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Domenica 19 marzo 2023 - 4 quaresima A (Gv 9,1-41)

Nell’episodio del vangelo non possiamo sfuggire al contrasto tra un cieco dalla nascita e i super religiosi farisei, tra chi riconosce di non vedere e chi pensa di vedere meglio di tutti. Gesù passando vede un uomo cieco e subito comincia un piccolo cerimoniale di gesti fatti di dita, di acqua, di saliva e di fango: una liturgia di Gesù attorno al volto di un cieco, sul nuovo tempio di Dio che è il corpo dell’uomo.

Nell’episodio del vangelo non possiamo sfuggire al contrasto tra un cieco dalla nascita e i super religiosi farisei, tra chi riconosce di non vedere e chi pensa di vedere meglio di tutti. Gesù passando vede un uomo cieco e subito comincia un piccolo cerimoniale di gesti fatti di dita, di acqua, di saliva e di fango: una liturgia di Gesù attorno al volto di un cieco, sul nuovo tempio di Dio che è il corpo dell’uomo. Poi gli dice: «va a lavarti alla piscina». L’azione di Gesù non è magica o automatica, ma domanda la partecipazione attiva del cieco, che va affidandosi al suo bastone e alla parola di uno sconosciuto. Una volta che il cieco è guarito, dà fastidio e cominciano i problemi. Chi lo ha guarito? Perché? E perché di sabato? Gli stessi discepoli e i farisei sono convinti che la cecità è conseguenza del peccato suo o dei genitori. Se l’è meritato! Il tema del peccato è quasi un’ossessione, mentre Gesù non ci sta e invita a riconoscere l’opera di Dio. Ai responsabili della religione non interessa il bene dell’uomo, ma l’osservanza della legge: sanno di morale e dimenticano la vita, sono obbedienti alle regole, ma non si commuovono mai.

Alla fine il cieco guarito viene buttato fuori dalla Sinagoga. E chi trova fuori? Gesù, il cacciato dalla storia, la fonte della luce. È facile essere credenti senza bontà, essere preti senza commuoversi: è facile, ma è mortale. I funzionari della religione, custodi della verità, sono a rischio di essere burocrati della morale e analfabeti del cuore, difensori della dottrina e indifferenti al dolore. Anche i titolari della politica, detentori delle leggi, hanno paura della luce, di chi finalmente si è lavato gli occhi dal fango della corruzione, delle mazzette, dei finti rimborsi… E, proprio perché ci vedono bene, sono messi a tacere come voci fuori dal coro per manipolare meglio la realtà. I responsabili nella società difendono le leggi e non vedono che ai cittadini è rimasta solo la libertà di consumare, difendono i confini e chiudono gli occhi su quelli che, di sabato, arrivano col barcone, difendono lo straniero che si fa servo, cameriere, operaio e non vedono in lui una persona, difendono l’identità cristiana e non vedono l’identità umana ferita. Forse Gesù ci sta dicendo che siamo tutti un po’ ciechi e tutti bisognosi di andarci a lavare gli occhi alla piscina del vangelo. 

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Domenica 12 marzo 2023 - 3 Quaresima A (Gv 4,5-42)

Una donna di Samaria incrocia il cammino della nostra quaresima. È una donna senza nome che va al pozzo e assomiglia a ciacsuno di noi. Al pozzo incontra Gesù che siede stanco: è mezzogiorno, il sole è alto, la strada percorsa pesa sulle sue gambe. Gesù le rivolge la parola dicendo: «Dammi da bere».

Una donna di Samaria incrocia il cammino della nostra quaresima. È una donna senza nome che va al pozzo e assomiglia a ciacsuno di noi. Al pozzo incontra Gesù che siede stanco: è mezzogiorno, il sole è alto, la strada percorsa pesa sulle sue gambe. Gesù le rivolge la parola dicendo: «Dammi da bere». La donna è imbarazzata, forse sta pensando a un tentativo di corteggiarla e di rimorchiarla. Infatti risponde: «Come mai tu che sei giudeo chiedi da bere a una samaritana?». È come dire: sai che siamo nemici! E Gesù: «Se tu conoscessi il dono di Dio…». Alla domanda di Gesù «Va a chiamare tu marito!», lei risponde: «Io non ho marito». Questo è il motivo per cui è andata al pozzo a mezzogiorno: non voleva incontrare nessuno. E Gesù riprende dicendo: «Hai detto il vero, hai avuto cinque mariti e quello che hai non è tuo marito». In Israele solo il maschio poteva ripudiare e quindi la samaritana è sedotta e abbandonata cinque volte. C’è un dolore più grande? Ora, in forza del giudizio della gente, ha scelto di convivere per non rischiare un’altra delusione.

Questa donna siamo noi quando sperimentiamo la nostra fragilità affettiva, quando siamo segnati dal dolore, quando ci sentiamo usati e feriti. Gesù comprende il peso dei nostri fallimenti, conosce la nostra sete di vivere e ci incontra nelle situazioni normali della giornata. Egli ci chiama mentre siamo fragili: non chiama i giusti, ma i peccatori come noi, non chi ha sete di denaro, ma di incontri umani. Non avvia processi, non giudica e non assolve, va al centro della vita ferita. Il suo sguardo si posa sulla sete di amare e di essere amati. Ci sta dicendo che nella vita non basta la sete di acqua, ma occorre la sete di incontri, perché se non abbiamo sete di persone siamo della povera gente, anche se avessimo una barca di soldi! Se abbiamo sete solo di noi stessi siamo dei poveretti, mentre l’incontro con  l’altro è acqua che fa scomparire la stanchezza. Chiediamo perdono a chi ci avvicina e trova asciuttto il nostro pozzo e diciamo grazie a quelle persone che lungo la nostra vita si sono affaticate per arrivare fino al nosrto pozzo, ci hanno trovati stanchi e sono stati per noi un pozzo dissetante. In altre parole: se sapremo sedere stanchi per qualcuno, regaleremo acqua dissetante!

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Domenica 5 marzo 2023 - 2 A (Mt 17,1-9)

Il vangelo dice che Gesù: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte… E là fu trasfigurato», cioè trasformato: divenne luminoso. Insieme ai discpeoli su questo monte alto oggi, in disparte, ci siamo anche noi. Nella Bibbia c’è una sorta di simpatia nel descrivere la divinità, come il Dio dei monti.

Il vangelo dice che Gesù: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte… E là fu trasfigurato», cioè trasformato: divenne luminoso. Insieme ai discepoli su questo monte alto oggi, in disparte, ci siamo anche noi. Nella Bibbia c’è una sorta di simpatia nel descrivere la divinità, come il Dio dei monti. Si dice inoltre che su quel gruppo scese una nube luminosa che li coprì con la sua ombra e una voce dal cielo disse: «Ascoltatelo!». La nube indica la presenza di Dio, mentre la sua voce invita ad ascoltare solo il Figlio. Gesù sta andando alla croce e all’apparenza il suo sembra un fallimento, mentre in realtà la sostanza è diversa, nel senso che la vita va guardata con occhi nuovi e diversi. Il volto di sole che appare in Gesù è anche il nostro, perché ciascuno ha dentro di sé un tesoro di luce, ha una bellezza interiore da regalare, ha una luminosità addormentata da svegliare. Trasfigurarsi corrisponde alla gioiosa fatica di liberare la luce e la bellezza sepolte in noi e aiutare altri a fare lo stesso.

Per trasfigurarsi la voce dal cielo non ci chiede di fare cose, ma di ascoltare Lui, il figlio Gesù. E ascoltarlo è davvero scomodo, faticoso, duro. Distinguere la sua Parola maiuscola dalle parole, significa trasfigurarsi. Non si può mettere sullo stesso piano la Parola di Dio e quella di un vescovo, di un veggente, di un parroco… Non abbiamo bisogno di visioni e di apparizioni supplementari. La nostra trasfigurazione inizia quanto smettiamo di ascoltare i nostri bisogni, le nostre paure, le nostre ansie e cominciamo ad ascoltare la sua voce che ci chiama a uscire da noi stesso, a regalare vita, a portare luce dove ci sono volti sfigurati. In questi giorni sono i volti dei migranti che hanno trovato sepoltura nel mare. Con la poetessa somala Warsan Shire ai politici che si permettono commenti fuori luogo sui volti sfigurati di questa gente direi: «Nessuno mette i suoi figli su una barca, a meno che l’acqua non sia più sicura della terra». Ascoltare la voce del vangelo è tremendamente scomodo, eppure il suo messaggio è sole che fa vivere anche chi non si conosce. Trasfigurarsi significa amare ogni vita, abbracciare chi sta male, girarci verso la luce, così come la natura in questi giorni si gira verso la primavera.

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Domenica 26 febbraio 2023 - 1 quaresima - A (Mt 4,1-11)

Ascoltando il racconto delle tentazioni ci sembra di trovarci davanti a due attori che si contendono la scena. In realtà va precisato che ciò che è chiamato diavolo è la personificazione del male presente in quasi tutte le culture. Il vangelo ci sta dicendo che anche per Gesù la vita fu una ricerca fra le tenebre della notte e la luce del giorno.

Ascoltando il racconto delle tentazioni ci sembra di trovarci davanti a due attori che si contendono la scena. In realtà va precisato che ciò che è chiamato diavolo è la personificazione del male presente in quasi tutte le culture. Il vangelo ci sta dicendo che anche per Gesù la vita fu una ricerca fra le tenebre della notte e la luce del giorno. Egli è l’ebreo uomo-Dio che affronta tutte le prove della vita con una radicale fiducia in Dio. La sua come la nostra è una esistenza “tentata”, con tutte le caratteristiche della precarietà. Il tentatore chiedendo a Gesù di trasformare le pietre in pane gli suggerisce di ridurre la vita al benessere economico. In un secondo momento, provocandolo di buttarsi dal punto più alto del tempio, lo invita a non pensare Dio in termini spettacolari. In un terzo momento lo sfida a scommettere sul potere, quale scorciatoia del dominio, della forza. A queste provocazioni Gesù risponde dicendo che l’uomo è più dello stomaco e del portafoglio, che la fede non si nutre di miracoli e che occorre demolire gli idoli per puntare sull’essenziale.

Quelle di Gesù sono anche le nostre tentazioni e riassumono i grandi inganni della vita dell’uomo. Il termine “tentazione”, per noi, è ambiguo perché lo capiamo come la spinta a fare il male, quando in realtà vuol dire “mettere alla prova”. È fare verità dentro di noi, al di là di ciò che proviamo ad apparire, al di là delle mille maschere con cui recitiamo. Mettere alla prova significa porre ordine nelle nostre scelte, per vedere che cosa c’è dentro il cuore e liberarci da quei “padroni silenziosi” che ci comandano. All’uomo tentato di credere nelle cose e in un po’ di pane, Gesù risponde che l’uomo di solo pane muore. All’uomo tentato di volere Dio al suo servizio, replica che occorre cercare il Donatore, non i suoi doni. È la tentazione di comprarsi Dio con preghiere, digiuni ed elemosine, per qualcosa che si sogna. All’uomo tentato di contrattare con Dio: “io ti dò il potere se tu mi adori”, Gesù risponde che ogni potere è adorazione della falsità. Quando ti sembra di avere in mano tutto, non hai in mano nulla! Al diavolo che provoca Gesù dicendogli: “assicura agli uomini, pane, miracoli e un capo, e li avrei in mano”, Gesù risponde di non volere persone da dominare, ma del tutto libere, capaci di cambiare il mondo con l’amore. Se per il diavolo questa è un’illusione, per Gesù è la strada vincente.    

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Domenica 19 febbraio 2023 - 7 A (Mt 5,38-48)

Quando Gesù afferma: «Vi fu detto, ma io vi dico», non sta sostituendo un nuovo elenco di regole a un altro più antico, ma ci aiuta a cogliere il centro e la tensione del rapporto con Dio e con il prossimo. L’ambizione degli scribi ebrei era la fedeltà, ma avevano il torto di ritenersi fedeli alla Legge ripetendola e di essere attuali frantumandola in un lungo elenco di precetti da osservare.

Quando Gesù afferma: «Vi fu detto, ma io vi dico», non sta sostituendo un nuovo elenco di regole a un altro più antico, ma ci aiuta a cogliere il centro e la tensione del rapporto con Dio e con il prossimo. L’ambizione degli scribi ebrei era la fedeltà, ma avevano il torto di ritenersi fedeli alla Legge ripetendola e di essere attuali frantumandola in un lungo elenco di precetti da osservare. Nella continuità Gesù afferma la novità, che consiste nel primato dell’amore. Gesù conclude il suo discorso dicendo: «Siate perfetti come è perfetto il vostro padre che è nei cieli». Noi tutti portiamo dentro il desiderio di vivere in un mondo perfetto, in una comunità perfetta, forse in una famiglia perfetta. Ma questa perfezione ci spinge a negare le nostre ferite e a disprezzare quelle degli altri, a condannare il mondo che non è perfetto. In realtà è normale per noi non essere perfetti, non dobbiamo piangere sulle nostre imperfezioni e Dio sa quanto siamo zoppi e per metà ciechi… Gesù non chiede l’impossibile: non dice siate perfetti “quanto” Dio, ma “come” Dio, che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni.

Gesù non ci consegna precetti, ma un’offerta di potere, un’energia nuova. Quando dice: «se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgili anche l’altra», non è un invito ad abbassare la testa, a porsi come il tappettino d’entrata della casa che tutti calpestano, ma suggerisce un’iniziativa precisa. Egli elimina il concetto di nemico, perché la violenza produce solo violenza. Il cristiano è una persona libera, padrone delle proprie scelte anche davanti al male ricevuto, disinnesca la spirale della vendetta. Non replica su altri ciò che ha subito, non ripaga con la stessa moneta, ma cerca spiegazioni, fa il primo passo, porge per primo il saluto. Per quale motivo Gesù ci chiede questo? Perché «siate figli del Padre vostro chefa sorgere il sole sopra i cattivi e sora i buoni». Il sole, infatti, non si merita, ma si accoglie. L’invito è di far sorgere un po’ di sole nella vita di chi ci è nemico, di credere nel sole anche quando non si vede. Potremmo dire:ma io non ho nemici!A volte, però, i nemici da amare possiamo essere noi stessi, perché non accettiamo certi nostri sbagli, ferite e contraddizioni. Il nemico con cui riconciliarti, quindi, potresti essere tu stesso, perché non accetti la vita che ti è toccata di vivere.

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Domenica 12 febbraio 2023 - 6 A (Mt 5,17-37)

Nel vangelo di oggi Gesù ci dice che la legge è per l’uomo e non l’uomo fatto per la legge. In questo modo fa nascere la religione dell’interiorità. Entrando nel vivo del discorso Gesù va alla sorgente della vita, va al cuore della persona e lo dice prendendo in considerazione i contrasti che emergono da quattro situazioni di vita.

Nel vangelo di oggi Gesù ci dice che la legge è per l’uomo e non l’uomo fatto per la legge. In questo modo fa nascere la religione dell’interiorità. Entrando nel vivo del discorso Gesù va alla sorgente della vita, va al cuore della persona e lo dice prendendo in considerazione i contrasti che emergono da quattro situazioni di vita. Il primo contrasto riguarda l’omicidio, per dire che chiunque si arrabbia con il proprio fratello, chiunque alimenta rabbia e rancore è già in cuor suo potenzialmente un omicida. Il secondo contrasto tocca il tema dell’adulterio, cioè il desiderare una donna sposata o promessa sposa da parte di un uomo che non sia suo marito. Il terzo contrasto riguarda il matrimonio in cui Gesù ammette la separazione solo in caso di unione illegittima. Il quarto contrasto tocca il giurare il falso utilizzando il nome di Dio. Gesù invita chi lo ascolta a passare dalla legge alla persona, dall’esterno all’interno, dalla religione del fare a quella dell’essere. La legge è autentica e va obbedita quando si prende cura della persona e della sua umanità.

Gesù ci sta dicendo: ritorna al cuore e guariscilo, solo così potrai curare le tue azioni. Se tu insulti l’altro, in cuor tuo sei destinato alla Geenna, che non è l’inferno, ma una garnde valle alla periferia di Gerusalemme dove si bruciavano le immondizie della città. In questo modo Gesù dice: se disprezzi il fraello tu fai della tua vita una spazzatura, la butti nell’immondizia. Circa poi il desiderio dell’altra persona, Gesù non è contro il desiderio che è forza della vita, ma contro il tentativo di avvicinare una persona per sedurla, per possederla, per ridurla a un oggetto. È questo non il peccato contro la morale, ma contro la grandezza della persona. Gesù, inoltre, invita all’igiene delle parole: «Sia il vostro parlare si, si, no, no». È come dire: scegli bene le parole da non dire! E se sei costretto a dire ciò che è sbagliato, fallo con misericordia o con il silenzio. Non sentirti a posto con la coscienza se non hai rubato, ma chiediti quanto hai saputo donare. Non sentirti tranquillo se non hai bestemmiato il nome di Dio, ma chiediti se la tua bocca loda il Signore. Ci sono, infatti, bestemmie silenziose, cresciute nel rancore e alimentate da delusioni verso un Dio che, spesso, è la semplice proiezione dei nostri bisogni. Se venendo alla messa ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia pure l’altare, lascia paradossalmente Dio, e vai a onorare il fratello, che è poi l’unico modo vero di onorare Dio.

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Domenica 5 febbraio 2023 - 5 A (Mt 5,13-16)

Gesù nel vangelo dicendo: «Voi siete il sale della terra,… voi siete la luce del mondo», afferma il rapporto che esiste fra i cristiani e il mondo. Non è un invito alla fuga dal mondo, dalla terra, non è un appello a costruirsi una terra alternativa, un mondo a lato, ma a vivere dentro questo mondo, con tutte le sue bellezze e le sue contraddizioni.

Gesù nel vangelo dicendo: «Voi siete il sale della terra,… voi siete la luce del mondo», afferma il rapporto che esiste fra i cristiani e il mondo. Non è un invito alla fuga dal mondo, dalla terra, non è un appello a costruirsi una terra alternativa, un mondo a lato, ma a vivere dentro questo mondo, con tutte le sue bellezze e le sue contraddizioni. Il sale non solo dà sapore, ma nelle culture antiche veniva usato per conservare e purificare, all’epoca degli antichi Romani adoperato per pagare gli operai (da cui il termine “salario”). Anche oggi, per dire l’eccessivo costo di qualcosa, si dice che è “salata”. Gesù ci dice che siamo anche “luce”, cioè capaci di vincere l’ombra, di rischiarare le giornate buie, di illuminare i volti e regalare speranza. Quella di Gesù non è una semplice esortazione: mi raccomando, siate luce, sforzatevi di diventare luce. Piuttoso ci sta dicendo: sappiate che lo siete già. Come la candela non deve sforzarsi, se è accesa, di fare luce, perché è la sua natura, così voi come discepoli se vivete secondo lo stile del vostro Maestro già fate luce.

Che Dio sia luce del mondo ce lo ha ripetuto Giovanni nel suo vangelo, ma sentirci dire che anche l’uomo è luce, che lo siamo anch’io e tu insieme, con tutti i nostri limiti e le nostre ombre, questo davvero ci sorprende. È la fiducia e la stima che Gesù ripone in noi: siamo una manciata di luce che sfida la notte del mondo. Non siamo il “miele del mondo”, ma il sale che dà sapore. In questo mondo non siamo spenti, ma regaliamo luce, quella di Cristo. Il rischio è di volerci separare dal mondo condannandolo, magari per farci vedere, per sentirci diversi e migliori, mentre nostro compito è far vedere uno stile alternativo di vita. Non si mostrano le parole, ma la qualità della nostra vita! Come il sale non si vede, ma se manca lo senti subito, così la luce se manca subito ti accorgi del buio. Il sale come la luce non fanno rumore, ma ti accorgi se mancano. Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio, ma la vera tragedia è quando un adulto ha paura della luce che possa illuminare i suoi angoli bui. Se due persone sulla terra si vogliono bene danno sapore al mondo, quando si perdonano diventano luce nel buio. Gesù sembra dire: se non riesce a essere luce, ti prego almeno di non fare ombra!

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Domenica 29 gennaio 2023 - 4 A (Mt 5,1-12)

Il brano delle beatitudini è tra i più noti, ma anche i più intriganti, perché suscita in tutti un certo disagio. Per nove volte ripete “Beati” i poveri, quelli che piangono, i miti, gli affamati e assetati di un mondo giusto, le persone dal cuore buono, quelli che hanno il cuore nei bisogni degli altri, quelli che costruiscono ponti di pace, quelli che si ostinano a proporsi giustizia, quelli che sono bastonati dalla vita.

Il brano delle beatitudini è tra i più noti, ma anche i più intriganti, perché suscita in tutti un certo disagio. Per nove volte ripete “Beati” i poveri, quelli che piangono, i miti, gli affamati e assetati di un mondo giusto, le persone dal cuore buono, quelli che hanno il cuore nei bisogni degli altri, quelli che costruiscono ponti di pace, quelli che si ostinano a proporsi giustizia, quelli che sono bastonati dalla vita. Il linguaggio di Gesù ha il tono paradossale di chi pensa: non è questa una storiella raccontata ai bambini per farli crescere fiduciosi e ottimisti? Non siamo di fronte a uno di quei “manifesti” pubblicitari che descrivono paesaggi perfetti quanto impossibili? Immagini e linguaggi così “colorati” per farci stare a galla nelle sconfitte dell’esistenza quotidiana? Le parole di Gesù non sono forse una via di fuga dalla realtà, l’immagine di un mondo che non esiste? Dove noi vediamo nei nostri ambienti piuttosto grigi, desolati, incolori e privi di futuro tutta questa esplosione di felicità? In realtà prima di insegnare ai discepoli il maestro Gesù vive ciò che insegna. Il suo primo insegnamento è la sua stessa vita. Per primo porge l’altra guancia, per primo mostra benevolenza, per primo risponde alla violenza con la dolcezza, per primo non mette in croce nessuno, ma sceglie di salire sulla croce.

Ogni giorno, da mattina a sera, sentiamo una musica diversa: è felice chi è ricco, chi è vincente, chi la fa franca, chi si appoggia ai potenti, chi fa bella figura, chi ignora gli altri, chi pensa solo al proprio granaio… Le beatitudini non sono una parola consolatoria, pia devota, ma al contrario un invito alla lotta, a scendere da un certo “treno del benessere”, dalle mille fabbriche della felicità che ripetono il medesimo monologo: del fare soldi, del fare carriera, del fare sesso, del fare profitto, del fare l’interesse privato o di gruppo… tutto senza limiti. Con il suo stile di vita Gesù chiama felice chi ha il cuore da povero, di chi sa non farcela da solo, ma confida nel suo Dio. Il povero è fortunato non perché gli mancano le cose, ma perché ha Dio dalla sua parte e quindi non porta più da solo il peso della vita. La storia ci insegna che i potenti sono come dei vasi pieni, non hanno spazio per nessn altro a differenza del povero che piangendo lava i propri occhi, vede più lontano e aiuta altri a ricominciare. Se in noi c’è un cuore umile da povero non oseremo mettere le mani su nessuno, non oseremo manipolare le persone, non oseremo fare da padrone a nessun cuore e impareremo a rispettare il mistero dell’altra persona, buona o cattiva che sia, non per gentile concessione, ma perché quella persona in qualche modo ci interpreta personalmente.

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Domenica 22 gennaio 2023 - 3 A (Mt 4,12-23)

Giovanni Battista è stato appena arrestato e sul suo movimento cala un’ombra di minaccia. Ma questa situazione anzichè aumentare la prudenza di Gesù fa crescere l’urgenza di annunciare la Parola. Egli lo fa uscire allo scoperto e si dirige vero Cafarnao, verso il lago di Genezaret in cui era fiorente l’attività della pesca.

Giovanni Battista è stato appena arrestato e sul suo movimento cala un’ombra di minaccia. Ma questa situazione anzichè aumentare la prudenza di Gesù fa crescere l’urgenza di annunciare la Parola. Egli lo fa uscire allo scoperto e si dirige vero Cafarnao, verso il lago di Genezaret in cui era fiorente l’attività della pesca. Una zona chiamata “Galilea delle genti£, perché abitata, in gran parte, da pagani, di cattiva fama, sia livello politico che religioso. Dio è così: ama il rischio, vuole sporcarsi le mani. Egli insegna nelle loro sinagoghe. Dicendo “loro” sembra prendere le distanze. Lui che è un autentico ebreo, e non un cristiano, parlava il linguaggio religioso della sua gente offrendo una nuova interpretazione delle Scritture. Gesù abbandona il suo ambiente e porta con sé solo una parola: «Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino». Con l’appello a convertirsi invita a cambiare direzione, a modificare la visione delle cose, il modo di guardare le persone e Dio. Il perché della conversione è presto detto: «Il regno si è fatto vicino». Si tratta di un regno basato sulla com-passione, sulla cura reciproca, sulla giustizia sociale e politica. Questo regno è un modo nuovo di stare al mondo, di stare accanto a chi ha bisogno, di pescare non più pesci, ma persone.

Gesù chiede a tutti di cambiare, ma solo ad alcuni domanda di seguirlo, perché non si può seguirlo senza esser disposti a cambiare, a mettersi in gioco. Non si tratta di essere di più, ma diversi, nuovi. Certo, cambiare significa fatica, genera conflitti. L’appello che Gesù rivolge a noi e alla chiesa è di uscire dai territori protetti, per lo più ecclesiastici, per attraversare il Cafarnao di oggi, come il nostro Maestro. Ci è chiesto di abitare i luoghi che ci disturbano, gli spazi del cambiamento, delle nuove sfide, delle domande quotidiane. Si tratta di mettersi in ascolto degli interrogativi che vengono dalle strade e dalle piazze di oggi, senza l’aria dei maestri, ma come compagni di viaggio. Alla chiesa non è richiesto di alzare il ponte levatoio, di occupare posti d’onore, ma di abbracciare persone, di incontrare le “genti”, senza alcuna distinzione di colore, di razza, di religione, con la consapevolezza che siamo tutti della “razza umana”! Non possiamo immaginare la nostra terra come cristiana e benedetta, rispetto a quella della “Galilea della genti” come corrotta e pagana, perché tutti noi abitiamo nella Cafarnao di oggi, in cui ci è chiesto di evitare ogni forma di via larga dell’omertà, della complicità e del favoreggiamento, per scegliere invece la via stretta della rettitudine, dell’onestà, e della lealtà.    

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Domenica 15 gennaio 2023 - 2 A (Gv 1,29-34)

Giovanni il Battista segnala la presenza dell’Atteso dicendo: «Ecco l’agnello di Dio , ecco colui che toglie il peccato del mondo». Non basta dire: è arrivato, è qui in mezzo a noi, è necessario comprendere il volto di questo Dio che mette in crisi l’idea che spesso noi ci siamo fatti di Lui.

Giovanni il Battista segnala la presenza dell’Atteso dicendo: «Ecco l’agnello di Dio , ecco colui che toglie il peccato del mondo». Non basta dire: è arrivato, è qui in mezzo a noi, è necessario comprendere il volto di questo Dio che mette in crisi l’idea che spesso noi ci siamo fatti di Lui. Egli non viene come un lupo, ma come un agnello, non come un giudice, ma come uno che ti abbraccia con misericordia. È lui stesso che si offre per noi, che si dona e si consegna. Si tratta di un autentico capovolgimento, di una rivoluzione perché sposta completamente le attese del discepolo. Non c’è nulla da conquistare, ma tutto è dono da accogliere gratuitamente. In tutte le religioni le divinità chiedono sacrifici, mentre Gesù sacrifica se stesso. Viene come agnello che non pretende offerte ed elemosine, ma porta in offerta la propria vita, non spezza nessuno, ma spezza se stesso. Il Battista annuncia questo Dio-agnello e subito afferma: «Io non lo conoscevo». In altre parole manifesta una presenza che ammette onestamente di non conoscere. È la situazione di ogni cristiano che parla di questo Dio senza la pretesa di conoscerlo del tutto.

Il vangelo ci sta dicendo che ciascuno è chiamato a passare dal Signore “conosciuto” dei nostri segni di croce, delle nostre devozioni, delle nostre pratiche religiose, fossilizzato nelle nostre tradizioni, al Cristo sempre da conoscere, al Cristo che ci sorprende e ci inquieta. È importante vigilare sul volto di Dio che portiamo dentro, perchè se ci sbagliamo su Dio, poi sbagliamo su tutto: ci sbagliamo su noi stessi e sugli altri, sulla vita e sulla morte, sulla storia e sul mondo. Non c’è niente di peggio che costruirsi un’idea sbagliata di Dio! Giovanni non dice che Gesù viene a togliere i peccati del mondo, ma al singolare “il peccato del mondo”. Non toglie i singoli comportamenti malati, ma guarisce la radice del cuore dove tutto ha origine. Il peccato è scegliere la morte, mentre chi sceglie la vita si adopera per rimettere in piedi le vite spezzate. Alla maniera di questo Dio-agnello il cristiano non annuncia condanne, non crea sensi di colpa, ma testimonia il volto di Dio capace di dimenticarsi dietro una pecora smarrita, dietro un bambino, dietro un’adultera, capace di amare fino a far rialzare chi è caduto, fino a far risorgere chi si trova nel disordine della morte. Per questo, al suo seguito, ci manda nella vita, nella famiglia, nel mondo non come lupi, ma come agnelli!

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Domenica 8 gennaio 2023 - Battesimo del Signore (Mt 3,13-17)

Dopo anni di silenzio, vissuti nella bottega del padre Giuseppe falegname, Gesù decide di uscire allo scoperto e con sorpresa si mette in fila con i peccatori per farsi battezzare da Giovanni il Battista. Gesù sceglie di farsi battezzare come un qualsiasi altro peccatore segnato dal colpa e chiamato a conversione.

Dopo anni di silenzio, vissuti nella bottega del padre Giuseppe falegname, Gesù decide di uscire allo scoperto e con sorpresa si mette in fila con i peccatori per farsi battezzare da Giovanni il Battista. Gesù sceglie di farsi battezzare come un qualsiasi altro peccatore segnato dal colpa e chiamato a conversione. Il vangelo registra lo sconcerto, tanto che il Battista voleva impedire questo battesimo dicendo: Sono io che ho bisogno di essere battezzato e come posso accettare che tu venga da me? E Gesù risponde: «Lascia fare per ora». È come dire c’è un progetto su di me e non è quello che tu hai in mente. Tu ha pensato a un Messia castigatore, trionfante, giudice severo, mentre il mio trionfo sarà la croce, la condivisione della sorte degli abbandonati: non il distacco, ma l’immersione nella storia, non la distanza dall’uomo, ma il mio mescolarsi con la sua vita. Questa scelta del battesimo di Gesù dice la direzione della sua vita. Mentre questo Dio si immerge nella storia, una voce dal cielo lo chiama «Figlio amato» e in questo modo realizza la piena figliolanza con il Padre, quale anticipo di un passaggio-pasquale che annuncia a noi, per mezzo della stessa voce, una figliolanza senza meriti. È l’essere riconosciuti in Lui figli gratuitamente amati, per Grazia.

Questo Dio che si denuda e s’immarge nell’acqua diventa per noi una grande provocazione. Fin dall’antichità l’acqua rappresenta un simbolo potente sia di fecondità, sia di morte. Entrando nell’acqua Gesù chiede a Giovanni di non impedirgli di stare accanto all’uomo, di convididere la sua fragilità, la sua sofferenza, la sua paura. Egli è chiamato “Figlio” proprio quando si mescola con tutti, e porta il peso di tutti. Allo stesso modo noi siamo chiamati figli quando evitiamo l’arroganza e l’insulto, quando non copriamo la voce di chi grida in silenzio il suo dolore, quando non cerchiamo di metterci in mostra. Entrando nelle acque torbide della storia Gesù ci sta dicendo: non cercare Dio tra le nuvole del cielo. Cercalo piuttosto tra le persone che abitano accanto a te, tra i tuoi colleghi di lavoro, tra i tuoi genitori anziani, tra i tuoi parenti che fanno di tutto per evidenziare i tuoi difetti, tra le acque turbolente di tuo figlio che ti da mille preoccupazioni. Dio ha scelto quel posto: non cercarlo altrove saziandoti di riti e di formule religiose, accontentandoti di candele accese e di gesti propiziatori. Il battesimo è il segno che racconta e afferma l’amore gratuito di Dio per noi. Purtroppo una certa religiosità ha inculcato l’idea che Dio ama, ma ad alcune condizioni. In realtà se l’amore umano pone delle condizioni, quello di Dio no. David Maria Turoldo ricordava che suo padre un giorno, quando lui piangeva perché voleva la tessera dell’Azione cattolica, gli disse: «Tessera, tessera, qui casa mia non voglio tessere – perché quello era il tempo della tessera del fascismo – ti basti il Battesimo!».    

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6 gennaio 2023 - Epifania (Lc 2,1-12)

l raconto dei Magi ci affascina, ma si tratta di una leggenda che svela significati teologici profondi. Si è speculato sui loro doni e si è voluto trovare un significato per l’oro, l’incenso e la mirra. Qualcuno ha provato anche a dare un nome alla stella. Siccome i doni erano tre, i magi divennero tre, si diede loro un nome e con il tempo furono chiamati i “re magi”.

Il raconto dei Magi ci affascina, ma si tratta di una leggenda che svela significati teologici profondi. Si è speculato sui loro doni e si è voluto trovare un significato per l’oro, l’incenso e la mirra. Qualcuno ha provato anche a dare un nome alla stella. Siccome i doni erano tre, i magi divennero tre, si diede loro un nome e con il tempo furono chiamati i “re magi”. Questi abbellimenti devozionali e fantasiosi danno un tocco di poesia al racconto, ma vanno oltre il messaggio del testo. Questi “magoi” (μάγοι: maghi, astrologi, amanti della saggezza), sono uomini in ricerca, che guardano le stelle, che sanno mettersi in cammino. L’Oriente antico vede nella luce delle stelle un riflesso della luce divina, una Sua chiamata. Sono dei “pagani”, vengono dall’Oriene, non fanno parte del “popolo eletto”. Mentre arrivano a Gerusalemme il potere interpretato da Erode, i capi religiosi e tutta Gerusalemme sono turbati, presi da paura, non vedono la stella. Sia Erode che la città si mobilitano per far fuori il neonato, hanno paura per quello che stanno per perdere: Erode il trono e Gerusalemme il tempio, l’egemonia e l’esclusiva sulla figura di Dio. Trono e tempio sono all’insegna del potere.

Ecco il paradosso: uomini lontani, pagani sono i più solleciti: osservano, ascoltano, si muovono alla ricerca del Bambino. Iprivilegiati, invece, gli uomini di chiesa sono ciechi e sordi. Sembra la nostra fotografia di persone che si pensano religiose, che si ritengono di essere i veri credenti, che hanno il nome di Dio in bocca tutti i giorni. Ebbene, proprio noi siamo quelli che non cercano il Bambino. Perché? Perché crediamo di possedere di Dio, di avere il monopolio della fede, della morale, della verità. Non raramente pensiamo di essere il megafono di Dio, coltiviamo i nostri interessi e privilegi, allontaniamo chi non la pensa come noi. L’impresa più difficile al mondo è laconversione dei cosiddetti buoni. L’ora che stiamo vivendo non sembra celebrare l’universalità, la ricerca, il grande respiro che il vangelo ci segnala. Ci chiudiamo arroccati nella nostra cittadella della verità, del nostro pensiero, delle nostre soluzioni. Sembra che l’altro, lo straniero, chi non conosce Dio, non possa suggerirci nulla. Così spegniamo la ricerca, convinti che la verità è solo nelle nostre mani. Ognuno sbandiera la sua verità e quasi mai ci sentiamo sfiorati dal sospetto che una parte di verità possa venire dall’altro, dallo straniero, dal non cristiano. Nascono così le contrapposizioni, i dogmatismi, i fanatismi. Si tratta di rimanere in attesa. Non è facile dire Dio ai bambini e ai pagani, agli indifferenti e agli atei, spiegando allo stesso tempo che noi stessi non possediamo Dio, ma che anche noi lo aspettiamo.

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Domenica 1 gennaio 2023 - Madre di Dio (Lc 2,16-21)

È sempre con tanta commozione che noi, sulla soglia di un nuovo anno ascoltiamo le parole di benedizione che sono cutodite nel primo testo biblico ascoltato dei Numeri. Il desiderio si accende nel cuore nel poter dire a ogni persona cara: «Ti benedica il Signore e ti protegga».

È sempre con tanta commozione che noi, sulla soglia di un nuovo anno ascoltiamo le parole di benedizione che sono cutodite nel primo testo biblico ascoltato dei Numeri. Il desiderio si accende nel cuore nel poter dire a ogni persona cara: «Ti benedica il Signore e ti protegga». Nella tradizione rabbinice queste erano le parole di benedizione che il sacerdote la sera pronunciava sul popolo, dopo esser rimasto in preghiera nel tempio, durante l’ora dell’incenso. La liturgia ci pone in primo piano la figura di Maria madre di Gesù che medita sui fatti che succedono. Allo stesso modo anche noi siamo invitati a riflettere sugli avvenimenti di questo anno difficile appena terminato, per molti segnato dalla sofferenza, dalla solitudine e dalla morte di persone care. Dio non è un qualcosa di aggiunto alla storia ma è dentro la storia, dentro la gioia e la stanchezza. Noi davanti ai fatti della vita rischiamo talvolta di restare senza parole e senza speranza. È capitato a Zaccaria, padre di Giovanni Battista, che non potè pronunciare le parole di benedizione perché era rimasto muto, dal momento che non aveva creduto che a Dio nulla è impossibile. Non credeva che nel grembo in apparenza inaridito della moglie Elisabetta potesse sussultare la vita, pensando tra sé: che cosa può nascere di nuovo?

Noi ci facciamo gli auguri, ma sotto sotto, nel pensiero e nel cuore non manca la sensazione che l’augurio corrisponda a un passatempo e che nulla cambierà. O forse, se siamo fortunati, lasciamo la novità al caso, al destino, alla fatalità. In realtà noi leghiamo il sussultare del grembo di questo mondo, inaridito, alla potenza creatrice di Dio. Accade che i nostri auguri, pur se colmi di affetto e di sentimento, non vanno al di là di un desiderio. Tuttavia il Signore non si stanca di benedirci, certi che la sua protezione rimane efficace, vera e si compie. Come i pastori del vangelo, se ne tornavano ai loro greggi, alle loro notti, alla fatica di vivere godendo della luce del Bambino, così anche noi ritorniamo alle nostre case, alla fatica di vivere pieni di speranza perché il volto del Signore ci è favorevole, questo Dio si è curvato con amore su di noi. Si tratta allora dibene-direchi ci sta accanto: didire-benedella moglie, del marito, dei figli, degli amici e scoprire che in ogni persona c’è uno spiraglio di luce del Bambino Gesù. Non sappiamo come saranno i giorni futuri di questo nuovo anno, ma sappiamo che Lui, il Signore, non si stancherà di curvarsi su di noi per regalarci fiducia e darci pace.

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Natale 2022 (Lc 2,1-14)

Natale è fare festa a un bambino che nasce. Per cogliere il senso di questa nascita facciamo un piccolo passo indietro per riandare alla scena che precede e accompagna la venuta al mondo di questo bimbo. Il vangelo di Luca, nella sua semplicità e priva di effetti speciali, ci dice che Maria partorì un bambino.

Natale è fare festa a un bambino che nasce. Per cogliere il senso di questa nascita facciamo un piccolo passo indietro per riandare alla scena che precede e accompagna la venuta al mondo di questo bimbo. Il vangelo di Luca, nella sua semplicità e priva di effetti speciali, ci dice che Maria partorì un bambino. Non è venuto al mondo in modo strano, ma bagnato e sporco come ogni nato della sua specie. È venuto al mondo dal corpo di una donna, nell’ambiente di una stalla. In questo modo si dice che il senso di Dio si fa trovare in un corpo fatto di parto, di lacrime, di sangue. Per alcuni ancora oggi è una realtà scandalosa, mentre il vangelo ci sta dicendo il senso vero dell’amore di Dio. Per questo Dio amare è entrare nel mondo delle cose, è entrare nella vita reale delle persone. È così che Dio ama. Dio ci dice: non fuggite la vita, ma entrate in essa. Attraverso l’angelo rassicura i pastori dicendo: «Non temete, vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore». Ecco la bella notizia che scaccia la paura: non è nato un giudice, ma un Salvatore: la vita non deve farci paura, perché nella vita Dio è presente. L’angelo lo ripete anche a noi oggi, pastori degli anni duemila: Non abbiate paura!

Buon Natale a te genitore che ti senti un pastore di altri tempi, non all’altezza di crescere e accompagnare i tuoi figli di oggi. A te che ti senti pastore sbagliato, deluso, fallito: non dimenticare che nella vita tutti hanno imparato a camminare cadendo.

Buon Natale a te pastore sventurato che sei finito in carcere per un errore giudiziario e a te che passi il Natale in prigione lontano dalla tua terra e dalla famiglia. A te pastore che vivi nell’ombra, travolto dalla paura di non poter più riuscire da certi pantani di corruzione, di tradimento, di falsità nei quali ti sei infangato.

Buon Natale a te che sei disperato perché non trovi lavoro, a te che pur potendo lavorare sei mantenuto, viziato, capriccioso, a te che ti sei laureato e non hai una raccomandazione o una parentela giusta e sei costretto a cercare un riconoscimento oltre i confini.

Buon Natale ai diversamente abili, pastori zoppi che camminano con il bastone della loro dignità, che si muovono incerti, che ti conquistano con la loro serenità e il loro sorriso. A quelli che passano i giorni su un letto di ospedale, mendicanti di un saluto e del calore di una carezza.

Buon Natale a quei pastori che hanno generato figli, ma non sono mai diventati padri e madri. Per i figli di genitori separati e divorziati, che come pecore ferite soffrono senza sapere il perché dei loro pastori, che vivono con un cuore spezzato e insicuri cercano continue conferme.

Buon Natale ai genitori che hanno cresciuto i loro figli nel pieno benessere e, sconsolati, si trovano a dover digerire tanto malessere e tanta delusione. E buon Natale anche ai genitori costretti ad ascoltare il lamento dei figli che non trovano sonno perché hanno lo stomaco vuoto.

Buon Natale ai pastori orgogliosi di dirsi cristiani che tuttavia vivono con la paura dell’altro, del diverso, del migrante, di chi non gli assomiglia: quasi non fossero pecore della razza umana, percepiti tutti come lupi sempre in agguato.

Buon Natale ai pastori che si sentono soli, che devono fare i conti con il maltempo del cuore, il freddo dei legami familiari, la mancanza di saluti e di volti. A chi vive la fede in guerra, in cui il Bambino Gesù è ucciso, fucilato, torturato, giustiziato nel corpo dei soldati e dei civili. Pur umiliati questi fratelli e sorelle non scappano dalla vita.

Anche per noi oggi l’angelo del vangelo ci ripete: non abbiate paura della vita. Egli ci annuncia che il Bambino che è nato è la vera speranza, la Stella che nessun temporale della vita può spegnere.

Buon Natale!

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Domenica 18 dicembre 2022 - 4 Avvento A (Mt 1,18-24)

Il vangelo di oggi racconta l’evento della nascita di Gesù attraverso il quale l’uomo entra nella storia di Dio. Il matrimonio ebraico ufficiale poteva precedere di uno o due anni la convivenza e la sua violazione era considerata un adulterio. Attraverso un sogno si dice a Giuseppe che Maria è incinta di un annuncio e non di lui.

Il vangelo di oggi racconta l’evento della nascita di Gesù attraverso il quale l’uomo entra nella storia di Dio. Il matrimonio ebraico ufficiale poteva precedere di uno o due anni la convivenza e la sua violazione era considerata un adulterio. Attraverso un sogno si dice a Giuseppe che Maria è incinta di un annuncio e non di lui. È un caso mai sentito in Israele: una vergine incinta. In altre occasioni un angelo aveva annunciato una gravidanza, ma si trattava di mogli sterili, mentre a Giuseppe gli è successo di sposare una vergine incinta. Questo caso irregolare gli ha messo contro tutta la comunità tanto che le donne di Nazareth guardavano curiose la pancia di Maria. Secondo la legge, infatti, Giuseppe avrebbe dovuto ripudiarla e lei essere lapidata come adultera. Per la tradizione il caso di Maria è considerato un adulterio e solo lei avrebbe dovuto pagare l’errore, poichè era considerata proprietà del marito. Giuseppe rimane disorientato, ferito, tradito e pur sapendo che quel bambino non è suo e non viene dal suo seme, accetta di inserirlo nel registro della sua famiglia che discende dritta dal re Davide.

Giuseppe disobbedisce alla legge, è capace di dire di no e sceglie di obbedire al suo cuore: sente di amare Maria più di prima. A volte, sembra dirci Giuseppe, che per fare la cosa giusta occorre infrangere la legge...Il suo è un invito a scegliere la vita nonostante le delusioni e i fallimenti che riserva. Come è accaduto a Giuseppe anche noi sogniamo, pianifichiamo, programmiamo, ma poi la realtà arriva in un modo inaspettato e la vita non accetta di essere sfidata. La sorpresa, infatti, rientra in quella non regolarità umana, che forse è l’unica regola delle vicende umane. È bello osservare che nella voce dell’angelo rivolta a Maria e nella voce del sogno rivolta a Giuseppe si ripete l’identico invito: «Non temere!». In altre parole: non temere di essere amato da Dio, non temere di aprire la porta al "Bambino”, non aver paura di chi ti vuole bene! Perché temere l’amore significa aver paura della vita. Come le parole dell’angelo sono state semi che hanno trasformato un corpo di donna in grembo fecondo, così chiediamo a Dio che il seme della Parola ascoltata faccia nascere in noi il gusto e l’impegno di una vita nuova all’insegna dell’amore.Del resto il Bambino Gesù che nasce da Maria è un amore diventato visibile nella nostra umanità.

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Domenica 11 dicembre 2022 - 3 Avvento A (Mt 11,2-11)

Ancora una volta il vangelo pone al centro la figura di Giovanni il Battista che, dal carcere dove è rinchiuso, viene a sapere delle opere compiute da Gesù. Non senza sorpresa gli manda a dire: “Sei tu il Messia o ci siamo sbagliati?”. Il Battista va in crisi, dunita della sua idea di Dio.

Ancora una volta il vangelo pone al centro la figura di Giovanni il Battista che, dal carcere dove è rinchiuso, viene a sapere delle opere compiute da Gesù. Non senza sorpresa gli manda a dire: “Sei tu il Messia o ci siamo sbagliati?”. Il Battista va in crisi, vede demolita la sua idea di Dio. Egli aveva annunciato un Messia giustiziere, che avrebbe punito duramente i peccatori e invece sente dire che Gesù offre il suo amore a tutti e la sua misericordia splende come il sole sui buoni e sui cattivi, su chi lo merita e chi è senza meriti. Il Battista, davanti a questo volto impensato di Dio è perplesso perché vede demolita la sua idea di Dio. Tuttavia pone una domanda, ha l’umiltà di cercare e di chiedere. Non si chiude nelle sue certezze sul volto di Dio, ma è disposto a lasciarsi stupire. Gesù non risponde direttamente alla domanda del Battista, ma rimanda alle sue opere. Dite al Battista l’importanza di spalancare gli occhi su ciò che Dio opera: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il vangelo». Dio entra nelle ferite delle persone per trasformarle. Ed è beato chi non si scandalizza di un Dio che usa misericordia.

Il Dio che Gesù descrive non fa storia muovendo da pratiche religiose, ma dall’ascolto del dolore della gente. Egli agisce cominciando dagli ultimi, ponendo la persona prima della Legge. Non dice:correte gente, stupitevi della bontà di noi cristiani, meravigliatevi della nostra generosità, riconoscete di quanto amiamo i poveri, di quanto siamo bravi!Piuttosto invita a fare attenzione per riconoscere nella quotidianità i germogli di bene che silenziosamente spuntano ogni giorno sui rami della vita di tante persone sconosciute. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della storia a suon di miracoli, ma ci dice che siamo noi capaci di compierli. Il miracolo sta nel credere nella forza del seme gettato. I fatti di guarigione che Gesù elenca non hanno risolto tutti i problemi, tuttavia quei piccoli segni sono stati sufficienti perché noi non potessimo più considerare il mondo come un malato inguaribile. Mi è capitato di piangere interiormente di gioia, nel vedere uomini e donne compiere miracoli: rimanere nel dolore senza scappare, abitare la ferita della vita senza disperare, perdonare sapendo di non avere torto. Questa è l’opera di Dio che continua ancora oggi a scandalizzare!

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Immacolata 8 dicembre 2022- (Lc 1,26-38)

Il significato della solennità dell’Immacolata può prestarsi a confusione. Ancora oggi alcuni pensano che essa evochi la concezione verginale di Gesù, mentre si tratta di Maria protetta da ogni macchia di peccato fin dal primo istante della sua esistenza. L’origine dell’idea che donne vergini partoriscono liberatori divini si perde nella notte dei tempi.

Il significato della solennità dell’Immacolata può prestarsi a confusione. Ancora oggi alcuni pensano che essa evochi la concezione verginale di Gesù, mentre si tratta di Maria protetta da ogni macchia di peccato fin dal primo istante della sua esistenza. L’origine dell’idea che donne vergini partoriscono liberatori divini si perde nella notte dei tempi. Il mito della nascita miracolosa del bambino salvatore come figlio di una vergine è in effetti diffuso in tutte le culture del mondo. Non si tratta, quindi, di dimostrare la verginità fisica di Maria, ma di affermare che la fedeltà di Dio fa grandi cose attraverso piccole creature. Maria è grande perché si è fatta serva fedele della parola di Dio. Questa figura di donna descritta come incontaminata e quasi a-sessuata, tutta costruita a colpi di privilegi, è diventata sempre più estranea nella chiesa. In questo modo si sono sviluppate devozioni ambigue, culti strani carichi di uno spiritualismo fanatico e idolatrico, in cui si mescolano santuari e apparizioni come veri e propri “mercati del tempio”. Questa solennità, forse, potrebbe essere un invito a ritrovare una persona umana scomparsa, dispersa, lontano dalla vita quotidiana.

Maria, proprio perché pensata da Dio, si trova a “concepire”. Se Dio non ci pensa non possiamo generare. “Concepire” è un verbo che noi usiamo non solo per descrivere un fenomeno biologico per la nascita di un figlio, ma anche per evocare l’atto del pensare, del progettare. Qual è l’esperienza che ci fa sentire vivi? Essere pensati da qualcuno! Che vita sarebbe se non fossimo concepiti, pensati da nessuno? Quando a qualcuno vogliamo dire che gli vogliamo bene, non diciamo forse. “Ti penso”? Del resto non essere pensati da nessuno sarebbe come non vivere. L’angelo sembra dire a Maria: Dio ti ha pensata e il fatto di pensarti ti permette di concepire, di generare, di essere.
È un’esperienza che tocca non solo Maria, ma tocca ogni creatura! Il profeta Geremia diceva: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi nella luce, ti avevo consacrato». Dio pensa la sua creatura. E Maria non è pensata come una candida statuina di gesso fuori dalla realtà, una figura immobile di cera, ma una creatura con le sue lotte e le sue angosce, una mamma con i suoi slanci e le sue delusioni, una sorella con le sue prove e le sue tentazioni. Come ha pensato Maria lontano dagli incensi del tempio e dalle luci della città, così Dio pensa ciascuno di noi lontano dalla pubblicità e dalla piazza.

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Domenica 2 Avvento - A (Mt 3,1-12)

Nella Palestina tra l’anno 27 e 28 d.C. fa la sua comparsa Giovanni Battista, un profeta originale e indipendente che ha una forte presa sul popolo. Non predica come gli altri profeti a Gerusalemme, ma vive appartato dalla aristocrazia del tempio e lontano dai palazzi della politica. Di lui si dice che è voce che grida nel deserto, un luogo difficile da controllare per qualsiasi potere.

Nella Palestina tra l’anno 27 e 28 d.C. fa la sua comparsa Giovanni Battista, un profeta originale e indipendente che ha una forte presa sul popolo. Non predica come gli altri profeti a Gerusalemme, ma vive appartato dalla aristocrazia del tempio e lontano dai palazzi della politica. Di lui si dice che è voce che grida nel deserto, un luogo difficile da controllare per qualsiasi potere. Con il suo linguaggio asciutto e diretto afferma: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». È l’invito a fare nella vita un’inversione a U, fermamente proibita dal codice della strada, ma fortemente raccomandata dal vangelo. E aggiunge: «Preparate la via al Signore», per dire che questa strada che porta all’incontro con Lui non si può improvvisare, ma domanda un costante impegno. Infine aggiunge: «Raddrizzate i suoi sentieri», segnalando in questo modo che le strade che percorriamo spesso non sono diritte. Con tono forte, poi, chiama i farisei e i sadducei: «Razza di vipere» e li invita alla conversione, dicendo: «non crediate di poter dire dentro di voi: Abbiamo Abramo per padre». L’appartenenza religiosa non conta se manca un’adesione personale.

Il Battista non si lascia sedurre dalla tentazione di farsi passare per il Messia. Egli smaschera e obbliga l’uomo a guardarsi dentro, a dire la verità su se stesso, sulla propria vita. L’invito a convertirsi è un appello a “cambiare pelle”, a rimuovere le maschere che ci nascondono a noi stessi e agli altri. Del resto la conversione è un cammino, un processo continuo, fatto di cadute e di ripartenze. La caduta non è un fallimento, ma fa parte del gioco della vita. Del resto il bambino stesso impara a camminare cadendo. Nessuno può sentirsi a posto del tutto, convertito una volta per tutte. Non possiamo allo stesso modo dei farisei e sadducei, i religiosi doc del tempio, dire a noi stessi:La mia famiglia è cristiana, siamo stati battezzzati, la domenica andiamo a Messa, i nostri figli li mandiamo a catechismo... Il Dio cristiano, se incontrato, lascia un segno nella nostra vita. È entrato nelle nostre relazioni, al centro di noi stessi, dei nostri slanci e delle nostre contraddizioni. Come ci ha detto il profeta Isaia Egli non rifiuta ma mantine in armonia il lupo e l’agnello che c’è in noi, il bambino e il serpente che ci abitano, il lupo e l’agnello che ospitiamo. Mai si permetterà di giudicare secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire. Questa è la buona notizia.

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Domenica 27 novembre 2022 - 1 Avvento A (Mt 24,37-44)

Con questa prima domenica di Avvento iniziamo un nuovo anno liturgico, lasciandoci ancora una volta accompagnare dalla Parola che orienta i nostri passi e le scelte di vita. Avvento è il tempo dell’attesa della venuta del Signore che viene come un ladro, cioè nell’ora che non immaginiamo. La comunità dell’evangelista Matteo vive un momento di profonda crisi.

Con questa prima domenica di Avvento iniziamo un nuovo anno liturgico, lasciandoci ancora una volta accompagnare dalla Parola che orienta i nostri passi e le scelte di vita. Avvento è il tempo dell’attesa della venuta del Signore che viene come un ladro, cioè nell’ora che non immaginiamo. La comunità dell’evangelista Matteo vive un momento di profonda crisi. L’entusiasmo si era affievolito e di fronte alle ostilità e persecuzioni, il ritorno di Cristo, che si pensava come imminente, tardava a venire. La Parola di Gesù sembrava quindi un sogno, un’amara illusione. Matteo descrive il ritorno di Cristo con parole inquietanti che rinviano al diluvio universale. Noè, quando si era messo a costruire una barca senza nessun mare attorno, agli occhi della gente appariva come un folle, ma fu proprio quell’arca a salvargli la vita, insieme ai viventi. Al tempo di Noè gli uomini «mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito». Non facevano nulla di male, ma il problema è che non si accorsero di nulla. Avvento è tempo di vigilanza, tempo di attenzione, il contrario della superficialità.

Forse anche oggi, come ai tempi di Noè, chi vede i cristiani pregare, costruire un modo alternativo di vivere, può pensare che sono degli illusi, abbagliati dalle parole del vangelo. In realtà sono quelli che credono nel vivere come sentinelle vigilanti che si accorgono di chi ha bisogno e non rimangono indifferenti. È possibile vivere senza accorgerti di nulla, di chi ti sfiora nella tua casa, di chi ti rivolge la parola, dell’anziano che cerca un saluto, una considerazione, una carezza. Si può vivere senza incontrare i volti dei popoli in guerra, delle donne violate, comprate e vendute, senza accorgerci dei molteplici naufraghi a Lampedusa... Il linguaggio di Gesù non fa paura, ma ci mette in guardia. Quando dice che «due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata», non ci sta parlando dell’angelo della morte, ma di due modi diversi di vivere nel campo della vita. Uno vive da adulto, l’altro da bambino. Uno vede la persona accanto, l’altro vede solo se stesso. La sera di ogni giornata rischiamo di contare tante cose che abbiamo fatto, come pietre accumulate insieme, ma un conto sono le pietre nel mucchio e un conto quelle radunate in modo ordinato in un edificio. Che il Signore Gesù che viene, ci svegli dal nostro sonno e ci suggerisca il disegno della costruzione della nostra vita.

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Marco Morandini Marco Morandini

34 - Gesù Cristo re – A (Mt 25,31-46)

È l’ultima domenica dell’anno liturgico, solennità di Cristo re. Poi sarà Avvento. Sorprende che questo Cristo-re, dall’alto del suo trono, non pensa ai suoi palazzi, alla sua gloria. Stupisce che non chieda qualcosa di religioso per sé, ma di fare qualcosa di laico per le donne e gli uomini di oggi. È come se, in qualche modo, questo re si nascondesse nelle persone. Nasce la domanda: quando mai ti vediamo? Egli risponde: quando vedete un affamato, un assetato, uno straniero, uno senza vestiti, un malato, un carcerato, mi state vedendo. Molti di noi sono cresciuti da bambini con domande e risposte da catechismo e una di queste chiedeva: «Per quale fine Dio ci ha creati?».

È l’ultima domenica dell’anno liturgico, solennità di Cristo re. Poi sarà Avvento. Sorprende che questo Cristo-re, dall’alto del suo trono, non pensa ai suoi palazzi, alla sua gloria. Stupisce che non chieda qualcosa di religioso per sé, ma di fare qualcosa di laico per le donne e gli uomini di oggi. È come se, in qualche modo, questo re si nascondesse nelle persone. Nasce la domanda: quando mai ti vediamo? Egli risponde: quando vedete un affamato, un assetato, uno straniero, uno senza vestiti, un malato, un carcerato, mi state vedendo. Molti di noi sono cresciuti da bambini con domande e risposte da catechismo e una di queste chiedeva: «Per quale fine Dio ci ha creati?». La risposta da imparare a memoria era: «Per conoscere, amare e servire Dio in questa vita e goderlo per tutta l’eternità». La parabola di oggi ci dice che in questa risposta manca qualcosa, manca il prendersi cura della persona che ha bisogno. Nel vangelo non ci è chiesto di fare miracoli, di compiere guarigioni, ma di prenderci cura. Non basta sentirci buoni e dire: io non faccio nulla di male. Perché si uccide anche con il silenzio, con lo stare alla finestra, con l’indifferenza. Il re del vangelo separa le pecore a destra e le capre a sinistra,…senza nessun riferimento politico. Il suo giudizio non sarà come pensavano gli ebrei: il popolo eletto da una parte e i pagani dall’altra. Piuttosto, sarà un giudizio morale tra giusti e ingiusti. Fin dalle prime parole si comprende che il giudizio di Cristo non sarà sul numero delle messe partecipate, sulle preghiere recitate, sulle cose che ci hanno fatto arrabbiare nella vita, ma sulla qualità della relazione che abbiamo vissuto con gli altri. Possiamo pensare alla realtà delle nostre case: là dove in silenzio si cura un malato, si sostiene un anziano, si dà speranza a un handicappato, a volte a prezzo di grandi fatiche… Cristo dice a questi: «Benedetti del Padre mio». C’è una benedizione reale anche nelle case, una benedizione diretta, che non ha bisogno di essere mediata dai preti. Non importa a quale fede o non fede tu appartenga, questa strada del prendersi cura delle ferite degli altri porta direttamente a Dio. Se non riconosci chi è in difficoltà, se non ti inginocchi davanti ai suoi bisogni, tutte le tue genuflessioni in chiesa non avranno nessun valore! Non si tratta di sentirci, allora, i salvatori del mondo, perché secondo il vangelo il nostro destino si gioca nel rapporto con “uno” solo, con una sola persona. Anche nel più piccolo servizio tocchiamo la totalità del servizio! In ogni frammento tocchiamo il tutto di Dio che si manifesta. Nel suo testamento don Lorenzo Milani scriveva: «Caro Michele. Caro Francesco, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non sia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto. Vi abbraccio».

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