblico non parla della fine del mondo, ma del suo significato. Ci sta dicendo che il mondo è fragile e anche le istituzioni, la società, l’economia, la famiglia e la nostra stessa vita sono molto fragili. Dio si attende e viene nella nostra ricerca di legami.
Siamo fragili, ma è appoggiando una fragilità sull’altra che insieme sosteniamo il mondo. Il rischio è di farci trovare addormentati, di non accorgerci di chi ci sfiora in casa, di chi ci rivolge la parola, dei naufraghi di Lampedusa, di questo pianeta depredato, dei germogli di speranza che spuntano. Chi conosce più di tutti l’attesa sono le madri, quando per nove mesi l’imparano aspettando che in loro lieviti una vita nuova. Non è l’attesa inquieta, ma quella gioiosa dei genitori che aspettano la nascita del loro bimbo, quella delle sentinelle quando l’alba sembra non arrivare mai, quella degli amanti della vita. Le nostre stesse chiese sono addormentate, quando favoriscono il sonno. È il caso del “bravo cattolico” della pratica domenicale, che non si adopera contro le manipolazioni televisive, contro le cause della povertà, contro le radici delle discriminazioni e si accontenta di riti e parolepre-masticate. Forse il Bambino che attendiamo ci chiede come chiesa di abbandonare la terra ferma della sicurezza, per andare verso la sponda insicura ed evangelica dell’incontro con gli altri.