Domenica 11 agosto 2024 - 19 B (Gv 6,41-51)
Il grande profeta Elia è così stanco e scoraggiato che vuole morire dicendo: «Ora basta Signore, prendi la mia vita». Quante volte lo scoraggiamento ci ha fatto dire: non ce la faccio più, non serve a nulla essere buoni, non vale la pena vivere il vangelo. Attraverso un angelo Dio interviene non per togliere la fatica, ma per offrire un po’ di pane e un po’ d’acqua. E Gesù nel vangelo dicendo «Io sono il pane della vita», provoca la reazione dei giudei che diventa mormorazione, contestazione, rifiuto. Non concepiscono che Dio si riveli in un uomo debole e fragile, in un figlio di falegname. In realtà Gesù assicura che osservando come lui vive, chi frequenta, chi difende, con chi mangia, da chi si lascia toccare e baciare, conosce Dio. Mangiare la sua carne è nutrirsi della sua umanità, fare proprio il suo modo di vivere, caratterizzato dalla compassione e dalla benevolenza per ogni essere umano.
Tutta la nostra vita è un processo di conversione della nostra idea di Dio. Noi lo vorremmo potente, sul trono, che punisce chi fa il male. Al contrario si fa corpo: suda, impara, si stanca, dorme, si piega sull’umanità ferita, si commuove alle lacrime, ama l’amicizia. Non risolve i problemi, ma li porta insieme a noi. Mangiare la sua carne significa assimilare la sua mentalità, pensare come lui, imparare i suoi criteri di valore e di giudizio. In quel corpo che così ha vissuto e così si è donato noi comprendiamo chi è Dio. È la Parola ascoltata e masticata che ci regala il suo ritratto. La fede significa aderire con la vita alla sua persona. È come se Gesù dicesse:chi si gioca la vita sul mio esempio, ha la vita eterna. Ancora oggi Dio ci manda un familiare, un amico, uno sconosciuto che ci tocca, ci parla, ci tende la mano. Sono i suoi angeli, che ci portano Lui, il «Pane della vita», quello che ci sostiene.