Sergio Gaburro Sergio Gaburro

Domenica 7 novembre 2021 - 32 - B (Mc 12,38-44)

Il vangelo di oggi mette a confronto due tipi di insegnamento: quello degli esperti delle Scritture e quello di una vedova povera. Da un lato gli esperti di Dio, dall’altro un’esperta di amore. Chi pensa di conoscere bene Dio ama passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi posti. Essi avevano trasformato la religione in un sacro-affare. Gesù si siede all’ingresso del tempio vicino alla cassetta delle offerte e osserva come la gente getta le monete.

Il vangelo di oggi mette a confronto due tipi di insegnamento: quello degli esperti delle Scritture e quello di una vedova povera. Da un lato gli esperti di Dio, dall’altro un’esperta di amore. Chi pensa di conoscere bene Dio ama passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi posti. Essi avevano trasformato la religione in un sacro-affare. Gesù si siede all’ingresso del tempio vicino alla cassetta delle offerte e osserva come la gente getta le monete. Egli scruta “come”, non “quanto” la gente gettava. Non considera la quantità, ma il cuore. Se gli esperti della Bibbia promettevano preghiere in cambio di denaro, la vedova offre in denaro tutto ciò che aveva per vivere. I sacerdoti avevano l’incarico di dire a voce alta la quantità dell’offerta e in questo modo l’elemosina diventava una bella occasione per chi si nutriva di protagonismo, servendosi di tutto e di tutti, anche di Dio, per apparire e ostentare la propria devozione. Gesù smaschera queste falsità e non ha pietà per chi ama l’esteriorità, l’esibizione, per chi ha Dio sulle labbra e non nel cuore.

Con il suo sguardo Gesù ci aiuta a riconoscere una donna che nessuno avrebbe mai visto, perché solo agli occhi di Dio possono risaltare queste persone nascoste. Nel vangelo di oggi c’è una delle condanne più dure di Gesù verso la casta religiosa del tempo. I funzionari della religione volevano mettersi in cattedra, mentre per Gesù è la vedova che ci deve salire. Lei conosce molto meglio Dio di quanto lo conosca chi si ritiene esperto della Bibbia! Per Gesù conta quanto cuore c’è dentro quei due spiccioli della vedova. Per gli esperti della Scrittura Dio non era un incontro, ma una forma di cultura, qualcosa che si poteva imparare a memoria. Essi sapevano tante cose su Dio, ma questo Dio non era nel loro cuore. La vedova diventa quindi il modello del vero discepolo che mette tutta la sua vita nelle mani di Dio. I primi posti Dio li riserva a chi, nelle nostre case, regala vita alzandosi il mattino presto perché gli altri trovino pronto, per chi assiste un figlio malato conservando il sorriso, per chi fa gesti di attenzione non visti da nessuno. Questa è la Chiesa che Gesù vuole, fatta di cristiani che compiono piccoli gesti fatti con il cuore senza chiedere nulla in contraccambio, neppure il prezzo di credere in Dio!

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1 novembre - Tutti i santi (Mt 5,1-12)

A una lettura superficiale la pagina della Beatitudini appare come una storiella per bambini, per farli crescere positivi e ottimisti. Uno di quei manifesti pubblicitari che dipingono paesaggi tanto luminosi quanto impossibili. Tutti siamo alla ricerca di felicità e Gesù ci indica la strada.

A una lettura superficiale la pagina della Beatitudini appare come una storiella per bambini, per farli crescere positivi e ottimisti. Uno di quei manifesti pubblicitari che dipingono paesaggi tanto luminosi quanto impossibili. Tutti siamo alla ricerca di felicità e Gesù ci indica la strada. Egli chiama beati i poveri, le persone fragili, chi si ostina a cercare giustizia, chi non smette di costruire la pace, chi ha il core dolce e l’occhio del bambino, chi non è violento. Queste persone sono la sola forza invincibile. Le beatitudini son il più grande atto di speranza del cristiano. Secondo Gesù  il mondo appartiene a chi lo rende migliore. Quando Gesù dice “beato chi piange”, non sta dicendo: siete felici quando state male, ma ci annuncia che non siamo soli nell’affrontare le fatiche della vita. Siamo fortunati perché Dio è dalla nostra parte.

Ma chi ci crede che è beato il debole, il povero, quando il mondo canta un ritornello completamente diverso. Si dice che è felice chi è ricco, chi è vincente, chi la fa franca, chi si appoggia ai potenti, chi fa bella figura, chi raggiunge il successo, chi è più armato, chi è più scaltro, chi pensa solo al proprio granaio? Noi diciamo: beato te che dalla vita hai avuto un sacco di fortune, beato te che hai trovato sempre la strada spianata sotto i piedi, beato te che non ti sei fatto mancare nulla! Di fronte alla promessa di Gesù non manca il lamento di chi dice: se avessi avuto un altro marito, se non avessi avuto la mamma anziana in casa, se avessi avuto altri vicini di casa? In realtà siamo chiamati beati là dove il Signore ci chiama a vivere, con quelle persone concrete, con quella moglie, quei figli, quei genitori, quei vicini di casa... È beato chi si spende per gli altri, chi cerca l’armonia e la pace non badando al prezzo che costa. Tra i santi di cui oggi facciamo memoria ci sono anche tutti i nostri cari, che nelle loro fragilità hanno sperimentato la forza del Santo per eccellenza che è Gesù Cristo morto e risorto. A Lui va la nostra gratitudine per averci permesso di fare un pezzo di strada con loro.

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1° novembre 2021 - Cimitero (Gv 20,11-18)

Nel giorno in cui la liturgia della Chiesa fa memoria di tutti i santi, ci invita anche a ricordarci dei nostri cari che riposano al cimitero. Li chiamiamo santi perché sono stati amati dal Santo per eccellenza che è il Signore. Ci accomuna il guardare insieme i vuoti della vita, il contare le assenze, quei volti rimasti negli occhi e nel cuore. Tutti abbiamo paura della morte, di quel confine tra notte e giorno, di quell’ombra nera che fa scomparire ogni colore tanto da non far vedere più la luce.

In quel tempo, Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Nel giorno in cui la liturgia della Chiesa fa memoria di tutti i santi, ci invita anche a ricordarci dei nostri cari che riposano al cimitero. Li chiamiamo santi perché sono stati amati dal Santo per eccellenza che è il Signore. Ci accomuna il guardare insieme i vuoti della vita, il contare le assenze, quei volti rimasti negli occhi e nel cuore. Tutti abbiamo paura della morte, di quel confine tra notte e giorno, di quell’ombra nera che fa scomparire ogni colore tanto da non far vedere più la luce. Lasciamo un po’ di silenzio dentro di noi per comprendere quanto è preziosa la vita, anche se domani non ci saremo più. Siamo chiamati a benedire la nostra vita e quella degli altri, perché la vita è benedizione anche se provvisoria. Bene-dire è dire-bene della vita, è accendere la speranza e la speranza muove la storia. Oggi il cimitero sembra un giardino, un terreno fiorito e illuminato da tante luci, perché qui riposano le persone con le quali abbiamo percorso insieme un tratto di strada. Per noi non sono degli estranei, ma hanno un nome, una dignità e meritano il nostro ricordo e rispetto. Ci sentiamo vicini a loro soprattutto per l’eredità umana che ci hanno lasciato. Portiamo dentro i loro sguardi, qualche loro parola, qualche consiglio di vita che ancora oggi custodiamo dentro di noi e che ci tiene vivi. Siamo qui perché un filo invisibile di amore ci tiene uniti, anche se distaccati. L’amore, infatti, non è vinto dalla morte, non c’è tomba che lo chiuda, non c’è macigno che lo rotoli via, non c’è cremazione che incenerisca l’amore. Come cristiani non possiamo limitarci a piangere, ma siamo chiamati a dire la nostra fede pasquale, che in modo testardo afferma che la morte non può far cessare il battito della speranza. Quello che sembra un sepolcro chiuso diventa per Gesù un grembo che ha partorito vita, quello che sembrava un seme marcito diventa un seme che si apre a portare frutto. 

Gli ultimi gesti di Gesù sono:mangiare, bere, profumarsi e cenare con i suoi amici. Oggi far memoria di chi si ama è andare alla ricerca di quel pane, di quel vino, di quel profumo di cui quella vita è stata riempita. Sembra che nella vita ci sia un pane, un vino, un profumo capaci di mettere in crisi la morte e di risvegliare i morti! Nel vangelo si dice che Maria torna dal sepolcro e non aveva Gesù, ma aveva il suo profumo, portava dentro il tono della sua voce e questo nessuno poteva portarglielo via. La risurrezione non cancella il corpo, non cancella l’umanità, non cancella gli affetti, li trasforma li trasfigura. Dio non fa morire, perché non è il Dio dei morti, ma dei vivi. Non sarà cancellato ciò che vale e con la morte troveremo modi nuovi per vivere insieme. Ne vangelo la prima parola del Risorto è una domanda rivolta a Maria: «Donna perché piangi?».Non èun invito a smettere di piangere, ma un inchinarsi verso di lei, per abbracciarla, per stringersi a lei, per condividere, per coinvolgersi, per portare insieme il dolore. In realtà Maria e noi piangiamo per amore, versiamo lacrime per chi amiamo. Piange chi ama molto. Oggi gli uomini rischiano di vivere come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto. Solo chi ama può dire di saper vivere!Noi non versiamo lacrime semplicemente perché una persona cara viene a mancare, ma anche perchéviene a mancare una parte della nostra vita. Quando qualcuno muore, qualcosa dentro di noi muore, ci sentiamo più poveri, derubati, privati di una presenza che regalava vita. Nella domanda «Perché piangi?» c’è tutta l’umanità di un Dio che prova sofferenza per il dolore dell’uomo, per le ferite del mondo che in alcuni momenti sembra una collina di sole croci. Gesù non spiega la sofferenza, non toglie il velo sulla morte e a questo proposito non conosciamo il parere di nessun esperto che ci spieghi la morte. Il vangelo ci sta dicendo che chi ama non muore mai!

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Domenica 31 ottobre 2021 - 31 - B (Mc 12,28b-34)

Tra tutti i comandamenti, qual è il primo? La domanda dello scrivano della Legge rivolta a Gesù non è polemica, ma esprime un dialogo fraterno tra due interpreti della parola rivolta dal Signore a Israele. L’interrogativo nasce da un’esigenza particolarmente sentita nell’ambiente giudaico.

Tra tutti i comandamenti, qual è il primo? La domanda dello scrivano della Legge rivolta a Gesù non è polemica, ma esprime un dialogo fraterno tra due interpreti della parola rivolta dal Signore a Israele. L’interrogativo nasce da un’esigenza particolarmente sentita nell’ambiente giudaico. Volendo essere sicuri di come comportarsi in tutte le circostanze della vita si erano costruiti 613 precetti, che per la maggior parte erano proibizioni e imposizioni. L’equivoco consisteva nel credere che l’essere religiosi fosse questione di quantità e di norme rispettate e di pratiche eseguite. In realtà tutti sapevano che il più grande comandamento era quello di santificare il Sabato, il giorno del riposo. Gesù risponde citando il testo biblico «Ascolta Israele» e all’amore verso Dio aggiunge quello verso il prossimo. In questo modo afferma l’unità dei due comandamenti. L’amore verso Dio e verso il prossimo suppone un fatto precedente: l’amore dell’uomo nasce da quello di Dio.

È mai possibile comandare di amare? Amare il Signore significa fare la sua volontà. L’amore è un’obbedienza riconoscente e consapevole. Anche nella lingua italiana il verbo obbedire deriva da audire/ascoltare. Anche noi per farci obbedire diciamo: “dammi ascolto!”. L’«Ascolta Israele» è un invito a udire la Parola per comunicarla e metterla in pratica. Del resto solo chi si sente amato è in grado di amare. Gesù non ci chiede di essere dei “perfetti”, degli “eroi”, ma di rimanere disponibili ogni giorno per imparare ad amare. La relazione con Dio non è più basata sulla semplice osservanza di una legge, ma sulla pratica di un amore che assomiglia a quello del Padre. Le regole sono strumenti, non tranquillizzanti della coscienza. Non siamo chiamati ad amare l’altro perché Dio lo comanda, ma perché l’altro tocca il nostro cuore. Non amiamo per Dio, ma per amore di chi ci sta davanti. A questo proposito diceva Madre Teresa. «Non so mai se chi dice di amare Dio, lo ami davvero, ma so che chi ama l’uomo, lo sappia o no, ama Dio».

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Domenica 24 ottobre 2021 - 30 – B (Mc 10,46-52)

L’incontro del cieco Bartimeo con Gesù, narrato nel vangelo, diventa un’ottima occasione per un controllo della nostra vista. Emerge un paradosso: chi è cieco vede Gesù e chi ha buona vista non lo riconosce. L’incontro con Gesù permette a Bartimeo di tornare a vedere, mentre i discepoli restano ciechi. Avere gli occhi, non significa “vedere”.

L’incontro del cieco Bartimeo con Gesù, narrato nel vangelo, diventa un’ottima occasione per un controllo della nostra vista. Emerge un paradosso: chi è cieco vede Gesù e chi ha buona vista non lo riconosce. L’incontro con Gesù permette a Bartimeo di tornare a vedere, mentre i discepoli restano ciechi. Avere gli occhi, non significa “vedere”. Chi è vicino non vede il povero che cerca di incontrare Gesù, fa muro, lo sgrida, perché i poveri disturbano, sempre. Lo vedono, ma non lo guardano e non lo osservano con attenzione per capire la sua fame di incontro con Gesù e il suo desiderio di guarigione. Vorrebbero non solo toglierselo dalla loro vista, ma anche da quella di Gesù. Bartimeo comincia a gridare: «Gesù abbi pietà di me». Ma lo sguardo di Gesù non si possa sulla sua moralità, ma sul suo dolore e gli dice «Chiamatelo». Con ironia proprio chi lo sgridava gli dice: «Coraggio, alzati, ti chiama». Chiamato il cieco getta il mantello e balza in piedi. La fede è qualcosa che moltiplica la vita!

Il cieco comincia a guarire quando Gesù raccoglie il suo grido, quando si sente accolto e avverte la compassione per lui. Come tutti anch’egli ha bisogno che per prima cosa qualcuno senta il suo grido: ascolti le sue ferite, la sua speranza, la sua fame di guarire, ha bisogno che uno gli voglia bene. Egli guarisce prima come uomo, poi come cieco. È così che Gesù invita i suoi a cambiare lo sguardo e insegna loro che non basta la vista degli occhi per vedere, ma è necessario aprire gli occhi del cuore. L’invocazione di Bartimeo «Signore che io veda di nuovo!» diventa così anche la nostra, perché Egli guarisca i nostri sguardi così superficiali, così maligni, così pronti al giudizio. Nelle tre parole che la folla dice a Bartimeo si nasconde il nostro triplice compito. «Coraggio», è la parola che regala speranza a chi grida un dolore. «Alzati», è il rimettere in piedi chi è seduto sulla sua ferita. «Ti chiama», è l’invito rivolto a chi soffre perché ascolti la voce di compassione. Al termine del racconto non manca l’ironia: tutti lo seguono, ma solo di Bartimeo si dice che «lo seguiva lungo la strada». Tutti quelli che pensano di vedere bene Gesù sono in realtà dei ciechi, mentre l’unico cieco ci vedeva benissimo! 

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Domenica 17 ottobre 2021 - 29 B (Mc 10,35-45)

Gesù è sulla strada che porta a Gerusalemme, alla croce. Giovanni, non un apostolo qualunque ma il preferito, il più vicino, il più intuitivo, chiede per sé e per suo fratello i primi posti. Vogliono che Gesù faccia come loro desiderano, cercano di piegare Gesù alle loro esigenze. Ma l’intero gruppo dei suoi discepoli si ribella, unanime nella gelosia. È come se Gesù avesse parlato a vuoto: «Non sapete quello che chiedete!».

Gesù è sulla strada che porta a Gerusalemme, alla croce. Giovanni, non un apostolo qualunque ma il preferito, il più vicino, il più intuitivo, chiede per sé e per suo fratello i primi posti. Vogliono che Gesù faccia come loro desiderano, cercano di piegare Gesù alle loro esigenze. Ma l’intero gruppo dei suoi discepoli si ribella, unanime nella gelosia. È come se Gesù avesse parlato a vuoto: «Non sapete quello che chiedete!». Non sapete a che cosa corrisponde la vostra fame di essere i primi, il vostro desiderio di ubriacarvi di potere. Siete come i grandi della terra che dominano sugli altri, ma «tra voi non sia così». Per Gesù il problema non sta nell’esistenza del potere, ma nell’esercizio di questo potere. Chi vuol essere “primo” diventi “servo”. In questo modo Gesù capovolge la vecchia idea su Dio e sull’uomo. Dio non è il Padrone dell’universo, ma il Servo di tutti. Non tiene il mondo ai suoi piedi, ma si inginocchia ai piedi delle creature, si cinge un asciugamano e lava loro i piedi.

Il vangelo ci sta dicendo che non ci è consentito rimuovere la croce, sostituendola con un posto d’onore. La nostra ossessione è quella di arrivare, di occupare un primo posto, di poter comandare altri. Al contrario Gesù afferma la differenza cristiana: gli altri dominano sia a destra che a sinistra, ma tra voi non sia così. Se volete essere miei discepoli voi vi metterete a fianco delle persone, o ai loro piedi, non al di sopra. Se gli altri opprimono le persone, voi le solleverete; se gli altri cercano i troni, voi cercherete un grembiule; se gli altri cercano un vantaggio per loro, voi cercate il vantaggio per gli altri. L’amore non cerca di cambiare l’altro, ma cambia innanzitutto chi ama. Non è facile scegliere di essere servi, perché abbiamo paura che il servizio sia nemico della felicità. Non solo i grandi della terra, ma tutti esercitiamo dei poteri: il potere di far felice qualcuno, di far soffrire qualcuno, di ferire con una parola, di calunniare altri… Gesù in cammino per donare la vita ci sta dicendo: non chiederti: chi sono gli altri per meritare il mio aiuto?, ma chiediti: chi sono io per non aiutarli?

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Domenica 10 ottobre 2021 - 28 - B(Mc 10,17-30)

Il vangelo ci narra dell’incontro di Gesù con un uomo ricco, senza nome e quindi senza una dignità riconosciuta. Sente che qualcosa gli manca. Corre verso Gesù perché avverte un vuoto dentro di sé e con le più belle intenzioni gli chiede: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Che tradotto vuol dire: cosa devo fare per essere felice? 

Il vangelo ci narra dell’incontro di Gesù con un uomo ricco, senza nome e quindi senza una dignità riconosciuta. Sente che qualcosa gli manca. Corre verso Gesù perché avverte un vuoto dentro di sé e con le più belle intenzioni gli chiede: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Che tradotto vuol dire: cosa devo fare per essere felice? Gesù gli fa una prima proposta «Osserva i comandamenti». In realtà quell’uomo li aveva avendoli osservati fin da piccolo ed era andato da Gesù perché altri maestri non l’avevano convinto, non l’avevano aiutato a colmare la sua sete di vita. Gesù va oltre l’osservanza dei comandamenti e fissandolo con amore gli dice di tradurli: «Va vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo. E vieni e seguimi!». Ma quell’uomo arrivato correndo se ne va camminando, arrivato entusiasta se ne va pensieroso e triste. L’incontro con Gesù sembrava facile, ma gli è diventato scomodo.

Quanti di noi assomigliano a quell’uomo. Osserviamo i comandamenti, andiamo alla messa tutte le domeniche, magari partecipiamo a qualche momento formativo in parrocchia, ma nel cuore non siamo contenti. Gesù ci sta dicendo che per essere felici serve uno scopo nella vita, un motivo per cui valga la pena di vivere, per cui saremmo pronti a dare tutto. Noi rischiamo di cercare la felicità nel possesso perché ci da sicurezza e invece è proprio il possesso il motivo che ci rende infelici. Il vangelo capovolge la nostra mentalità: la vita ha senso per il bene che si sceglie e non per i beni che si possiedono. Come quell’uomo anche noi crediamo di possedere i nostri beni e in realtà spesso ne siamo posseduti. Il tesoro che si cerca, la felicità che si desidera cresce mano a mano si dona. Che cosa si guadagna donando agli altri? Si ottiene la «vita eterna». Non è la vita del futuro, ma la vita di oggi piena, compiuta, realizzata. Vuoi essere felice? – dice Gesù, fai felice qualcuno. Il segreto per essere felici è fare felici altri! Nella comunità del Regno di Dio c’è posto per i signori, non per i ricchi. Qual è la differenza? Il signore è colui che dà, condivide con gli altri; il ricco è colui che trattiene per sé. Il vangelo ha un’aria di sfida: gli uomini pensano che la sicurezza stia nell’accumulo, per Gesù la sicurezza, la felicità stanno nel condividere con gli altri. Non c’è niente che faccia più arrabbiare la gente che vederti felice e Gesù direbbe: felice quando fai felice qualcuno!

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Domenica 3 ottobre 2021 - 27 - B (Mc 10,2-16)

I farisei rivolgono a Gesù una domanda trabocchetto, una domanda sul divorzio: «È lecito a un marito ripudiare la moglie?». In realtà ai farisei non interessa la questione del matrimonio, ma mettere in difficoltà Gesù. A loro interessa vedere se Gesù sta dalla parte dei permissivi che con facilità divorziano o dalla parte dei bacia banchi che sono intransigenti.

I farisei rivolgono a Gesù una domanda trabocchetto, una domanda sul divorzio: «È lecito a un marito ripudiare la moglie?». In realtà ai farisei non interessa la questione del matrimonio, ma mettere in difficoltà Gesù. A loro interessa vedere se Gesù sta dalla parte dei permissivi che con facilità divorziano o dalla parte dei bacia banchi che sono intransigenti. La risposta la conoscevano tutti, perché secondo la tradizione di Israele l’uomo poteva cacciare la moglie non solo per l’infedeltà, ma anche perché usciva con i capelli sciolti, perché si fermava a parlare con un estraneo, perché bruciava il pasto… Insomma il maschio aveva mille motivi per divorziare dalla moglie. Alla domanda dei farisei se sia lecito o meno agire secondo la Legge, Gesù va oltre ciò che è lecito e illecito e li riporta al sogno di Dio nella creazione. Per Dio la vita non si riduce a obbedire a delle regole, ma a vivere in pienezza il vangelo dell’amore. Agli sposati, quindi, è dato il compito di rendere visibile nel mondo il Suo amore fedele e fecondo, dentro le fatiche, le fragilità e le contraddizioni di ogni giorno. Nell’unione della differenza tra maschio e femmina Dio si rende presente! Dopo aver parlato gli portano a Gesù dei bambini, persone che si fidano, che cercano l’abbraccio senza timore, la protezione senza paura. 

Si tratta di imparare dal modo con cui Dio ci ama. Nonostante amicizie spente, amori falliti, tradimenti commessi o subiti, vale la pena amare e rischiare una relazione. Le leggi umane posso registrare un fallimento, ma Gesù invita ad andare oltre dicendo: noi non siamo il nostro fallimento, il nostro valore è superiore. Quando un bambino impara a camminare cade, ma nessun genitore gli dirà “resta a terra, tu non sei fatto per camminare!”. Una mamma e un papà, invece, con tanta tenerezza lo rimettono in piedi, lo incoraggiano e gli fanno capire che lui vale più delle sue cadute. Dio ci ama così! Ci sono tante cause che portano le persone a rompere il rapporto matrimoniale. Spesso si capisce che era solo un innamoramento, una semplice cotta giovanile. A volte si pensa ingenuamente che un rapporto funzioni bene quando non ci sono problemi. Talvolta si divorzia per capriccio… In realtà i problemi ci sono e occorre essere capaci di starci dentro. Smettiamola di discriminare le persone per i propri fallimenti, ma anche di esibirli per giustificarsi. Nella vita si sbaglia, si cade, ma non significa che non valga la pena di rischiare di amare. Gesù ci dice che non si ama se non si soffre, che non si ama se non si ha paura di perdere. Quando si ama si è vivi, forse male, forse bene, ma vivi. Al contrario se si smette di amare si muore, se non si è amati si scompare. Il vangelo ti sta dicendo che se l’amore ti ferisce, cura le tue cicatrici e non smettere di credere nell’amore, perché finché ami sei vivo.

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Domenica 26 settembre 2021 - 26 - B (Mc 9 38-43.45.47-48)

Gesù sta camminando verso Gerusalemme, verso la croce e istruisce i suoi discepoli. Questi si accorgono che qualcuno guarisce e scaccia i demoni nel nome di Gesù «e volevano impedirglielo» perché non era del loro gruppo. E Gesù reagisce dicendo che non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome per poi parlare male di me. I discepoli ragionano dicendo: chi non è dei nostri non può fare il bene. Gesù risponde: quelli che fanno il bene sono tutti dei nostri! 

Gesù sta camminando verso Gerusalemme, verso la croce e istruisce i suoi discepoli. Questi si accorgono che qualcuno guarisce e scaccia i demoni nel nome di Gesù «e volevano impedirglielo» perché non era del loro gruppo. E Gesù reagisce dicendo che non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome per poi parlare male di me. I discepoli ragionano dicendo: chi non è dei nostri non può fare il bene. Gesù risponde: quelli che fanno il bene sono tutti dei nostri! E al discepolo dice: Fa in modo che la tua mano, il tuo piede, i tuoi occhi, non diventino occasione di scandalo, cioè motivo di inciampo, di trappola sulla strada di qualcuno. Non dare sempre la colpa agli altri del male, non pensare che solo tu puoi fare del bene: tu porta il tuo bicchiere d’acqua, perché basta un sorso d’acqua per essere di Cristo! Impara a godere di tutto il bene del mondo, da chiunque sia fatto.

Gesù ci sta dicendo che Dio è più grande della chiesa e che il bene è presente dappertutto. È successo che nei secoli la chiesa si è sentita come l’arca di Noè: fuori di lei nessuna salvezza. In realtà chiunque fa il bene, ha Dio come suggeritore. Due sono le grandi piaghe che la chiesa nei secoli ha sperimentato: il clericalismo e il trionfalismo. Il primo diceva: Solo il clero possiede Dio! Il secondo: Solo la Chiesa detiene la verità! Per fortuna Dio non si lascia imprigionare da nessuno. Il gruppo dei dodici di ieri e il gruppo dei cristiani di oggi, rischiano di sentirsi una sorta di casta, credendo di avere l’esclusiva di fare il bene, di guarire, di dissetare. Anche noi oggi siamo dentro questo rischio di chi pensa o dice: non è dei nostri, non è italiano, non è un cattolico, non è battezzato, non è sposato in chiesa, non è praticante, non è iscritto a nessun gruppo di preghiera… quindi non può fare del bene. In realtà, secondo Gesù la vera distinzione non è tra chi va in chiesa e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all’uomo bastonato dai briganti, si china, versa olio e vino, e chi invece tira dritto. Ciò che scandalizza dei discepoli è la loro presunta sicurezza di essere così vicini al Maestro da sentirsi autorizzati a prendere le distanze da chi attende un bicchiere d’acqua. 

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Domenica 19 settembre 2021 - 25 - B (Mc 9,30-37)

I discepoli sperimentano un altro momento di crisi con Gesù. Per paura non lo interrogano, per vergogna non gli rispondono. Camminano per la stessa strada, ma i loro cuori sono su vie diverse. Nel vangelo di Marco per tre volte Gesù dice che sta per essere consegnato nelle mani dagli uomini, che lo uccideranno e dopo tre giorni risusciterà. Ma i discepoli non capiscono queste parole. Lui parla di dare la vita e i discepoli discutono di chi sia il più grande fra loro!

I discepoli sperimentano un altro momento di crisi con Gesù. Per paura non lo interrogano, per vergogna non gli rispondono. Camminano per la stessa strada, ma i loro cuori sono su vie diverse. Nel vangelo di Marco per tre volte Gesù dice che sta per essere consegnato nelle mani dagli uomini, che lo uccideranno e dopo tre giorni risusciterà. Ma i discepoli non capiscono queste parole. Lui parla di dare la vita e i discepoli discutono di chi sia il più grande fra loro! Essi tacciono, imbarazzati, perché non hanno certo di che vantarsi a motivo dell’argomento della loro discussione. Non basta fare la strada con Lui, occorre portare la croce della sua scala di valori. Gesù si siede accanto ai suoi e ribalta l’ordine delle cose dicendo: «Se uno vuole essere il primo dovrà farsi ultimo di tutti e servo di tutti». Prende un bambino, uno che per la società del tempo non conta, che sa di aver bisogno, lo mette in mezzo, lo abbraccia e identificandosi con lui afferma che è grande chi serve una piccola e fragile persona.

Senza rendercene conto tutti cerchiamo continuamente riconoscimento, gratificazione, conferme. Tutti cerchiamo di guadagnarci un angolo di palcoscenico sul film della vita, per saziare in qualche modo la nostra fame di protagonismo. Che cosa non si fa per avere una “sedia”, un posto d’onore, nel mondo e nella chiesa! Tutti si proclamano servi… nella Chiesa, nella società e nella politica, ma spesso succede di essere servi a spese degli altri, non a favore degli altri. Si cercano poltrone per servire, quando per servire occorre il grembiule. Qualcuno si pensa servo sognando la carriera ecclesiastica, un altro siede in parlamento raccomandando di non dire a sua mamma che lavora in politica… Gesù non abolisce le gerarchie, ma le rovescia, perché non ci preoccupiamo della nostra grandezza, ma di dare onore a chi non ce l’ha. Egli ci dice: non perdere tempo a calcolare la tua statura. Sei grande non se occupi un posto di riguardo, ma se nella tua vita c’è un posto di riguardo per chi è privo di grandezza. Per Gesù solo chi è libero di mettersi all’ultimo posto è davvero il primo della lista, solo chi cammina insieme agli altri e non sopra gli altri è la persona grande: l’unico momento in cui a una persona grande è dato di guardare un altro dall’alto in basso, è per aiutarla a sollevarsi. 

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Domenica 12 settembre 2021- 24 - B (Mc 8,27-35)

In questa domenica Gesù interroga i suoi discepoli e noi insieme. Ecco la domanda a sorpresa: «La gente chi dice che io sia?». Aa Gesù, tuttavia, non interessa fare un semplice sondaggio d’opinione, non vuole sapere il parere della gente quando ripete nomi di personaggi morti: Elia, i profeti, il Battista. Gesù passa quindi a una domanda diretta: «Ma voi chi dite che io sia?». Lo chiede a loro insieme a me e a te che ascoltiamo oggi la sua parola. Pietro ha la risposta pronta: «Tu sei il Cristo».

In questa domenica Gesù interroga i suoi discepoli e noi insieme. Ecco la domanda a sorpresa: «La gente chi dice che io sia?». A Gesù, tuttavia, non interessa fare un semplice sondaggio d’opinione, non vuole sapere il parere della gente quando ripete nomi di personaggi morti: Elia, i profeti, il Battista. Gesù passa quindi a una domanda diretta: «Ma voi chi dite che io sia?». Lo chiede a loro insieme a me e a te che ascoltiamo oggi la sua parola. Pietro ha la risposta pronta: «Tu sei il Cristo». L’affermazione è corretta, ma lontana dal cuore. Gesù non vuole sapere l’opinione di Pietro, ma se ha capito ciò che sta dicendo. Infatti Gesù insegna che dovrà soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e dopo tre giorni risorgere. Per questo rimprovera Pietro chiamandolo “Satana”. Ha risposto bene, ma non ha capito che si salva chi perde la vita per gli altri.

Il vangelo ci sta dicendo che non si può essere discepoli per abitudine, con stanchezza, perché “si deve”, perché “si è sempre fatto così”. Non dobbiamo chiederci perché si svuotano le chiese, ma di che cosa le abbiamo riempite! Finalmente stiamo passando da un cristianesimo sociologico a un cristianesimo di convinzione. Gesù non è interessato all’opinione di Pietro o alla nostra opinione su di Lui, ma vuole sapere se lo amiamo. Nessuno ama una persona “per sentito dire”! Questo Cristo non è ciò che dico di Lui, ma ciò che vivo di Lui. È come il mio respiro, senza il quale non vivo, è come il mio cuore senza il quale non sarei al mondo. Tuttavia ai discepoli di ieri e di oggi questo Dio debole, sofferente e mortale, proprio non va giù. È così che Pietro e noi abbiamo la presunzione di rimproverare Dio. Noi cerchiamo un Dio vincitore, non che si lascia sconfiggere. Noi vogliamo vincere con la forza della violenza, mentre Dio vince con la forza dell’amore. A chi lo tradisce lui risponde con un bacio, a chi meriterebbe di essere spezzato, lui spezza se stesso. Tutto il vangelo descrive Pietro come il testimone per eccellenza di Gesù, senza mai essere un eroe. Non si comporta da roccia, ma da pietra friabile: sbaglia, fraintende, piange, tradisce, si sente chiamare “Satana”. Non ci è chiesto di essere “persone infrangibili”, ma testimoni del Vangelo dentro la nostra fragilità. Gesù ci dice: non lasciatevi sedurre dall’illusione di non essere deboli. Pietro è grande proprio per la sua fragilità. A noi deve bastare ciò che siamo, persone normali che non nascondono la loro precaria umanità. Solo così Gesù potrà dire di ciascuno di noi: “beato te”. Perché capace di riconoscere la tua fragilità e di rimetterla nelle mani di Dio puoi diventare una pietra di appoggio per altri uomini e donne come te. 

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Sergio Gaburro Sergio Gaburro

Domenica 5 settembre 2021 - 23 - B (Mc 7,31-37)

Dopo lo scontro con scribi e farisei su questioni religiose Gesù si ritrova in terra pagana e proprio qui, con ironia, trova una fede grande. La religione è fatta anche di pratiche di pietà, ma la fede è ciò che si vive dentro il cuore e Dio guarda solo questo. A Gesù gli portano un sordomuto: un uomo imprigionato nel silenzio, isolato, con una vita arrotolata su se stessa, come la sua lingua. Non va da solo, ma da un gruppo di persone che gli vogliono bene è portato davanti a colui che è la Parola.

Dopo lo scontro con scribi e farisei su questioni religiose Gesù si ritrova in terra pagana e proprio qui, con ironia, trova una fede grande. La religione è fatta anche di pratiche di pietà, ma la fede è ciò che si vive dentro il cuore e Dio guarda solo questo. A Gesù gli portano un sordomuto: un uomo imprigionato nel silenzio, isolato, con una vita arrotolata su se stessa, come la sua lingua. Non va da solo, ma da un gruppo di persone che gli vogliono bene è portato davanti a colui che è la Parola. Pregano Gesù di imporgli la mano, ma egli fa molto di più. In disparte pone le dita sugli orecchi del sordo e con la saliva tocca la sua lingua, quasi a dire: ti dò qualcosa di mio che viene dalla mia bocca, dove si trova il respiro e la parola simboli di vita. E con un sospiro dice la parola “Apriti”, un programma per dire: lascia entrare qualcosa di nuovo nella tua vita!

Questo sordomuto è il simbolo di noi stessi quando ci chiudiamo nei nostri pensieri e non riusciamo più a comunicare con gli altri. È ogni persona che non sa parlare, che non sa ascoltare o che ascolta a mezzo orecchio, sperando solo che l’altro finisca in fretta. Chi non sa ascoltare il proprio fratello presto non saprà neppure ascoltare Dio: sarà sempre lui a parlare, anche con il Signore. In quante famiglie si parla tra sordi, quanti figli perduti nelle nostre case, quando forse bastava solo ascoltarli! Chi non ascolta perde la parola, perché parla senza toccare il cuore dell’altro. Spesso siamo così sordi da non rendercene conto, così muti da non dire un parola e non vogliamo lasciarci aiutare e portare da nessuno. Gesù ci dice che per guarire altri occorre cercare un incontro personale vero, non una dimostrazione di piazza. Non è la fuga dal mondo, sui monti o in qualche monastero, ma forse basta un angolo della casa, il cellulare spento. Inoltre suggerisce dei gesti. Il primo consiste nel mettere le dita nelle orecchie dell’altro, per togliere i tappi che impediscono di sentire. Se non senti il tuo malessere come fai a guarire? Non a caso oggi abbondano psicofarmaci e ansiolitici per continuare a correre e non sentire il disturbo interiore. Il secondo gesto del toccare la lingua con la saliva, richiama lo sputo di Dio che crea Adamo. Gesù ci dice: apriti alla vita, prova a raccontarti non ripetendo parole di altri, ma dicendo quelle trovi dentro di te. La cosa più difficile non è guarire, ma dare un nome al dolore, alle fragilità, alle ferite. Sappiamo bene che ci si può sputare addosso senza aprire la bocca e che possiamo aiutarci senza dire una parola. Gesù sembra dire: non usare la tua saliva per sputare in faccia a quelli che non sopporti, ma usa il tuo respiro e la tua parola per rimetterli in piedi.

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Domenica 29 agosto 2021 - 22 B - (Mc 7,1-8,14-15,21-23)

Nel vangelo Gesù segnala il rischio di essere degli osservanti alle regole e non degli obbedienti al Vangelo. I farisei e alcuni scribi criticano i discepoli di Gesù perché prendono cibo senza lavarsi le mani. Si pensava che toccando certe persone o certi oggetti considerati impuri ci si contaminava e per tornare di nuovo puri bisognava lavarsi le mani. Alla base c’è l’idea che per stare davanti a Dio è necessario purificarsi da tutto ciò che potrebbe offenderlo e farlo arrabbiare.

Nel vangelo Gesù segnala il rischio di essere degli osservanti alle regole e non degli obbedienti al Vangelo. I farisei e alcuni scribi criticano i discepoli di Gesù perché prendono cibo senza lavarsi le mani. Si pensava che toccando certe persone o certi oggetti considerati impuri ci si contaminava e per tornare di nuovo puri bisognava lavarsi le mani. Alla base c’è l’idea che per stare davanti a Dio è necessario purificarsi da tutto ciò che potrebbe offenderlo e farlo arrabbiare. L’atteggiamento dei farisei interpreta una certa mentalità incapace di rallegrarsi per una folla saziata, ma che ha il coraggio di rattristarsi perché non sono state osservate le regole. Certa gente non  avrebbe nulla da ridire per il fatto che alcuni muoiono di fame, purché abbiano le mani pulite! Il problema non è se e come mi lavo le mani prima di mangiare, ma se guardo a Dio come un ispettore dell’Azienda Sanitaria Locale o come un Padre che si prende cura di me. Gesù li chiama “ipocriti”, attori, recitanti, controllori delle regole e non del cuore, che per l’ebreo è la sede delle decisioni umane.

Gesù supera l’assurdità dell’osservanza delle regole fine a se stessa e riconduce tutto al vero centro: il cuore dell’uomo. Condanna i farisei sia perché hanno deformato il comandamento di Dio e gli fanno dire ciò che vogliono, sia perché non ci sono cose pure o impure, ma solo le persone possono essere religiosamente pure o impure. Ciò che conta non è l’esteriorità, ma quello che succede dentro le persone. Egli non vuole che i cristiani diventino “scimpanzé a doppio petto”, che fanno bella mostra di sé e poi mascherati nascondono una seconda vita. Gesù chiama anche noi “ipocriti”, quando il nostro viso si riempie di lacrime e nel cuore godiamo del male degli altri, quando applichiamo le regole per gli altri e le interpretiamo per noi stessi. Gesù non contesta le regole, ma la falsità di chi pensa di onorare Dio fermandosi all’osservanza delle leggi religiose. Il rischio è che le labbra dicano «Credo in un solo Dio» e poi i piedi camminino verso altre divinità. Il rischio è che le labbra promettano generosità e che le mani rimangano chiuse nel possesso. Il rischio è che le labbra cantino la lode a Dio e che le orecchie non siano pronte ad ascoltare la sua Parola e le parole di quelli che domandano aiuto. Lo stesso Pirandello diceva: “nella vita imparerai a tue spese che incontrerai tante maschere e pochi volti”. Ma noi abbiamo fiducia che possiamo togliere la nostra maschera, perché le persone che incontriamo possano riconoscere il nostro vero volto!

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Domenica 22 agosto 2021 - 21 - B (Gv 6,60-69)

Gesù aveva sfamato la folla con la condivisione del pane e la gente pensava di aver trovato un panettiere a buon mercato, la soluzione del problema della fame del mondo… e lui parla di se stesso come il pane della vita. Credevano di seguire un Messia trionfatore, ma quando lo sentono parlare avvertono che la sua parola è dura (skleros!), pesante, insopportabile. Pensavano di mangiare il pane e invece Gesù chiede di diventare pane! Con un tono quasi ironico Gesù chiede alla folla e ai discepoli: «Questo vi scandalizza? […] Volete andarvene anche voi?».

Gesù aveva sfamato la folla con la condivisione del pane e la gente pensava di aver trovato un panettiere a buon mercato, la soluzione del problema della fame del mondo… e lui parla di se stesso come il pane della vita. Credevano di seguire un Messia trionfatore, ma quando lo sentono parlare avvertono che la sua parola è dura (skleros!), pesante, insopportabile. Pensavano di mangiare il pane e invece Gesù chiede di diventare pane! Con un tono quasi ironico Gesù chiede alla folla e ai discepoli: «Questo vi scandalizza? […] Volete andarvene anche voi?». Incomprensione significa rifiuto e la crisi striscia anche nella cerchia dei discepoli. Il paradosso è questo: si tratta di credere, solo dopo si capisce meglio. Noi abbiamo la pretesa di veder chiaro prima di credere. La vita ci insegna che prima si diventa amici e poi si comincia a conoscersi, prima ci si innamora e poi si inizia a conoscere la moglie e il marito. 

Tanti cristiani si sentono in regola con tutti i sacramenti, ma se il Vangelo non diventa vita, modo di parlare, criterio di giudicare, metodo per scegliere rimane semplicemente inutile: un bel raccontino. E Gesù ci ripete: «Volete andarvene anche voi?». Egli delude ancora oggi chi lo cerca come un mago, pronto a esaudire le richieste, i desideri, le suppliche. Gesù passa per un illuso che vuole convertire la folla con l’amore. Eppure in tempo di crisi non svende il suo prodotto, non concede facilitazioni, non addolcisce le sue esigenze. Gioca al rialzo. Preferisce restare solo, piuttosto che concedere facilitazioni. Non contratta la sua parola esigente, non allarga la porta stretta d’ingresso. Credere non significa firmare una lista di verità, ma seguire una Persona e farne il centro, il senso della propria vita. Siamo nati in un paese cristiano, formalmente siamo tutti cristiani, ma siamo sicuri che la nostra fede sia così vera? Non credo che la chiesa oggi sta diventando sempre più una minoranza perché la parola di Gesù è dura, ma forse perché un certo stile ecclesiastico di trattare tutti da minorenni, è la strada maestra che allontana dalla comunità cristiana. Dio non smette di seminare nel cuore di ciascuno quella sana inquietudine che torna a ripetere come Pietro: «Signore da chi andremo?». Non dove andremo, ma da chi! Il problema è da chi andare.

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Domenica 15 agosto 2021-Assunzione di Maria-B (Lc 1,39-56)

Maria assunta in cielo ci dice che è viva presso quel Dio che ha fatto risorgere il figlio Gesù. Nella scena del vangelo ci viene detto come Dio viene nella storia. Maria ed Elisabetta sono parenti, hanno gravidanze strane, mariti scettici, figli speciali. Come le due donne si capiscono al volo perché condividono cose simili, così noi capiamo gli altri quando ci capitano le stesse cose. Tutta la scena dell’incontro fra le due donne è segnata dallo stupore inteso come la capacità di meraviglia, di sorpresa, di disorientamento provocato da qualcosa di non atteso.

Maria assunta in cielo ci dice che è viva presso quel Dio che ha fatto risorgere il figlio Gesù. Nella scena del vangelo ci viene detto come Dio viene nella storia. Maria ed Elisabetta sono parenti, hanno gravidanze strane, mariti scettici, figli speciali. Come le due donne si capiscono al volo perché condividono cose simili, così noi capiamo gli altri quando ci capitano le stesse cose. Tutta la scena dell’incontro fra le due donne è segnata dallo stupore inteso come la capacità di meraviglia, di sorpresa, di disorientamento provocato da qualcosa di non atteso. Il saluto di Maria provoca in Elisabetta il sussulto del bambino che porta dentro ed Elisabetta risponde dicendo «Benedetta tu fra le donne». Lo stupore si fa lode nei confronti di Colui che è datore della vita, si fa ringraziamento verso Colui che guida la storia, si fa gratitudine per le grandi cose che sa operare nella vita di ciascuno. L’incontro con Dio cambia il nostro sguardo sulle persone.

Oggi siamo a corto di stupore. Pensiamo di sapere un po’ tutto: sulla vita, sulle persone, su Dio. abbiamo sempre una risposta immediata. Non siamo più capaci di stupirci di nulla, perciò cerchiamo emozioni nuove, esperienze diverse, sussulti strani e non riusciamo a meravigliarci del mistero della vita. Alla maniera di Maria facciamo fatica a ringraziare, a lodare, a riconoscere come grande il Dio della vita. Oggi la stessa Maria di Nazareth ci invita ad uscire dalla sua statua di gesso, di legno, di plastica, per conoscerla come la fanciulla di Galilea, la madre di Gesù, la discepola del Figlio, la donna che ha vissuto le preoccupazioni, i travagli e le gioie di ogni mamma. Noi abbiamo trasformato questa donna ebrea in “madonna”, sviluppando devozioni non sempre cristiane e tuttavia fruttuose per il commercio. Le apparizioni fanno correre molti per vederla lacrimante, comprensiva o che rimprovera. L’abbiamo resa “madonna della grazia e delle grazie”, patrona e icona universale: bianca, nera e meticcia. È così che abbiamo messo in seconda fila o addirittura in terza il figlio Gesù. Dimenticando così che è il Signore «che ha innalzato gli umili», perché anche noi impariamo a rialzare altri. Nella vita, infatti, non c’è cosa più importante che chinarsi perché un altro,cingendoti il collo,possa rialzarsi.

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Domenica 8 agosto 2021 19 B (6,41-51)

Incapaci di leggere in profondità il comportamento di Gesù, i giudei mormorando avevano preteso un altro miracolo dimostrativo per potergli credere. In fondo la reazione della gente è giustificata: chi si crede di essere quel Gesù? Anche lui è nato, come tutti, da una madre e un padre! In Gesù la gente non vedeva nulla di eccezionale, appariva loro poco religioso, poco propenso a risolvere i problemi: non combaciava con la loro idea di Dio. Gesù li invita a non mormorare dello stile di Dio che per raccontarsi sceglie persone normali, deboli, socialmente sconosciute, prive di importanza.

Incapaci di leggere in profondità il comportamento di Gesù, i giudei mormorando avevano preteso un altro miracolo dimostrativo per potergli credere. In fondo la reazione della gente è giustificata: chi si crede di essere quel Gesù? Anche lui è nato, come tutti, da una madre e un padre! In Gesù la gente non vedeva nulla di eccezionale, appariva loro poco religioso, poco propenso a risolvere i problemi: non combaciava con la loro idea di Dio. Gesù li invita a non mormorare dello stile di Dio che per raccontarsi sceglie persone normali, deboli, socialmente sconosciute, prive di importanza. Mosè era balbuziente, Amos un contadino, Davide il più piccolo dei fratelli quando fu scelto da Samuele per essere profeta, Maria e Giuseppe non erano delle autorità, i dodici erano persone del popolo. A quelli che cercavano il pane Gesù risponde: «Io sono il pane». La sua persona è nutrimento, la sua parola è cibo, il suo stile di vita è sostentamento. Egli non è un pane qualunque, ma che fa vivere in eterno. L’espressione non significa semplicemente una vita che dura per sempre oltre la morte, ma vissuta in profondità, una vita piena che va al di là di noi stessi.

Il Dio che Gesù racconta non è un’idea, ma un Dio che si fa pane, si fa corpo. È un Dio che si piega sull’umanità ferita, suda e si stanca, si commuove e sorride, ama l’amicizia e l’accoglienza. Non è il Dio che fa paura, ma un Dio bambino che per vivere cerca il piccolo seno della madre, un Dio che muore sulla croce per portare insieme tutte le croci. Un Dio così ci disorienta! Noi vorremo un Dio che risolve i problemi e invece li condivide, vuole la nostra collaborazione. Se stiamo per affogare nel lago non basta che qualcuno ci lanci un salvagente, ma occorre che noi lo afferriamo. Gesù ci sta dicendo che Dio abita nell’umanità povera e inquieta. È nascosto, incarnato nelle persone, nelle situazioni, nella storia: Dio non si vede, ma si riconosce. Gesù non cade mai nella trappola dell’apparenza, non cerca Dio nei palazzi del potere e mentre i discepoli erano come abbagliati dalle bellezze delle pietre del Tempio, Gesù era tutto intento a osservare il gesto della vedova che mette i due spiccioli nella cassa. Mentre cammina si accorge del movimento di Zaccheo, dei giochi dei bambini, del grido del cieco, dell’emorroissa che tocca il suo mantello. Talvolta ci basta guardare una persona per dire: è buona come il pane. E noi delle persone pane ne abbiamo bisogno, perché si regalano il nutrimento di Dio. Per stare in piedi non ci basta il pane dello stomaco, ma abbiamo bisogno anche del pane della vicinanza umana, di un abbraccio. Un abbraccio è come il pane, è staccare un pezzettino di sé, per donarlo all’altro, affinché possa nutrirsi e continuare il proprio cammino: meno solo.

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Domenica 1 agosto 2021 18 - B (Gv 6,24-35)

Dopo la condivisione dei pani la gente cerca Gesù e pensa: finalmente un Messia che risolve i problemi! La folla non vuole perderlo di vista e si è messa in testa, addirittura, di farlo re. Ma Gesù sente che quella gente ha fame di cose spettacolari, vorrebbe vivere di miracoli e denuncia: «Voi mi cercate perché avete mangiato i pani e vi siete saziati» senza capirne il significato. La folla non cerca Dio, ma i suoi vantaggi. Provocata, la gente pone la domanda: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?».

Dopo la condivisione dei pani la gente cerca Gesù e pensa: finalmente un Messia che risolve i problemi! La folla non vuole perderlo di vista e si è messa in testa, addirittura, di farlo re. Ma Gesù sente che quella gente ha fame di cose spettacolari, vorrebbe vivere di miracoli e denuncia: «Voi mi cercate perché avete mangiato i pani e vi siete saziati» senza capirne il significato. La folla non cerca Dio, ma i suoi vantaggi. Provocata, la gente pone la domanda: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Essi pensano subito a qualcosa da fare, a delle opere da compiere, per meritarsi l’approvazione e la simpatia di Dio. Gesù tuttavia non fa l’elenco delle opere, ma ne domanda una sola: «Che crediate in colui che egli ha mandato». L’unica opera da fare, secondo Gesù, è la fede. Egli non rifiuta il pane da mangiare, ma sa che «non di solo pane vive l’uomo». Egli offre qualcos’altro che va oltre il piatto di pasta o di minestra, perché alla vita serve anche un senso, un abbraccio, una parola, una mano tesa. È la fede in Gesù che genera il miracolo.

Gesù ci sta dicendo che oltre alla fame dello stomaco, c’è nell’uomo una fame più grande: fame di amare e di essere amati, fame di felicità vera, fame di pace nel cuore. La domanda scomoda che egli pone ai discepoli di ieri, ma anche di oggi è questa: «Perché mi cercate?» Che cosa vi aspettare da me? Quali attese volete colmare? Perché la domenica mi cercate venendo alla messa? Mi cercate perché avete paura del peggio? Mi cercate con un po’ di superstizione tipica di chi pensa: non si sa mai? Mi cercate perché vi sentite vuoti con la pancia piena? Gesù ci suggerisce di guardarci dentro, di non aver paura di Dio, di togliere le nostre maschere, di ascoltare la sua parola. La domanda della gente del vangelo è la nostra: come credere in Gesù? «Credere in lui» non è un semplice atto della mente, un atto religioso, ma significa imparare a pensare, a sentire, a parlare, ad amare, a comportarsi, a soffrire come lui. Credere in Gesù vuol dire come lui vivere e darsi da fare per qualcuno in modo umano. Al contrario non interessarsi alla vita degli altri, vivere tutto con indifferenza, chiudersi nei nostri interessi, cercare da gente che sta bene la ricchezza che ci manca, chiudere gli occhi sulla sofferenza degli altri, sono tutti indizi tipici di chi fa girare il mondo intorno a se stesso. Il non credente, quindi, è colui che crede più in se stesso che in Gesù, è colui che è più interessato a conoscere il bollettino meteo del fine settimana che non il senso della propria vita. 

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Domenica 25 luglio 2021 - 17 - B (Gv 6,1-15)

Se domenica scorsa la folla era senza pastore, oggi sono pecore che hanno fame. Gesù riconosce anche i bisogni del corpo. Per la Bibbia l’uomo non “ha” un corpo, ma “è” un corpo, compreso come il luogo dove abita Dio. Nel corpo c’è tutto ciò che unisce una persona alle altre: la parola, lo sguardo, il gesto, l’ascolto, il cuore. Questo è il motivo per cui Gesù ci ha donato il suo corpo, cioè la sua storia, il suo stile di vita. Al centro del racconto del vangelo c’è Gesù, un maestro attento e concreto che vede il bisogno della grande folla, che attira l’attenzione dei discepoli e che distribuisce il cibo.

Domenica 25 luglio 2021 - 17 - B (Gv 6,1-15)

Se domenica scorsa la folla era senza pastore, oggi sono pecore che hanno fame. Gesù riconosce anche i bisogni del corpo. Per la Bibbia l’uomo non “ha” un corpo, ma “è” un corpo, compreso come il luogo dove abita Dio. Nel corpo c’è tutto ciò che unisce una persona alle altre: la parola, lo sguardo, il gesto, l’ascolto, il cuore. Questo è il motivo per cui Gesù ci ha donato il suo corpo, cioè la sua storia, il suo stile di vita. Al centro del racconto del vangelo c’è Gesù, un maestro attento e concreto che vede il bisogno della grande folla, che attira l’attenzione dei discepoli e che distribuisce il cibo. Vede la fame, prova compassione e decide di intervenire. Alla parola di Gesù rivolta a Filippo «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?», risponde un ragazzo coraggioso, senza nome, che mette in gioco il pane dei poveri e due pesci. Gesù fa sedere quegli individui, come mangiavano i signori del tempo, si fa servo perché possano sentirsi signori. Per mangiare non chiede alla gente di purificarsi, come insegnava la religione, perché è Dio che incontrandolo ci purifica. Non si dice che Gesù “moltiplica”, ma compie il miracolo della condivisione. 

Il vangelo ci dice Gesù non è un mago che conosce un trucco da circo, capace di far saltar fuori pani e pesci per cinquemila persone da una scorta privata. Il poco nelle mani giuste, se condiviso è capace di sfamare, se nelle mani sbagliate crea la fame. Il vero miracolo è la condivisione, è il pane spezzato che sazia il fame di chi ascolta la Parola. Più si condivide e più le cose si moltiplicano. Oggi difronte alla crisi, agli esodati, ai licenziati… il vangelo non ci fornisce le soluzioni politiche concrete, ma la direzione da seguire: dividere ciò che è nostro. Quel ragazzo del vangelo può avere il nostro nome. Se la gente muore di fame e di stenti, per favore non accusiamo Dio! Dio ha provveduto con larghezza per tutte le creature, a noi il compito di spezzare il nostro pane. Purtroppo abbiamo fatto dell’accumulo il dio di questa società e davanti a chi ha bisogno può accadere che ci voltiamo dall’altra: «un modo educato – dice papa Francesco – per dire con i guanti bianchi “arrangiatevi”». In realtà il Padre provvidente non ci fa mancare il pane se sappiamo condividerlo come fratelli e sorelle. Gesù si ostina a produrre pane non con la farina, ma con l’amore. La parola di Gesù, quindi, non può lasciarci tranquilli, perché se ascoltata come un aratro lascia sempre il solco nel terreno della nostra vita.

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Domenica 18 luglio 2021 - 16-B - (Mc 6,30-34)

Tornati dalla missione i Dodici sono chiamati per la prima volta “apostoli”. La loro attività ha creato un notevole movimento di folla e Gesù li invita a un tempo di riposo in un luogo appartato. Riuniti attorno al maestro gli raccontano tutto quello che avevano fatto e insegnato. Non hanno fatto cose straordinarie, non hanno compiuti miracoli e ora riferiscono a Gesù le loro giornate. È una sorta di revisione, una sosta per riposare, un tagliando della loro vita.

Tornati dalla missione i Dodici sono chiamati per la prima volta “apostoli”. La loro attività ha creato un notevole movimento di folla e Gesù li invita a un tempo di riposo in un luogo appartato. Riuniti attorno al maestro gli raccontano tutto quello che avevano fatto e insegnato. Non hanno fatto cose straordinarie, non hanno compiuti miracoli e ora riferiscono a Gesù le loro giornate. È una sorta di revisione, una sosta per riposare, un tagliando della loro vita. Gesù li invita a distendersi, a non lasciarsi prendere dalla corsa, dall’attivismo ansioso, dal senso di onnipotenza. Egli li vede stanchi, affaticati, senza neanche il tempo di mangiare. Salgono sulla barca per trovare un luogo tranquillo, ma sbarcando si dice che Gesù vide la folla e «ne ebbe compassione». All’irritazione prevale la compassione e vedendoli come pecore senza pastore, rivolse loro la parola, insegnando molte cose. La prima cosa che Gesù fa dopo aver provato compassione per la gente, offre la sua parola.

Gesù invita anche noi a stare in disparte con Lui, per poi ritornare tra la folla. C’è sempre troppo da fare, troppo da lavorare, troppo da organizzare. Il rischio di ieri e di oggi è di disperderci, di non avere più tempo per noi stessi, per pregare, per mangiare con calma. Gesù ci insegna a rispettare i nostri limiti. Ogni persona, a suo avviso, merita la compassione: il portare insieme il peso della vita. Non si può guardare la ferita dell’altro senza una stretta al cuore, perché un cuore che non reagisce davanti alla miseria è un cuore meschino Questa è la compassione! Lo sguardo di Gesù si posa sulla persona, sulla fatica degli uomini, non sui risultati ottenuti. Gesù ci sta dicendo che quando aiutiamo qualcuno ad alzarsi stiamo aiutando l’umanità a rimettersi in piedi. Prima di dare il pane Gesù dà la Parola, che è il motivo per cui la gente si è riunita attorno a Lui. Se infatti prendiamo gusto per la Parola, poi, nella vita sappiamo scegliere anche i cibi adatti e genuini per vivere bene. La sua Parola non si limita a darci informazioni, ma fa succedere qualcosa dentro di noi: produce ciò che proclama. La tenerezza di Gesù arriva a dire che vede la gente come «pecore senza pastore», come a dire: ci sono i pastori, ma manca chi fa il pastore. Forse Gesù si rivolge anche alla Chiesa di oggi: i pastori ci sono, ma manca chi fa il pastore! Abbiamo tanti funzionari del sacro, ma pochi con la passione del pastore. Di conseguenza il rischio è di avere nella Chiesa un gregge di pastori senza pecore! Gesù ci insegna ad amare prima con gli occhi, poi con la parola e infine con i gesti. Se non vedi l’altro che sta male, se non gli rivolgi la parola, se non entra nel tuo cuore, le tue mani rimangono giunte e impotenti a stringere altre mani.

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Domenica 11 luglio 2021 - 15 - B (Mc 6,7-13)

Gesù è in cammino e invita i suoi discepoli a fare altrettanto, a muoversi per andare ad annunciare. Secondo l’abitudine dei missionari, li manda due a due, dando alla loro parola il peso di due testimoni. Non è una strategia di vendita porta a porta, ma l’indicazione che senza delle relazioni fidate il Vangelo non è credibile. Ed essi vanno ricevendo il potere sugli spiriti impuri.

Gesù è in cammino e invita i suoi discepoli a fare altrettanto, a muoversi per andare ad annunciare. Secondo l’abitudine dei missionari, li manda due a due, dando alla loro parola il peso di due testimoni. Non è una strategia di vendita porta a porta, ma l’indicazione che senza delle relazioni fidate il Vangelo non è credibile. Ed essi vanno ricevendo il potere sugli spiriti impuri. Nel mandarli ordina il tipo di equipaggiamento: «nient’altro che un bastone: né pane, né borsa, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche». Solo due cose sono autorizzati a portare: bastone e sandali. Il bastone serve per camminare meglio, per appoggiarsi e difendersi dai pericoli, mentre i sandali erano necessari per camminare sulle strade sassose della Palestina. Gesù non suggerisce ai discepoli che cosa devono dire, ma come devono essere: portatori della buona notizia. E aggiunge che se entrando in una casa o sostando in qualche luogo si accorgessero di non trovare ascolto, non devono preoccuparsi del risultato, l’importante è far conoscere la buona notizia che, come previsto, può risultare scomoda. 

Nel mandarci come annunciatori, «due a due», Gesù ci sta dicendo che è più importante la compagnia della persone che il cibo, conta di più l’avere qualcuno accanto che portare con sé il denaro o il cambio del vestito. Non conta confidare nel conto in banca o nel mattone. Come adulti, come genitori, come educatori corriamo, ci affatichiamo e spesso proviamo la delusione dei risultati. Tuttavia se siamo ansia, se abbiamo i patemi d’animo – dice il vangelo – è perché pretendiamo da noi stessi dei risultati. Se gli altri non ci accolgono, non preoccupiamoci, perché il mondo è già salvo, solo che non lo sa. Due sono le direzioni del discepolo che annuncia il vangelo: la strada e la casa. La strada significa camminare al fianco di qualcuno, di un amico, di un collega, di un conoscente e imparare a incoraggiarlo, ad aspettarlo, a rispettare i suoi tempi, sapendo che non è possibile fare la strada al suo posto, risolvere le sue difficoltà. Il punto di arrivo è la casa, non la chiesa parrocchiale. È nella casa che sei chiamato ad annunciare il vangelo, a lasciarti raggiungere dai volti delle persone, a essere presente nei giorni delle lacrime e in quelli della festa, a farti vicino quando il figlio se ne va e quando un familiare perde la ragione o la salute. L’annuncio del vangelo non è un affare dei preti e delle suore, ma di tutti i battezzati. Gesù ci mette in viaggio per guarire gli «spiriti impuri» della vita, per non permettere alle ferite nostre e degli altri di trasformarci in qualcuno in cui non ci riconosciamo più.

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