Battesimo del Signore (Mc 1,7-11)
La celebrazione del Battesimo del Signore chiude il ciclo delle feste natalizie. Nel vangelo di Marco non si racconta della nascita di Gesù nella mangiatoia, non si dice nulla della sua famiglia: né di Betlemme, né dei pastori, né dei magi, né della stella. Gesù è ormai grande e pronto per la missione. L’evangelista evidenzia gli effetti del battesimo di Gesù, il suo orientamento di vita. Innanzitutto, parla dell’«aprirsi del cielo», non perché sta per scendere la scure minacciosa dell’ira di Dio, ma perché scende il suo Spirito, vale a dire il suo amore che dà vita.
La celebrazione del Battesimo del Signore chiude il ciclo delle feste natalizie. Nel vangelo di Marco non si racconta della nascita di Gesù nella mangiatoia, non si dice nulla della sua famiglia: né di Betlemme, né dei pastori, né dei magi, né della stella. Gesù è ormai grande e pronto per la missione. L’evangelista evidenzia gli effetti del battesimo di Gesù, il suo orientamento di vita. Innanzitutto, parla dell’«aprirsi del cielo», non perché sta per scendere la scure minacciosa dell’ira di Dio, ma perché scende il suo Spirito, vale a dire il suo amore che dà vita. Con Cristo il cielo non è più chiuso, ma è stato aperto e possiamo vivere con fiducia. Inoltre, l’evangelista afferma che «venne una voce dal cielo», che anche noi possiamo ascoltare e che ci mette in dialogo con il cielo. In questa prospettiva di fede la vita non manca di voci che ci regalano futuro, forza, coraggio: la nascita di un figlio, il contatto con una persona buona, l’esperienza di un amore puro, l’abbraccio che perdona… sono tutte voci dal cielo, eco dell’unica Voce che sperimentiamo sulla terra. Grazie a queste voci il nostro cuore si risveglia, in noi comincia qualcosa di nuovo. Infine, anche noi potremo ascoltare con Gesù la voce di Dio che ci dice: «Tu sei per me un figlio amato, una figlia amata». Il segno del battesimo indica il percorso di Gesù: l’entrare nella morte, per riemergere risorti alla vita nuova.
Non raramente accade che il nostro battesimo si riduca a una bella cerimonia, che si fa come usanza nelle famiglie di tradizione cristiana, altrimenti la nonna non è contenta e in qualche modo ci si sentirebbe in colpa. Forse ancora oggi, per molti, funziona una certa logica costrittiva di appartenenza al gruppo, per non sentirsi diversi dagli altri. In realtà si tratta di una scelta che orienta la vita, che dispone a vivere secondo lo stile del vangelo. Siamo tutti a rischio di esserci in qualche modo abituati a dire che crediamo in Dio, senza che nella nostra vita non cambi nulla. Persino l’essere battezzati ci ha convinto di aver fede, dispensandoci dall’avviare un dialogo con il cielo, dall’ascoltare sinceramente la voce di Gesù, dal comprenderci come figli amati e non respinti per i nostri errori. Non raramente viviamo come fasci di nervi eccitati, mossi da un’agitazione esteriore e vuota, mai contenti del tutto. Accade che, pur essendo battezzati, non sappiamo in quale Dio crediamo. Nel cuore di molti cresce spontanea un’immagine confusa di Dio, che toglie la gioia di vivere. In altri si coltiva l’idea di un Dio patriarcale, contaminata dai desideri umani e dalle paure, dalle ansie e dalle delusioni. Non mancano anche le persone dominate dall’idea di un Dio onnipotente e capriccioso, sempre preoccupato del suo onore, sempre pronto a castigare, che cerca la sottomissione delle sue creature. Oggi il vangelo capovolge le nostre idee sbagliate e pericolose di Dio e ci dice che l’uomo non è chiamato a vivere per Dio, ma è Dio che esiste per l’essere umano. Non è l’uomo chiamato ad aprire il cielo, ma il cielo l’ha già aperto Cristo e da questo cielo non smette di parlarci a noi che viviamo sulla terra.
3 Avvento – B (Gv 1,6-8.19-28)
In questa domenica anche l’evangelista Giovanni ci parla del Battista, non come il personaggio che domanda la confessione dei peccati, ma come il testimone della Luce. Il contesto evidenzia la contrapposizione fra le autorità religiose e l’uomo inviato per testimoniare l’avvento di un cambiamento. L’arrivo del Messia, tuttavia, rende inquieto il potere religioso, perché teme di perdere i propri privilegi, di veder scoperti i loro altarini.
In questa domenica anche l’evangelista Giovanni ci parla del Battista, non come il personaggio che domanda la confessione dei peccati, ma come il testimone della Luce. Il contesto evidenzia la contrapposizione fra le autorità religiose e l’uomo inviato per testimoniare l’avvento di un cambiamento. L’arrivo del Messia, tuttavia, rende inquieto il potere religioso, perché teme di perdere i propri privilegi, di veder scoperti i loro altarini. Per questo alcuni sacerdoti, incaricati del culto, e alcuni levìti, incaricati di sorvegliare il Tempio, sono inviati a interrogare Giovanni. Il clima sembra quello di un processo. Interrogato per tre volte: Tu chi sei? Giovanni per tre volte risponde: non sono il Cristo, non sono Elia, non sono il profeta che credete. Egli non fa l’elenco delle sue qualifiche, come avremmo fatto noi: sono un profeta laureato, un ambasciatore di Dio, ho il diploma di annunciatore, sono un monsignore della santa chiesa di Dio. Nemmeno noi sappiamo fino fondo chi siamo: lasciamo a Dio di svelare chi siamo veramente. Giovanni dice soltanto: Io sono una semplice voce, un Altro è la parola! Giovanni non accetta nessun titolo e in questo modo può essere il testimone di Gesù.
L’evangelista ci dice che «Giovanni non è la luce, ma deve dare testimonianza alla luce». In questo caso la luce non è una cosa, ma una persona, una presenza invisibile e silenziosa. Innanzitutto si sta dicendo che nel nostro mondo non ci sono solo le tenebre, ma c’è anche la luce. Senza la luce, anche se c’è tutto, è come se non ci fosse nulla. Il buio creato dalla stagione del Covid-19 ha una forza impressionante, ma la luce della fiducia ha il potere immenso di continuare a far vivere. Non per nulla quando nasce un bambino si dice: “è venuto alla luce”, ha cominciato ad esistere. La luce è condizione di vita: una pianta senza luce muore. Inoltre la luce non si vede, ma fa vedere. Il paradosso è che noi vediamo il sole, ma non la luce che ce lo fa vedere. La luce è l’invisibile che fa vedere. Dio è invisibile, nessuno l’ha mai visto, ma ci fa vedere. Egli ci mostra non solo quello che vedono gli occhi, ma anche quello che gli occhi non vedono. Noi vediamo le persone che ci vogliono bene, ma nessuno con i propri occhi ha mai visto l’amicizia, l’affetto, l’amore. Infine la luce non fa rumore. Tutto ciò che vive fa rumore, come l’acqua, il vento, il fuoco, ma la luce non fa nessun rumore: è misteriosamente silenziosa. Così è Dio: anche lui non fa rumore, ma fa percepire la sua presenza e noi siamo testimoni che tutte le fitte tenebre del mondo di oggi non possono spegnere il piccolo lume acceso della speranza. Giovanni è testimone della luce, non dell’ombra; della trasparenza, non della falsità; dell’autenticità, non della doppiezza, dell’amore, non dell’inganno. Egli ci dice che essere testimoni significa avere il coraggio di dire che non siamo noi il Cristo, che non possiamo giocare a fare Dio con la vita delle persone, dicendo: ci penso io, ho la soluzione, ti rendo felice. Dichiararci non superiori agli altri, significa riconoscere i nostri limiti, le nostre debolezze, la nostra umanità fragile e affermare che il Superiore è uno solo: Cristo. Noi possiamo essere voce, suggerimento, consiglio, avvertimento, richiamo, possiamo essere mano tesa, ma non Cristo.
Immacolata (Lc 1,26-30)
La solennità dell’Immacolata non evoca la concezione verginale di Gesù, ma la figura di Maria preservata fin dal primo istante della sua vita da ogni resistenza nei confronti di Dio, da ogni macchia di peccato. Mentre siamo in attesa verso il Natale vogliamo condividere con Maria la sua attesa di madre. Innanzitutto questa adolescente palestinese, di circa quindici anni, incontra un messaggero di Dio, un angelo, a indicare che Dio parla agli umani, servendosi di suoi annunciatori.
La solennità dell’Immacolata non evoca la concezione verginale di Gesù, ma la figura di Maria preservata fin dal primo istante della sua vita da ogni resistenza nei confronti di Dio, da ogni macchia di peccato. Mentre siamo in attesa verso il Natale vogliamo condividere con Maria la sua attesa di madre. Innanzitutto questa adolescente palestinese, di circa quindici anni, incontra un messaggero di Dio, un angelo, a indicare che Dio parla agli umani, servendosi di suoi annunciatori. La Parola che raggiunge la creatura, attraverso un messaggero, cambia la vita: la orienta in una nuova direzione. Le parole del saluto dell’angelo «il Signore è con te», dicono che l’iniziativa è tutta nelle mani di Dio. Egli l’ha scelta non per le sue particolari qualità, ma l’ha resa adatta perché è stata colmata di grazia. Non siamo noi, infatti che arriviamo a Dio, ma è lui che viene verso di noi. Maria reagisce con timore: l’atteggiamento tipico di chi incontra Dio. Non è la paura di chi vuole controllare l’intenzione di Dio, ma è l’atteggiamento di prudenza di chi è disposto a collaborare. L’angelo, poi, la rassicura: «Non temere Maria». Non lasciarti dominare dal panico. È la nostra esperienza, quando la vita ci domanda di fare qualcosa di cui non ci sentiamo all’altezza, qualcosa che ci fa sentire piccoli, incapaci, impotenti. La grandezza di Maria è nel saper rispondere: «Ecco la serva del Signore». Lei non scappa lontano nell’ingenua illusione di sfuggire a Dio, come fecero Elia e Giona; non discute con Dio come fece Mosè; non ride incredula alla promessa di Dio come fece Sara, ma si abbandona con fiducia alla volontà del suo Dio e a lui innalza la lode.
Incamminati verso il Natale vorremmo condividere con Maria l’attesa di quel figlio. Lei come madre e discepola, noi come fratelli e discepoli di quel Figlio. Ogni donna che ha provato dentro se stessa il miracolo del dono della vita, sa quanto sia particolare e prezioso il tempo vissuto con il pancione. Lei sa che grazie al proprio sangue, alle proprie ossa e a tutto se stessa, si sta formando in seno quella che sarà una nuova persona. Quanta trepidazione perché quel piccolo nasca sano, quanta cura perché sia difeso, quanta dolcezza segreta nei pensieri della mamma, quanta tenerezza se con una carezza, il piccolo germoglio che improvvisamente calcia, ritorna quieto al suo posto. Tutto questo anche Maria l’avrà provato, insieme a momenti di preoccupazione per ciò che la attendeva dopo la nascita. Quel bimbo veramente umano è il Figlio di Dio: emetterà un gemito, cercherà il seno della mamma, domanderà le sue coccole. In questo evento così semplice e misterioso è racchiusa tutta la grandezza infinita di Dio. Maria è chiamata immacolata, la madre senza ombra, perché si è abbandonata con fiducia al Dio della vita. Come Dio ha appoggiato la salvezza del mondo sulle spalle di una fragile fanciulla, senza che lei rifiuti o abbia paura di essere accusata dal fidanzato di adulterio, così anche noi siamo fiduciosi che Dio possa portare a compimento i suoi progetti scommettendo sulle nostre fragili persone.
2 Avvento – B (Mc 1,1-8)
In un periodo come questo, in cui non mancano notizie sconfortanti e tristi, ansie e paure per il futuro, il vangelo ci suggerisce di riprendere a vivere partendo da una buona notizia. L’evangelista apre il suo racconto con le parole «Inizio del vangelo di Gesù». Vangelo significa buona notizia. L’inizio di questa buona notizia è una persona: Gesù. È Lui che ogni giorno, attraverso le persone, ci dà buone notizie per riprendere a vivere.
In un periodo come questo, in cui non mancano notizie sconfortanti e tristi, ansie e paure per il futuro, il vangelo ci suggerisce di riprendere a vivere partendo da una buona notizia. L’evangelista apre il suo racconto con le parole «Inizio del vangelo di Gesù». Vangelo significa buona notizia. L’inizio di questa buona notizia è una persona: Gesù. È Lui che ogni giorno, attraverso le persone, ci dà buone notizie per riprendere a vivere. Se una parola ti ferisce, buona notizia diventa la pace; se una persona ti ha deluso, buona notizia è dargli ancora fiducia; se il rancore ti abita il cuore, buona notizia è il perdono. Alcune persone sono davvero delle buone notizie, sono vangelo vivente che fanno ripartire la vita. La Buona Notizia, che è Gesù, non è iniziata nel Tempio, non è venuta dal pulpito, ma dal deserto, non dai funzionari religiosi ufficiali, ma da un profeta del deserto. Il Vangelo non inizia in un ambiente religioso, ma laico. Giovanni Battista è voce che dal deserto grida l’urgenza di «preparare la via al Signore, di raddrizzare i suoi sentieri» per ottenere, attraverso il battesimo, il perdono dei peccati. Nello stesso tempo il Battista anticipa che, dopo di lui, viene uno più forte che battezzerà in Spirito Santo. Al centro della predicazione del Battista c’è il peccato e la confessione dei peccati, mentre al centro dell’interesse di Gesù c’è la vita, la gioia della gente, la speranza del povero, la salute dell’ammalato, la libertà del prigioniero... Per il Battista centrale è il peccato, per Gesù centrale è la lotta contro la sofferenza della gente. Peccato, infatti, è causare sofferenza a qualcuno! La parola profetica di Isaia e del Battista sono un invito a fare ordine nella nostra vita. Non ci è chiesto di essere eroi o di fare cose grandi, ma di essere consapevoli che anche a noi è dato di raddrizzare quei sentieri che ci portano fuori strada, di riempire quei burroni che ci fanno cadere in basso, di abbassare quei monti che ci impediscono di vedere il volto dell’altro. Come è possibile riprendere a vivere in modo nuovo? Ce lo suggerisce la parola e il vissuto di Gesù, di Colui che è più forte del Battista. La sua non è la forza del faraone, non è la forza dell’arrogante, ma la fragile forza dell’amore che rende robusta la vita. Ogni giorno noi proviamo a volerci bene, a raddrizzare i sentieri delle nostre infedeltà, a riempire il burrone del Covid-19 che ci tiene lontani, a riempire i vuoti di senso e di speranza, ad abbassare i monti dell’ansia che ci rendono inquieti. L’impegno è nostro, ma la forza è la Sua. Questa è la nostra speranza!
1 Avvento – B (Mc 13,33-37)
La prima domenica del tempo liturgico dell’Avvento apre con due imperativi di Gesù rivolti ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento». Non raramente si sono usate queste parole per far pensare alla fine del mondo, alla paura della morte. In realtà il vangelo non vuole introdurci nell’angoscia della morte, ma invitarci a far tesoro della vita. Il tempo dell’Avvento è il tempo dell’attesa.
La prima domenica del tempo liturgico dell’Avvento apre con due imperativi di Gesù rivolti ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento». Non raramente si sono usate queste parole per far pensare alla fine del mondo, alla paura della morte. In realtà il vangelo non vuole introdurci nell’angoscia della morte, ma invitarci a far tesoro della vita. Il tempo dell’Avvento è il tempo dell’attesa. Tutta la vita è un’attesa: la donna aspetta di partorire, il carcerato di essere liberato, il giovane di crescere, il malato di guarire… In spagnolo attendere si dice “esperar”, perché in fondo aspettare è anche sperare. Quando manca la speranza, il futuro diventa buio, si va cerca della sicurezza e di godere al massimo il proprio piccolo benessere. È questo il rischio che viviamo nella stagione del Covid-19: ancora sospesi, in ansia per il futuro, costretti a rinunce piacevoli. Il rischio è di prendere sonno e di ritirarci nel santuario della nostra vita privata, smettendo di attendere con fiducia Colui che è vicino e che di vita umana se ne intende. L’esperienza ci dice che non è importante quanto si aspetta, ma chi si aspetta! Non è l’attesa ansiosa per un treno che non arriva, per una persona cara la cui vita è in pericolo, ma è l’attesa della sentinella, la quale sa con certezza che dopo il buio della notte, per quanto lunga, arriverà la luce del giorno.
Il primo imperativo di Gesù «fate attenzione» ci richiama a uno sguardo attento sulla storia che viviamo, sul mondo, sugli altri, su noi stessi. Non basta guardare per accorgerci della presenza del padrone che ritorna, ma è necessario uno sguardo attento che sa interpretare bene dietro l’evidenza. Anche un ubriaco sa guardare, ma il suo sguardo è annebbiato, confuso. Perfino il nostro sguardo rischia di essere annebbiato dalla fretta, dal ritmo frenetico, al punto di non accorgerci di chi ci sfiora, di chi ci saluta, di chi abita la stessa casa. Vivendo distratti si rischia di non rendersi conto dei naufraghi di Lampedusa, di questo pianeta depredato, dell’affanno con cui si cerca di aumentare il benessere che spesso frustrazione e malessere. «Vegliate» è il secondo imperativo di Gesù con il quale invita a non lasciarsi schiacciare dal sonno, perché sono molti quelli che hanno smesso di vegliare sulla loro vita! Quanti fallimenti, bancarotte e ferite si sarebbero potute evitare vivendo con più vigilanza! Il vangelo ci domanda di vivere vigilanti, attenti alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle loro domande mute, a ciò che accade nel loro cuore. Un esercizio mai finito in cui tutti ci sentiamo sempre alle prime armi. Chi veglia sulle persone, infatti, non dorme, ma sta attendendo la venuta e il ritorno del Signore.