27 – A (Mt 21,33-43)
Ancora un’altra parabola contro le autorità religiose. È la tragica possibilità di rifiutare gli inviti, gli appelli che in mille modi Dio ci fa arrivare. Gesù parla di un proprietario che nel suo terreno pianta una vigna e la circonda di attenzione: la protegge con una siepe, scava una buca per pigiare l’uva, costruisce una torre di guardia per tenere lontani i ladri, l’affida a dei contadini e se ne va lontano. La sua attesa dei frutti, tuttavia, resta delusa. Giunto il tempo del raccolto il padrone manda i suoi servi che vengono bastonati e uccisi. Uccidono anche il suo figlio, pensando di diventare eredi. Tale opposizione non potrà mai essere spiegata come un rifiuto totale del popolo di Israele in blocco, poiché tutti siamo esperti nel rifiutare Dio. Deluso, ma non arreso, il padrone della vigna la affida ad altri.
La nostra vita è una vigna che non abbiamo piantato noi, ma ci è stata affidata con un atto di fiducia, dimostrato dall’assenza del padrone. Noi siamo la speranza e la delusione di Dio. Il suo amore, tuttavia, non si lascia paralizzare dai nostri rifiuti, ma cerca altre strade. Né i figli di Israele, né i discepoli di Gesù, né i credenti di altre religioni, possono pretendere di possedere la vigna, di avere il monopolio della vita. Che cosa significa che la vigna verrà passata ad altri? Sempre di più mi incontro con persone che emarginate da coloro che si ritengono la bocca della verità, sono di fatto autentici figli e figlie di Dio. Sembra che una bella città del regno di Dio si trovi anche fuori dalle mura ecclesiastiche, all’esterno dei recinti religiosi. Impressiona vedere persone non battezzate, dichiarate non credenti, che amano fortemente la propria vita e quella degli altri, la difendono con coraggio e determinazione! Dall’altro fa impressione vedere cristiani battezzati, che ostendano gli oggetti dei vangeli, delle croci, dei rosari e che trattano le persone come oggetti. Gente che passeggia tranquillamente con gli scarponi avanti e indietro sui più elementari diritti umani. Quanti servi dovranno ancora essere sacrificati? È davvero inaccettabile che la sorte di ognuno dipenda dal luogo in cui nasce. Quanto amore Dio ci regala dandoci la vita, circondata dalla siepe, dal torchio, da una torre. Un tempo abbiamo considerato come siepi mamma e papà, scomode figure che sembravano frenare la nostra crescita, mentre a una certa età sono tornate più importanti di prima. Le loro proibizioni le abbiamo sentite come un torchio pressante nella vigna della nostra vita e solo dopo abbiamo compreso che era l’unico modo per produrre frutto. Crescendo ci hanno aiutato a costruire una torre per poter vedere oltre la siepe, in vista di accogliere o respingere le proposte che arrivavano dalla vita. Qualcuno ci regalato la vita e ce l’ha messa tra le mani. Lo ha fatto fidandosi, ma arriva il momento in cui consegnare i frutti. È il rendere conto per che cosa abbiamo vissuto. Chi ha vissuto per se stesso vede Dio come un tiranno della libertà, ma chi ha vissuto amando, non teme di riconsegnare ciò che gli è stato affidato. Chi ha amato non ha troppa paura della morte! Che il vangelo ci insegni a vivere la vita con riconoscenza, consapevoli che la vita non è nostra proprietà, ma soltanto vi è data in comodato d’uso gratuito.