2 domenica dopo Natale - 5 gennaio 2025 (Gv 1,1-18)
Contemplando la nascita del bambino Gesù risuona in noi la buona notizia di Giovanni: «La Parola si è fatta carne». Dopo tante parole spente, ripetitive, sciupate, dopo tante parole gridate, superbe, violente, dopo tante parole bugiarde, ambigue, seducenti, tutti sentiamo il bisogno di una parola diversa, cui affidare la vita. I nostri passi, lontani o vicini, frequentatori di chiese o di passaggio, ci portano a questa nascita, perché ci è rimasta dentro la percezione che la Parola ci è scritta nella nostra carne. È una Parola che orienta senza costringere, che protegge senza sequestrare, che nutre senza appesantire. Quel Dio invisibile atteso nell’Antico Testamento, quel Messia che gli ebrei da sempre attendono è arrivato in un frammento di carne, in un tessuto identico al nostro, pienamente intrecciato con la nostra vicenda umana.
«Venne tra i suoi» ci dice Giovanni e andò a casa di Zaccheo, al pozzo per chiedere da bere alla samaritana, alle nozze dove cambiò l’acqua in vino, al banchetto in cui accetta di lasciarsi profumare da una prostituta. Si diresse verso il mare facendosi amici dei pescatori che puzzavano di pesce, sedette a tavola con gente che nessuno avrebbe mai invitato a cena, andò alla croce morendo tra due giudicati ladri. Come ospitare un Dio così umano, tanto paradossale, così simile a noi? Per noi inizia un nuovo anno per sedersi vicino alla carne delle persone e ascoltarle, un nuovo anno per inchinarci davanti al mistero della vita, un nuovo anno in cui ci sia lecito guardare le persone dall'alto al basso solo per aiutarle a risollevarsi, un nuovo anno per amare questa vita, come Dio la ma. Si tratta di guardare verso la Parola fatta carne, per imparare a dirigere lo sguardo verso la carne dell’“altro” che ci è vicino.