28 – A (Mt 22,1-14)

Gesù è ancora in polemica contro le autorità religiose del tempo. Con un’altra parabola egli paragona il regno dei cieli, non a una riunione liturgica in chiesa, ma a una festa di nozze in cui domina la gioia. Il re organizza le nozze del figlio, ma gli invitati non sono interessati. Riesce difficile ammettere che si possa rifiutare l’invito a nozze di un re! Gli invitati sono presi dal loro campo, dai loro affari, dalle liturgie laiche del lavoro e del guadagno. La sala del banchetto rimane vuota, ma il re non si arrende e manda i servi a chiamare “tutti” quelli che si trovano sulle strade e agli incroci. “Tutti” senza distinzione! Un banchetto strano, perché vengono abolite le differenze, i meriti e i buoni si trovano a fianco dei cattivi. Dove oggi quel re manderebbe i suoi servi? Sui marciapiedi dei senzatetto? Alle stazioni ferroviarie che di notte diventano dormitorio per molti? Li manderebbe a Lampedusa?

Per entrare alla festa il re non non fa distinzioni fra buoni e cattivi, non bada ai meriti, alla razza, alla moralità. Non chiede il certificato di battesimo, l’attestato di buona condotta, perché “tutti” sono invitati alla festa della vita. Quel re non cerca persone perfette, meritevoli, ma peccatori perdonati come noi. Alla parabola delle nozze si aggiunge la scena dell’uomo sorpreso senza abito nuziale, che non è peggiore degli altri, ma è entrato come chi non crede ci sia una festa. La veste non è qualcosa di esteriore, ma significa lasciare il vecchio modo di vivere per assumerne uno nuovo, cioè cambiare vita. Riferita alle autorità giudaiche, la parabola invita al coraggio di osservare le proprie stanchezze, i propri rifiuti. Il rischio è anche il nostro di illuderci che, facendo parte della parrocchia, ci consideriamo gente già salva, sicura di essere sulla strada del regno dei cieli. In realtà il vangelo ci avverte che questa presunzione è molto pericolosa. L’essere chiamati alla festa del re che è Dio, non è il semplice invito alla messa della domenica, ma a vivere secondo lo stile del vangelo. Se l’invito lo si considera solo come uno sbrigare delle tappe da fare, come il battesimo, il catechismo, la cresima, la confessione, la comunione, le regole morali, le formule da recitare, i riti…, allora il banchetto della fede diventa proprio una sorta di dovere sociale. Spesso la fede cristiana è presentata come un compito che ha il sapore delle regole, delle credenze astratte, delle proibizioni. Non è un invito a nozze, un’occasione di gioia, ma un intruppamento che fa sentire in regola. Gli stessi sacramenti diventano un obbligo sociale, una sorta di convenzione, che mette a tacere la fede sotto i colpi di una religione infantile, astratta, senza forza: che non interessa la vita. In questo modo pensiamo Dio come chi sia rimasto fuori dalla sala della vita, quando in realtà è già entrato nella sala del mondo: è qui con noi nei giorni della gioia e in quelli delle lacrime.

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29 – A (22,15-21)

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27 – A (Mt 21,33-43)