Domenica 30 luglio 2023 - 17 A (Mt 13,44-52)
Le tre parabole del vangelo sono un appello a rimanere in ricerca. Nella prima si parla di un «tesoro nascosto in un campo». Il tesoro è il Vangelo, il campo è quello della vita, del mondo.
Le tre parabole del vangelo sono un appello a rimanere in ricerca. Nella prima si parla di un «tesoro nascosto in un campo». Il tesoro è il Vangelo, il campo è quello della vita, del mondo. Nella seconda parabola si dice che tutti siamo cercatori di perle, mendicanti di felicità, tanto che trovata una perla di valore siamo pronti a vendere tutto per comprare quel campo. L’uomo compra il campo, mentre il tesoro no nsi compra, perché è un dono. Nella terza parabola si racconta di una rete gettata nel mare che raccoglie pesci di tutti i tipi, ma non tocca noi fare la cernita tra i buoni e i cattivi: il giudizio spetta a Dio. La spinta che mette in ricerca è la gioia di chi va, scopre, trova, vende, compra, pesca. La gioia di chi cerca precede la rinuncia. Se ti innamori di una persona, se un progetto ti appassiona, se uno stile di vita ti attrae, fai qualunque cosa per raggiungere l’obiettivo. Del resto vive bene chi avanza verso ciò che ama!
Il vangelo ci avverte dell’importanza di riconoscere il tesoro della vita. Può accadere che il campo della vita sia arido, monotono al punto da cercare lontano il tesoro della felicità che è portata di mano. Pensiamo che il tesoro si trovi in zone particolari, in occasioni spirituali eccezionali, in campi religiosi straordinari. Tesoro è la persona che ami, è uno stile di vita, un modo di pensare, di entrare in relazione con gli altri. Inoltre si tratta di riconoscere la perla di valore che merita di giocarsi tutto. Accade che ci riempiamo la giornata di tante cose per coprire con la quantità la mancanza di qualità. Infine, davanti a pesci buoni e cattivi dimentichiamo che anche noi non siamo diversi da quei due tipi di pesci. Quanti separati e divorziati, quante donne costrette ad abortire, quante persone buttiamo via come pesci non buoni! Oggi nel mare mediterraneo vengono pescati anche uomini, donne e bambini e non ci è lecito separarli come pesci cattivi dai buoni che saremmo noi, perché in quel momento siamo noi a diventare pesci cattivi.
Domenica 23 luglio 2023 - 16 A (Mt 13,24-43)
L’aria che respiriamo è impregnata di guerre e di violenze, di disuguaglianze e ingiustizie, che sembrano spegnere ogni tentativo di cambiamento. Uno scenario epocale che scoraggia, che sembra spegnere il piccolo lume della speranza.
L’aria che respiriamo è impregnata di guerre e di violenze, di disuguaglianze e ingiustizie, che sembrano spegnere ogni tentativo di cambiamento. Uno scenario epocale che scoraggia, che sembra spegnere il piccolo lume della speranza. In questo contesto a chi non viene voglia di cercare riparo nella cerchia degli amici più intimi o di entrare in una sorta di zona protetta da tutte le incertezze e gli imprevisti? Dobbiamo riconoscerlo. È forte il desiderio di vivere in un mondo senza zizzania, illudendoci di creare un mondo in cui esiste solo il grano buono. La parabola racconta di due sguardi diversi sul campo. Quello dei servi che dice «Vuoi che andiamo a togliere la zizzania?» e quello del padrone che risponde «No, con essa rischiate di strappare via anche il grano». Il messaggio di Gesù è chiaro: imparate a seminare e coltivaree il grano buono in presenza della zizzania.
Per esperienza sappiamo che la gramigna cresce senza seminarla, i cui granuli nerastri sono tossici e hanno un effetto anestetizzante, che compromette la crescita del grano. Gesù dice: il male e il bene devono crescere insieme. Verrebbe da dirgli: ma come “lasciatela?”!Il male va tolto, estirpato, cos’è questa storia di lasciar crescere il grano con la zizzania? In realtà è questo lo scandalo da affrontare. Quanta violenza le chiese cristiane hanno seminato nel mondo! Appena diventate imperiali (IV sec.) hanno iniziato a persecuitare ebrei e cristiani con teologie diverse. Abbiamo acceso roghi e definito zizzania tutto ciò che non rientrava nelle nostre convinzioni… Il vangelo ci sta dicendo che nel campo di ogni cuore si intrecciano le radici, spesso inestricabili, del bene e del male: nessuno è solo zizzania e nessuno puro grano. Ecco l’annuncio di speranza: tu non coincidi con la zizzania che hai nel cuore, ma con le tue spighe buone da portare a maturazione.
Domenica 16 luglio 2023 - 15 A (Mt 13,1-23)
«Il seminatore uscì a seminare». La parabola di Gesù racconta di un Dio instancabile che non smette di seminare il seme della sua Parola nella zolla della nostra terra. Egli è colui che rende feconde le nostre vite, è la forza che le sostiene, è la voce che le risveglia.
«Il seminatore uscì a seminare». La parabola di Gesù racconta di un Dio instancabile che non smette di seminare il seme della sua Parola nella zolla della nostra terra. Egli è colui che rende feconde le nostre vite, è la forza che le sostiene, è la voce che le risveglia. Ogni terreno, se lasciato solo non produce nulla, se invece accoglie il seme, porta frutto. Seminare significa sperare, fidarsi della forza del seme, confidare che nel seme è nascosta una promessa. Tuttavia il seminatore insegna che il Regno non cresce senza resistenza. Egli abbraccia il campo imperfetto del mondo e nessun terreno è discriminato, escluso dalla sua semina. Non si scoraggia se il seme cade sulla strada battuta, sulla pietra, sulle spine, non perde la fiducia se la sua semina produce risultati diversi. La Parola non si fa largo usando la violenza, ma attraverso la piccolezza di un seme gettato sulla terra.
Il vangelo ci sta dicendo quanto sia importante credere che Dio trasforma la zolla delle nostre persone anche quando non vediamo i frutti. Lo stesso genitore di fronte alla risposta arida dei figli, non si stanca mai. Se trova il figlio simile all’asfalto non si scoraggia, se lo vede duro come un sasso non molla, se lo percepisce pungente e spinoso non perde la fiducia. Allo stesso modo del Signore, non cerca il figlio perfetto perfetto e primo della classe al quale dice “sii te stesso a modo mio”, non posa il suo sguardo sui difetti, sui sassi, sui rovi, ma crede alla semina di parole sagge ed equilibrate che hanno il sapore del vangelo.Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto.Il nostro compito non è di mietere successi, di essere sempre vincenti, di dominare la soscietà, di riempire le chiese, di imporre la nostra fede, ma di essere terreno buono che produce frutti dove Dio ci ha seminati.
Domenica 9 luglio 2023 - 14 A (Mt 11,25-30)
Giovanni Battista è in carcere, nella Galilea crescono rifiuto e ostilità verso Gesù, i suoi miracoli fatti a Cafarnao e a Betsaida non servono, i potenti, i sapienti, gli esperti della Bibbia, i sacerdoti si sono allontanati e a riempire il vuoto sono i piccoli, i poveri, gli ammalati, le vedove, i preferiti da Dio.
Giovanni Battista è in carcere, nella Galilea crescono rifiuto e ostilità verso Gesù, i suoi miracoli fatti a Cafarnao e a Betsaida non servono, i potenti, i sapienti, gli esperti della Bibbia, i sacerdoti si sono allontanati e a riempire il vuoto sono i piccoli, i poveri,gli ammalati, le vedove, i preferiti da Dio. in questo clima di fatica e delusione Gesù non si lamenta, ma ringrazia il Padre dicendo: ti ringrazio perché hai parlato ai piccoli e loro ti hanno capito. E aggiunge: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Egli conosce le nostre stanchezze e sa il nostro bisogno di riposo. Come rimedio al nostro sentirci schiacciati dice: «Prendete il mio giogo e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. il mio giogo infatti è dolce e il peso leggero». Nella Bibbia il giogo indica la Legge di Mosè, mentre per Gesù è l’amore.
Chi sono i piccoli di cui parla Gesù? Sono quelli che riconoscono di non farcela da soli e di avere bisogno di Lui, quelli che sanno di essere fragili, che vivono disarmati, che non possono avere tutto e tutti sotto controllo, quelli che sono coscienti dei proprio limiti e della propria debolezza. I piccoli siamo noi quando ci lasciamo amare, quando togliamo le nostre maschere, quando non pretendiamo di possedere Dio. Conoscerlo non significa sapere tante cose, ma intuirne il sapore, il senso, la direzione dei passi da compiere. Contro il carico di obblighi e divieti da obbedire, Gesù invita a prendere il suo giogo dell’amore. Se il giogo è l’attrezzo posto sugli animali per mantenere una direzione nell’arare la terra, il gioco dell’amore permette al cristiano di mantenere la direzione del Maestro nella vita. Egli ci invita a vigilare sul diventare funzionari delle regole e analfabeti del cuore!
Domenica 2 luglio 2023 - 13 A (Mt 10,37-42)
Quando Gesù dice: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me», appare una pretesa disumana, che va contro la bellezza degli affetti. In realtà Egli non insegna a fuggire i legami familiari, non crea una competizione affettiva nel cuore, una gara di emozioni, ma ci sta dicendo che il mondo non coincide con il nucleo familiare e che nel cerchio del sangue occorre saper accogliere altri.
Quando Gesù dice: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me», appare una pretesa disumana, che va contro la bellezza degli affetti. In realtà Egli non insegna a fuggire i legami familiari, non crea una competizione affettiva nel cuore, una gara di emozioni, ma ci sta dicendo che il mondo non coincide con il nucleo familiare e che nel cerchio del sangue occorre saper accogliere altri. E aggiunge «chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me». Non confondiamo croce con sofferenza! Gesù non vuole che passiamo la vita a soffrire, non desidera uomini, donne, bambini, anziani…, tutti inchiodati alle proprie croci. Egli chiede di fare come Lui: di andare e incontrare volti affamati di ascolto, imparare il passo lento di chi fatica, toccare con delicatezza piaghe lacerate, spezzare il pane del perdono, offrire un bicchiere d’acqua con affetto. Il suo stile è il contrario alla logica della borsa: se in questa si guadagna investendo, con Lui si guadagna proprio perdendo.
Che cosa vuol dire perdere la vita? Non significa farsi uccidere, affrontare il martirio, ma dare il meglio di noi agli altri, basta anche un bicchiere d’acqua. Nel clima afoso e nella scarsità d’acqua della Palestina, un bicchiere d’acqua era un gesto prezioso. Oggi un bicchiere d’accqua fresca può essere un sorriso, un saluto, una stretta di mano, un gesto di attenzione, un abbraccio. È questa l’“acqua” attenta alla sete dell’altro, procurata con cura, quasi affettuosa. E che cosa significa portare la croce? Vuol dire non avere più l’ansia di portarne il peso da soli, ma di portarlo dietro a Lui. Gesù contesta chi si lascia sedurre dalla spiritualità dell’“anima devota”, sostanza di quella “religione benestante” che si costruisce un dio che serve i propri interessi, un dio comodo che non scomoda, o la madonnina che fa da mantello rassicurante, il santo protettore che preserva dai rischi, le pratiche religiose che mettono il cuore in pace. Amare non è provare emozioni, ma compiere dei gesti in cui dentro ci sia il cuore.
Domenica 25 giugno 2023 - 12 - A (Mt 10,26-33)
La comunità dell’evangelista Matteo raccoglie una serie di detti di Gesù circa la missione e utili per chi è mandato ad annunciare. I primi cristiani degli anni 80 vivevano un tempo faticoso, tutto in salita, a confronto con derisioni e persecuzioni. La paura li aveva paralizzati. Per questo sono incoraggiati a vivere con fiducia.
La comunità dell’evangelista Matteo raccoglie una serie di detti di Gesù circa la missione e utili per chi è mandato ad annunciare. I primi cristiani degli anni 80 vivevano un tempo faticoso, tutto in salita, a confronto con derisioni e persecuzioni. La paura li aveva paralizzati. Per questo sono incoraggiati a vivere con fiducia. Ciò che avevano scoperto come significativo per la loro vita non poteva essere tenuto nascosto e segreto, vissuto nel nascondimento come fossero una setta. Piuttosto erano chiamati a superare la paura, a mettersi in gioco e a condividerlo con tutti. Se il cristianesimo si riduce alla sfera intima, è simile al valore di Babbo Natale. Il Dio cristiano è coinvolto nella storia umana, tanto che nulla accade che Egli non partecipi in prima persona, nessuna lacrima scende che non non la condivida, nessuna ferita si apre che non sia anche la Sua. Egli partecipa, si china, intreccia la sua speranza con la nostra, il suo respiro con il nostro.
Sì, caro Signore tu ci dici che noi valiamo più di molti passeri, che Dio conosce le nostre fragilità, eppure abbiamo paura. I passeri continuano a cadere a terra, i bambini continuano a morire, i piccoli ucraini sonodeportati in Russia, i bimbi migranti trovano il cimitero nel Mediterraneo, ineonati sono venduti per 8mila euro subito dopo il parto… E nel vangelo tu ci dici che nessun passero cade senza che Dio lo voglia! Ma allora è Dio che spezza il volo? È lui che vuole la morte? No. Non è vero il proverbio che dice: “non si muove foglia che Dio non voglia”. La traduzione del vangelo è sbagliata, non evoca il volere di Dio, ma significa:senzaDio. Un passero non cadrà a terra senza che Dio ne sia sia coinvolto, senza che ne sia ferito. Il nostro dramma è anche il Suo. Dio non spezza le nostre ali, ma le guarisce e le rafforza. Qual è la volontà di Dio? Dio è come un grande genitore: vuole che il figlio sia felice, stia bene con se stesso e con gli altri. Egli vuole che una volta scoperto il valore dell’amore non lo trattenga per sé, ma lo faccia conoscere a scuola, al lavoro, in palestra, nel fare la spesa.
Domenica 18 giugno 2023 - 11-A (Mt 9,36-10,8)
Ciò che vediamo nella gente dipende molto dal nostro sguardo. Il detto del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno ce lo insegna. Gesù «vedendo le folle ne sentì compassione». Osserva le loro stanchezze, vede gente sfinita come pecore che avanzano senza pastore. Di fronte a questo scenario, non certo entusiasmante, Gesù dice: «La messe è abbondante».
Ciò che vediamo nella gente dipende molto dal nostro sguardo. Il detto del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno ce lo insegna. Gesù «vedendo le folle ne sentì compassione». Osserva le loro stanchezze, vede gente sfinita come pecore che avanzano senza pastore. Di fronte a questo scenario, non certo entusiasmante, Gesù dice: «La messe è abbondante». Prova compassione per il dolore del mondo e risponde alla ferita chiamando un gruppo di persone che gratuitamente e strada facendo annuncino la speranza per contagio, camminando insieme. Non è un gruppo di amici, di gente selezionata, ma variegata. Pietro detto il primo si rivelerà il più fragile, Giacomo e Giovanni dal carattere impulsivo, Filippo è greco, Bartolemeo è ebreo, Tommaso è chi dubita, Matteo è un ebreo guardia della finanza romana, Simone pronto a ferire chi si oppone alla fede giudaica, Giacomo di Alfeo è un tradizionalista, Taddeo un polemico, Giuda Iscareiota non ha bisogno di commenti. Un gruppo di nazionalità e lingue diverse, di caratteri e temperamenti di non facile convivenza.
Guardando il mondo Gesù prova compassione: è il pianto di Dio fatto carne. Piangere, infatti è amare con gli occhi! Se Lui dice che ilraccolto è abbondante, noi avremmo detto cheil campo della vita è arid, i tempi sono difficilie che il raccolto è scarso. Egli ci dice che la campagna è sua, che è Lui il seminatore e che è Lui a far produrre il terreno del mondo. Noi a ripetere:la messe è scarsa, le chiese semivuote. Lui a dire, il raccolto è abbondante nel mondo e le chiese aspettano non solo praticanti, ma credenti. Quando invita a pregare perché il signore della messe mandi operai, noi subito pensiamo di pregarlo perché mandi preti. In realtà questi operai sono le persone: i genitori, i giovani, i pensionati, i religiosi, i manovali, i preti, gli educatori, i politici… Tutti ci manda come operai di compassione che, con cuore di carne, mangiano pane di lacrime con chi piange e bevono il calice amaro della depressione con chi soffre. Ci manda con mani che sostengono e accarezzano non chi se lo merita, ma chi ha bisogno, ci manda con parole che fasciano il cuore di quelli che hanno bisogno di amore.
Domenica 11 giugno 2023 - Corpo e sangue di Cristo – A (Gv 6,51-58)
Dopo aver sentito Gesù dire: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo e il mio sangue vera bevanda”, i giudei si misero a discutere tra loro. Il disorientamento era totale, non tanto per le allusioni al mangiare carne umana, ma per il significato.
Dopo aver sentito Gesù dire: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo e il mio sangue vera bevanda”, i giudei si misero a discutere tra loro. Il disorientamento era totale, non tanto per le allusioni al mangiare carne umana, ma per il significato. Per un ebreo “carne” è la vita dell’uomo nella sua fragilità e precarietà, mentre bere il “sangue” era proibito, perché custodisce la vita: è intoccabile, come quello di Caino. Nel linguaggio simbolico dell’evangelista mangiare Gesù non è un fatto di masticazione, ma di accoglienza del suo stile di vita nella nostra. Quella di Gesù è una rivoluzione, perché si era lontanissimi dall’idea che il divino potesse passare attraverso un uomo. La sua è una vita donata, che si fa pane. Dietro il pane, come dietro il vino c’è una storia non di grandezza e di potere, ma di mulino e di torchio, di chicchi di grano macinati, di chicci di uve spremuti.
Mangiare questo pane, dice Gesù, non significa avere la vita per un giorno, ma “la vita eterna”. Tale vita eterna non è una specie di Tfr (Trattamento di fine rapporto), la liquidazione finale che come cristiano accumulo con il mio buon comportamento. La vita eterna è già iniziata. È una vita simile a quella di Gesù: alternativa, onesta, giusta, piena di scelte sapienti che meritano di non morire. Gesù non dice mai di adorare il pane eucaristico, ma di mangiarlo, cioè di entrare in una profonda sintonia di pensiero e di scelte con Lui. Posso leggere le Scritture, partecipare ai sacramenti, fare molte comunioni e non aver mai fanno mio lo stile di vita di Gesù. Non è il mangiare molte ostie consacrate che ci assicura di essere suoi discepoli. Tutti siamo a rischio! Non mancano fior fiore di impostori, assassini, delinquenti: veri baciabanchi. Il Vangelo ci sta dicendo: fa’ come Gesù, diventa anche tu pane!
Domenica 4 giugno 2023 - Trinità A (Gv 3,16-18)
Il termine “Trinità” non lo troviamo nella Bibbia, eppure descrive in modo sintetico lo stile del Dio cristiano. Il dogma della Trinità può sembrare senza dubbio lontano e non toccare la nostra vita, tuttavia racconta il segreto del vivere: ci dice che in principio a tutto c’è il legame, la relazione, l’amore.
Il termine “Trinità” non lo troviamo nella Bibbia, eppure descrive in modo sintetico lo stile del Dio cristiano. Il dogma della Trinità può sembrare senza dubbio lontano e non toccare la nostra vita, tuttavia racconta il segreto del vivere: ci dice che in principio a tutto c’è il legame, la relazione, l’amore. Le tre persone di Dio (Padre, Figlio, Spirito) ci dicono che Egli non è solitudine, ma compagnia, famiglia, incontro. Egli ci dice che l’isolamento è contro la nostra natura e questo è il motivo per cui quando amiamo o troviamo una amicizia vera stiamo così bene. Gesù a Nicodemo dice che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». In altre parole “amare” è “dare”. Amare non consiste in un semplice fatto sentimentale, non vuol dire soltanto emozionarci, provare tenerezza, ma è un verbo fatto di mani e di gesti. Il Dio cristiano vuole salvarci dall’incapacità di amare, perché chiunque crede, chi ama, abbia più vita.
Il Dio cristiano non è un pensiero, non è una filosofia, non è un ragionamento, ma è vita, esperienza di essere amati. Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio, ma perché crediamo che Dio ci ama. Non è il respiro che ci fa vivere, ma l’amore. Se non siamo capaci di amare, possiamo respirare per tanti anni senza tuttavia poter dire di vivere. La Trinità ci spinge a non accontentarci più di un cattolicesimo di facciata, di non cercarescoopmiracolistici, di chi baratta il coraggio dell’amore con il quieto vivere. Quale Dio raccontiamo mentre viviamo? Se diamo notizie di un Dio chiuso, imprigionato nelle statue, legato alle immagini, quello è un Dio morto. Diversamente, se accettiamo il rischio e il prezzo di amare, stiamo raccontando il Dio di qualcuno: il Dio di tuo padre, di tua madre, di tuo figlio, dello straniero, di chi ha sbagliato: il Dio compromesso con le storie umane.
Domenica 28 maggio 2023 - Pentecoste – A (Gv 20,19-23)
Con la Pentecoste si concludono i cinquanta giorni dalla Pasqua. È sera, i discepoli sono chiusi in casa e al centro della loro paura viene Gesù dicendo: «Pace a voi». Mostra le mani e il fianco con le ferite della crocifissione e i discepoli riconoscono il maestro.
Con la Pentecoste si concludono i cinquanta giorni dalla Pasqua. È sera, i discepoli sono chiusi in casa e al centro della loro paura viene Gesù dicendo: «Pace a voi». Mostra le mani e il fianco con le ferite della crocifissione e i discepoli riconoscono il maestro. Pur essendo contenti, dentro di loro domina quel buio del cuore ancora appeso alla croce, sono rimasti senza parole, sembrano comandati dal silenzio di Dio. Avvolta a quella morte di croce è viva la domanda: rimarremo anche noi sotto il potere della morte? Ma, allora, o Dio sei con me o mi ha abbandonato? E Gesù risponde: non solo è con te, ma è dentro di te! E soffiando dice loro: «Ricevete lo Spirito Santo». Ricevete il respiro di Dio, fate posto a quel soffio creatore con cui Dio ha fatto il mondo, fate tesoro di questo Spirito che vi rende capaci di perdono, di riconciliazione, di soffiare via le ceneri della paura.
Quella dei discepoli è la nostra esperienza. Non mancano nella vita fatti in cui ci manca il respiro, momenti che ci tolgono il fiato, ore drammatiche di corto respiro. Sono stagioni in cui ci manca l’aria, tanto da poter accusare qualcuno dicendo: Tu mi togli il respiro! O in positivo dire: tu sei una persona di grande respiro! Lo Spirito del Risorto permette alle persone, ai familiari, ai parenti, ai popoli di capirsi, pur parlando diverse lingue. Lo Spirito è una forza. Che spirito stanno dimostrando i giovani del fango in Emilia Romagna mentre si rimboccano le maniche! Che spirito mobilita Vladislava, quella mamma dottoressa in Ucraina che affida i bambii alla vicina e va ogni giorno all’ospedale semi-distrutto a curare come può! Che spirito spinge quel Gabriele a credere che dalle cicatrici nasce la vita! Che spirito tiene in piedi Monica, quel genitore che vive con apprensione due tentativi di suicidio del figlio! Che spirito muove alcuni cristiani in Ucraina e in Russia a mettersi contro quella Chiesa devota delle forze armate! Lo Spirito Santo non fa che agire nelle persone che respirano l’aria del vangelo.
Domenica 21 maggio 2023 - Ascensione – A (Mt 28,16-20)
Nella Chiesa si festeggia più volentieri Gesù che viene nel Natale, ma non il Signore risorto che nell’Ascensione parte, “se ne va”. Con piacere fa festa a colui che appare, ma non a colui che scompare. Salendo al cielo Egli sparisce e l’invisibilità fa problema.
Nella Chiesa si festeggia più volentieri Gesù che viene nel Natale, ma non il Signore risorto che nell’Ascensione parte, “se ne va”. Con piacere fa festa a colui che appare, ma non a colui che scompare. Salendo al cielo Egli sparisce e l’invisibilità fa problema. In coincidenza della sua partenza manda i discepoli nel mondo per dire la sua parola, per battezzare, perché si immergano in tutto ciò che è umano. I discepoli non sono più dodici, ma sono undici, perché uno ha tradito, ha conosciuto il suo limite, la sua imperfezione. Il tradimento può essere sperimentato anche da chi si pensa suo amico. Il mandato del Risorto è espresso con le parole: «Fate discepole tutte le genti!». Che cosa significa? Arruolare nuovi devoti? Convincere chi dubita? Infervorare chi si è allontanato? Tutt’altro. Fare discepoli non significa indottrinare il mondo, ma mostrare il mestiere del vivere buono, così come l’abbiamo visto nel maestro Gesù, fare discepole le persone è allargare le loro menti.
Si dice che il Signore «fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo». Il non vedere chi ama fa problema. Un nostro proverbio dice: “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Il vangelo ribalta il proverbio dicendo:lontano dagli occhi, vicino al cuore!Lontananza non è assenza. L’ascensione è la festa del Signore diversamente presente. La persona che amiamo, anche se fisicamente non presente, vale molto di più di tutti i presenti che ci stanno vicino. Persone lontanissime, eppure presenza viva. È l’amore che rende presenti, non la fisicità. Chi ha bisogno solo di persone fisicamente presenti, chi dice di credere solo a quello che vede e tocca, non ha fatto l’esperienza del suo amore, che è in se stesso invisibile. Con tutti i nostri limiti davanti a Dio e alle persone che amiamo, tutti un po’ ci inginocchiamo perché convinti, un po’ perché lo fanno gli altri, un po’ perché li sentiamo veri. Ma mentre ci prostriamo, già stiamo dubitando. Questa è la fiducia umana.
Domenica 14 maggio 2023 - 6 di Pasqua (Gv 14,15-21)
Il racconto del vangelo fa parte dei “discorsi di addio” di Gesù. Egli è assente solo in apparenza, sottratto agli occhi, ma presente nella vita di quelli che cercano di camminare nella vita seguendo il suo stile. E inizia dicendo: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Non dice: dovete amarmi.
Il racconto del vangelo fa parte dei “discorsi di addio” di Gesù. Egli è assente solo in apparenza, sottratto agli occhi, ma presente nella vita di quelli che cercano di camminare nella vita seguendo il suo stile. E inizia dicendo: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Non dice: dovete amarmi. Non c’è nessuna costrizione, nessuna minaccia: puoi liberamente amare o liberamente rifiutare. Ma sappiamo, per esperienza, che quando si ama accadono delle cose straordinarie. Non si tratta semplicemente di osservare i dieci comandamenti, ma di osservare la Sua vita. Osservare i comandamenti è un fatto di cuore. In altre parole Gesù dice: se mi ami mi assomigli. L’amore, infatti, trasforma la persona: uno diventa ciò che ama. E aggiunge che Dio renderà presente il suo Figlio ai discepoli attraverso il soffio dell’amore che la Bibbia chiama Spirito Santo, Consolatore, Paraclito. È il vento di Dio, il respiro in noi, l’alito di vita… quello che basta per ogni giorno.
Gesù dice di se stesso: «Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi». A prima vista si può pensare che questo tono sia eccessivamente intimistico, può sembrare un linguaggio da suore, e non delle più giovani. Sembra si voglia dire che Dio è sì dentro di noi, ma rimane fuori dai problemi della gente. In fondo ci preoccupa di più la dimora esteriore, la bella casa da vedere che quella interiore. Tuttavia se non c’è la cura della dimora interiore, quella esteriore perde di significato. Se siamo in una casa, in una villa anche bella, ma chi vive fisicamente con noi non trova posto dentro di noi, che vita è? L’amore cambia la vita, perché se ami non puoi ferire, tradire, derubare, trasgredire, deridere, rimanere indifferente. Se accetti di amare dovrai osservare quella legge interiore ben più esigente di qualsiasi legge esterna. Nel secondo testo biblico Pietro rivolge un bellissimo invito: «Carissimi, adorate il Signore Cristo, nei vostri cuori». È l’esatto contrario di chi ci ha insegnato ad adorare Dio solo nelle chiese e non nei nostri cuori! Perché se lo ami nel cuore, l’altro accanto a te trova posto, la tua ospitalità, la tua cura.
Domenica 7 maggio 2023 - 5 di Pasqua A (Gv 14,1-12)
Il vangelo si riferisce al contesto dell’ultima cena in cui Giuda scappa e i discepoli sono presi da una profonda agitazione. Si sentono persi, avvertono che qualcosa di terribile sta per capitare. Si chiedono: Che cosa ci aspetta? Dove andremo a finire? Ci siamo sbagliati a credere in Gesù?
Il vangelo si riferisce al contesto dell’ultima cena in cui Giuda scappa e i discepoli sono presi da una profonda agitazione. Si sentono persi, avvertono che qualcosa di terribile sta per capitare. Si chiedono: Che cosa ci aspetta? Dove andremo a finire? Ci siamo sbagliati a credere in Gesù? Vorrebbero delle certezze e chiedono al maestro: insegnaci la strada, consigliaci che cosa fare, dacci regole chiare… E Lui: «Non abbiate paura!». È come dire: volete che vi lasci proprio ora? Chi si ama non lo si perde mai per sempre. Il termine a-more indica la non morte (mors, mortis). Quando Gesù dice: «Vado a prepararvi un posto», non significa “State tranquilli vado a prepararvi un residence, una villa in paradiso. Tra un po’ torno e vi porto tutti con me lassù…”. No, questo non è Vangelo! Il posto in paradiso ce lo ha preparato attraverso la sua vicenda pasquale.
La casa del Padre è Gesù stesso, perché il Figlio è l’amore e Dio sta di casa dove ci si vuole bene. Noi siamo di casa nell’amore! Molte sono le vie per arrivare a Dio. C’è chi arriva a Dio attraverso l’affanno della vita dove continua a piovere sul bagnato, c’è chi arriva a Dio assistendo per una vita un familiare malato, c’è chi arriva a Dio vivendo con onestà e responsabilità la sua professione, c’è chi arriva a Lui con una vita monastica, c’è chi arriva a Dio passando per una vita mondana, c’è chi arriva a Lui impegnando tutti i suoi giorni per il vangelo, c’è chi arriva a Dio amando una persona così come la trova con i suoi pregi e i suoi difetti. C’è chi arriva a Dio moltiplicando le parole e i rosari, c’è chi arriva a Dio abitando il silenzio. E c’è chi non arriva mai a Lui,… ma Dio arriva a tutti. Alla richiesta di Filippo «Mostraci il Padre e ci basta», Gesù risponde: «Chi ha visto me ha visto il Padre». Per capire Dio occorre guardare a Gesù. Se guardi a come ha vissuto, a come ha amato, a come ha accolto, a come ha perdonato, a come è morto, capisci Dio.
Domenica 30 aprile 2023 - 4 di pasqua A (Gv 10,1-10)
L’immagine del buon pastore diventa un enigma: i discepoli, infatti, non capiscono. Il paragone è lontano dal nostro mondo, perché questa scena la possiamo vedere in vacanza o in zone di campagna. Si dice che Gesù, a differenza dei falsi pastori, attraversa la porta del recinto, chiama le pecore una per una, si fa riconosce dalla voce, cammina davanti e le chiama fuori.
L’immagine del buon pastore diventa un enigma: i discepoli, infatti, non capiscono. Il paragone è lontano dal nostro mondo, perché questa scena la possiamo vedere in vacanza o in zone di campagna. Si dice che Gesù, a differenza dei falsi pastori, attraversa la porta del recinto, chiama le pecore una per una, si fa riconosce dalla voce, cammina davanti e le chiama fuori. E poi il motivo del suo arrivare: «Sono venuto perché abbiano la vita». Non il semplice respiro, ma la vita in abbondanza. Questo pastore non è un uomo di paura che vede ovunque il lupo, che preferisce il chiuso dell’ovile, ma sa che l’erba nutriente e i pascoli sono fuori del recinto. Anche nella chiesa non mancano pastori paurosi che rinchiudono le pecore nell’ovile ecclesiastico, chiudendo porte e finestre, anziché spingerle fuori… Troppi finti pastori, anche oggi, si circondano di pecore docili e obbedienti, che sognano una società o una chiesa di “pecoroni” allineati e acritici, da governare e manipolare a piacimento. Si parla di “docili pecore”, “sacri pastori”, figli devoti della chiesa.
A differenza dei falsi pastori abilissimi a mungere il gregge e a servirsene anziché servire, Gesù dà la sua vita. Egli conosce le sue pecore una ad una, i loro bisogni, le loro fragilità, il loro “temperamento”. Non accentra nelle sue mani, non ha bisogno di controllare tutto, non è il proprietario delle pecore e dei pascoli, non è lui che autorizza ogni belato, ma lascia che ogni pecora si esprima in libertà. Soprattutto le pecore riconoscono, tra tante, la sua voce. Oggi molti dicono: “Io non ho pastori, decido io, sono libero…”. In realtà basta fare una ricerca sui social network di pubblicità, per essere sommersi da messaggi che suggeriscono l’oggetto da comprare. Così si è condotti come pecore verso un’attrazione o l’altra senza accorgersi e senza saper distinguere le voci suadenti di chi la felicità la vende. Anche nell’ambito religioso basta essere un “nome” di grido per trovare il seguito di tante pecore pronte a bere a quella fonte e a farele sentire “a posto”. Siamo pecore spinte fuori dal recinto ecclesiale, convinte che non ci interessa un divino che non faccia germogliare nel mondo l’umano.
Domenica 23 aprile 2023 - 3 di Pasqua A (Lc 24,13-35)
Il racconto del mostrarsi del Risorto ai due di Emmaus dice il nostro camminare nella vita. La direzione dei due va da Gerusalemme a Emmaus, ma lo spostamento non è solo dalla città a un villaggio, va da un sentimento di speranza a uno stato di delusione: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele!».
Il racconto del mostrarsi del Risorto ai due di Emmaus dice il nostro camminare nella vita. La direzione dei due va da Gerusalemme a Emmaus, ma lo spostamento non è solo dalla città a un villaggio, va da un sentimento di speranza a uno stato di delusione: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele!». La città di Gerusalemme è simmbolo di una promessa tradita. Tra loro dicono: avevamo investio tnto in quel profeta potente in parole e opere e ora si ritorna a casa. Mentre per strada sfogano la loro delusione si avvicina uno che chiede domanda: «Che cosa sono questi discorsi?». Lo sconosciuto li chiama sciocchi, dal cuore lento, in ritardo a capire ciò che sta accadendo. Quando il risorto si fa sentire e si rende presente nella sua invisibilità? Nell’ascolto delle Scritture: «Non ci ardeva forse il cuore mentre conversava con noi?». Senza la Parola si fa solo cronaca.
Con questo racconto sembra di leggere la storia di tante nostre strade di oggi, di sempre. Sogniamo, lottiamo e investiamo in tante speranze, per poi tornare a casa delusi, tirando in remi in barca, capaci sono di raccontare lo sconforto. E noi presi dal nostro dolore, non vediamo altro che questo. In realtà il Risorto non toglie la tristezza, ma cammina accanto, ci ascolta e ci parla con la sua Parola che riscalda il cuore ferito. Ci ama e l’amore è sempre in movimento, sempre chiede sofferenza. Il problema non è l’assenza di Dio, ma la nostra miopia. Dio non siconosce, ma siriconoscequando una persona amica cammina accanto a noi lungo i chilometri della nostra vita. La risurrezione non toglie la morte, ma libera dalla paura paralizzante della morte che ci priva della gioa della vita. Tutti siamo testimoni che i momenti più fecondi della vita sono quelli in cui la crisi e il fallimento ci hanno permesso di rialzarci in piedi meglio di prima:risorti!
Domenica 16 aprile 2023 - 2 di Pasqua – A (Gv 20,19-31)
Otto giorni dopo la Pasqua i discepoli sono disorientati: l’amico più caro, il Maestro è morto. Per loro ogni speranza appare finita, tutto sembra essere stato inutile. Dei discepoli ci vengono dette due cose: hanno paura e hanno il desiderio di stare insieme.
Otto giorni dopo la Pasqua i discepoli sono disorientati: l’amico più caro, il Maestro è morto. Per loro ogni speranza appare finita, tutto sembra essere stato inutile. Dei discepoli ci vengono dette due cose: hanno paura e hanno il desiderio di stare insieme. Il vangelo ci dice che il Risorto apparve in mezzo ai suoi entrando a porte sprangate. Avevano paura perché il mandato di cattura era per tutto il gruppo del Maestro. Entrando e dicendo «Pace a voi», il Risorto non semplicemente saluta, ma offre il dono dello Spirito, quasi a dire: quello che voi siete capaci di accogliere! Ma Tommaso, nostro compagno di viaggio, ci dice che credere nella risurrezione non è facile. Egli domanda di vedere, di mettere il dito nel costato, ma ascoltando la sua parola esce con la più bella espressione di fede che troviamo nei vangeli: «Mio Signore e mio Dio».
Come incontrare il Risorto? Non si tratta di rinchiudersi in gruppi di persone ossessionate dalla presenza del male, ma di camminare incontro alla vita, al mondo e dentro le vicende più impegnative con fiducia. Le nostre porte chiuse non fermano il Signore, la poca fede non blocca il suo desiderio di incontrarci, il suo amore è più forte delle nostre paure. Colui che abbandoniamo non ci abbandona, colui che tradiamo non ci tradisce. Il dubbio di Tommaso e quello nostro non è una sconfitta, ma il lubrificante della fede, il balsamo dell’essere credenti. Il Risorto non concede a Tommaso, e nemmeno a noi, apparizioni speciali in qualche santuario particolare, non viene in una famiglia ideale e perfetta (del mulino bianco!), ma ci incontra in quella in cui viviamo. Egli viene al centro delle nostre paure, ci porta la pace e ci domanda di aprire gli occhi sulle ferite accanto a noi, perché Dio e il suo amore abitano nelle ferite.
Lunedì dell’angelo 10 aprile 2023 (Mt 28,1-8)
All’alba, alle prime luci, quasi clandestinamente, due donne si recano alla tomba nel giardino. Le mani sono vuote e vanno alla tomba per guardare, osservare, sostare, ricordare. Sono le stesse donne che il venerdì sono rimaste attorno alla croce.
All’alba, alle prime luci, quasi clandestinamente, due donne si recano alla tomba nel giardino. Le mani sono vuote e vanno alla tomba per guardare, osservare, sostare, ricordare. Sono le stesse donne che il venerdì sono rimaste attorno alla croce. Un angelo si avvicina, rotola la pietra e si siede su di essa. Non apre il sepolcro perché Gesù esca: è già uscito, è già altrove. Come sia successo nessuno l sa. È il mistero di Dio che rimane intatto. Donne, angelo, guardie, il brivido della terra, cielo, pietra, alba: tutti sono convocati a questo appuntamento. L’angelo parla alle donne mendicanti dell’amato: «So che cercate Gesù, non è qui!». Dovete cercarlo con occhi nuovi. Che bello questo: «non è qui!» Cristo è vivo, ma non è qui nella tomba! Egli va incontrato nella vita, per le strade, non fra le cose morte. Nessun luogo può contenerlo: non una chiesa, non le parole, non le liturgie. Lui è oltre, non è qui, vi precede, è sempre davanti pronto a spalancare tombe, ad aprire sepolcri, a liberare persone in gabbia convinte di essere libere. Vi precede in Galilea, ai margini, lontano dal centro dei poteri omicidi, dove egli ci ha dato lezioni di felicità vera, di amicizie autentiche. Con parole e gesti ci ha regalato uno stile di vita che non può morire. A noi il compito di produrre quell’amore che vince la morte.
Pasqua di resurrezione 9 aprile 2023 (Gv 20,1-9)
La fede pasquale nasce dal buio, da un non sapere, dalla nostalgia di un’assenza, dalla mancanza del Signore. Possiamo immaginare lo strazio di chi ha seguito quell’uomo che aveva dato un senso alla loro vita e che ora è morto. La perdita di una persona che si ama distrugge gli affetti, la sicurezza, i sogni, i progetti.
La fede pasquale nasce dal buio, da un non sapere, dalla nostalgia di un’assenza, dalla mancanza del Signore. Possiamo immaginare lo strazio di chi ha seguito quell’uomo che aveva dato un senso alla loro vita e che ora è morto. La perdita di una persona che si ama distrugge gli affetti, la sicurezza, i sogni, i progetti. L’annuncio pasquale comincia con la corsa di uomini e donne. Quando ancora è notte nel cielo e nel cuore, la prima che esce di casa e corre per andare al sepolcro è Maria di Magdala, che al buio segue solo la bussola del cuore. Se tutto è finito, perché va al sepolcro? Tra le mani non ha nulla, ma nel cuore tiene stretto il suo amore che si ribella alla morte di Gesù. Del resto amare è dire: tu non morirai! Lei corre da Pietro e dall’altro discepolo Giovanni, e insieme corrono al sepolcro vuoto. È una corsa dove il discepolo misterioso arriva prima, ma ha la pazienza di aspettare l’altro. Il cuore di Giovanni arriva prima dell’autorità di Pietro! Sembra proprio che per riconoscere il Risorto occorra prima correre verso il sepolcro.
Il mattino di Pasqua nel vangelo tutti corrono come matti. Tutti sono feriti dalla morte del maestro, ma la loro forza è essere rimasti insieme. Corrono verso il sepolcro, il luogo del dolore, della ferita, della morte. A noi che viviamo di corsa, sui binari dell’alta velocità, il vangelo ci dice di controllare la direzione delle nostre corse. Ci dice: fermati, fai una sosta, presso i sepolcri del dolore di chi sta male, vicino ai corpi senza vita degli annegati in mare, accanto ai giovani soldati sfigurati sul fronte della guerra. Corri anche verso i tuoi sepolcri e liberati dalle falsità, dalle doppiezze, dall’adorazione del dio denaro e torna a essere umano. Non basta dirsi cristiani facendo atto di presenza ai riti parrocchiali, perché la chiesa può essere cristiana solo se è umana, cioè laica e povera. Fare Pasqua è tendere la mano a chi si sente abbandonato da tutti, a chi non riesce a riprendere tra le mani la sua vita, a chi da anni si prende cura di un figlio malato, a chi fa Pasqua lontano dalla famiglia e a chi una famiglia non ce l’ha più. L’augurio pasquale che si scambiamo è la speranza di restare umani quando la vita ci mette alla prova. Fare Pasqua è credere che nessuna notte è così lunga da impedire al sole di sorgere!
Domenica 2 aprile 2023 Palme - A (Mt 26,14-27,66)
Con la lettura della Passione del Signore si aprono i giorni da cui deriva e a cui conduce la nostra fede cristiana. Il Signore ci dice: volete conoscere qualcosa della vostra vita e di me? Vi do appuntamento sul monte della croce.
Con la lettura della Passione del Signore si aprono i giorni da cui deriva e a cui conduce la nostra fede cristiana. Il Signore ci dice: volete conoscere qualcosa della vostra vita e di me? Vi do appuntamento sul monte della croce. È su quel monte che l’immagine di Dio è capovolta, ogni paura di Dio è superata. È il Dio che si abbassa a lavare i piedi ai suoi e a noi. In ginocchio davanti a me, le sue mani sui miei piedi e come Pietro, a disagio, vorremmo dirgli: lascia stare, smetti di lavarmi i piedi, non fare così, sei esagerato! Eppure il Dio di Gesù è così: scandalo e follia, è bacio a chi lo tradisce, è accoglienza per chi sbaglia, non versa il sangue di nessuno, ma versa il proprio sangue, non chiede sacrifici, sacrifica se stesso.
Ecco la lezione che viene da Gesù in cammino verso la croce: la persona bella è quella che ama e bellissima è chi ama fino alla fine. Il primo che l’ha capito non è stato un discepolo, ma un estraneo, un soldato pagano, quando disse: davvero costui era figlio di Dio. Non l’ha capito vedendo un sepolcro che si apre, ma vedendo quell’uomo sulla croce, sul trono della sofferenza. Vedendo qualcuno morire d’amore, ha capito chi è Dio. L’augurio è che anche noi vedendo persone che portano con dignità la loro croce e incontrando gente che vuole solo il bene degli altri possiamo capire meglio chi è Dio.
Domenica 26 marzo 2023 - 5 quaresima A (Gv 11,1-45)
Abbiamo ascoltato la pagina di vangelo che precede l’arresto di Gesù quando viene a sapere della morte improvvisa dell’amico Lazzaro. Non siamo di fronte alla cronaca di un fatto, ma a una narrazione di fede. Il linguaggio simbolico ci dice che l’incontro con Gesù ci fa uscire dai nostri nascondigli, dai nostri sepolcri.
Abbiamo ascoltato la pagina di vangelo che precede l’arresto di Gesù quando viene a sapere della morte improvvisa dell’amico Lazzaro. Non siamo di fronte alla cronaca di un fatto, ma a una narrazione di fede. Il linguaggio simbolico ci dice che l’incontro con Gesù ci fa uscire dai nostri nascondigli, dai nostri sepolcri. Mi soffermo sull’atteggiamento di Gesù che ci rivela la quotidianità di un Dio che a Betania ama l’amicizia di tre fratelli: Lazzaro, Marta e Maria. Il fatto che rimanga per lunghe ore a parlare con loro ci svela un volto di Dio che sorprende. Quanto è diverso questo Dio che ha bisogno di parlare della sua missione, del suo cammino verso la croce, delle resistenze che incontra, da quell’immagine di “Dio-burocrate” che troppe volte abita la nostra mente! Lazzaro si ammala gravemente, qualcuno avvisa Gesù dicendo «Il tuo amico è malato». Gesù ora lo sa, ma non fa nulla. Lazzaro muore e poi Gesù scende a vedere, si fa presente, mentre le sorelle con il fiato sospeso cercano una Parola, un gesto, uno sguardo. Gesù arriva e con voce forte davanti alla tomba grida: «Lazzaro vieni fuori». E chiede ai presenti collaborazione: «togliete la pietra», «liberatelo e lasciatelo andare». Tutti possono fare qualcosa per far rinascere una persona spenta depressa, schiava!
Gesù di fronte alla morte dell’amico Lazzaro prima si commuove, poi scoppia in lacrime. Dio piange! Non è il Dio insensibile, freddo, orologiaio perfetto che controlla ogni minuto della mia vita e ignora il mio dolore. Gesù sa del mio dolore, ma sembra non fare nulla. È ciò che succede nelle nostre povere vite: qualcuno muore e Gesù è lontano. Tuttavia si dice che il pianto di Gesù è la dichiarazione di amore per Lazzaro e le sorelle, le lacrime sono il segno di un Dio che si intenerisce di fronte al dolore, che non si gira dall’altra parte davanti alle ferite umane. Chi lo vede commenta: «Guarda come lo amava!». E i farisei: «Non poteva evitare che morisse?». È vero, ma ora che Gesù conosce il dolore delle persone care, piange e decide di dare la vita per i suoi amici. Questa è la verità del cristianesimo. Come suo discepolo preferisco un Dio che piange con me, che porta con me il dolore o un Dio mago e impersonale che mi risolve i problemi? Dio piange perché mi ama. Piangere è amare con gli occhi. Anzi, mi ama come suo amico. Dalle lacrime impariamo il cuore di Dio, che ci insegna come il vero nemico della morte non è la vita, ma l’amore.