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Domenica 3 marzo 2024 - 3 quaresima B (Gv 2,13-25)

All’avvicinarsi della Pasqua Gesù compie nel tempio di Gerusalemme un gesto imprevedibile, per la sua carica dirompente: caccia i mercanti con i loro animali usati per il sacrificio, getta a terra il denaro e rovescia i banchi.

All’avvicinarsi della Pasqua Gesù compie nel tempio di Gerusalemme un gesto imprevedibile, per la sua carica dirompente: caccia i mercanti con i loro animali usati per il sacrificio, getta a terra il denaro e rovescia i banchi. Alle nove del mattino e alle tre del pomeriggio, infatti, al tempio veniva ucciso un angelo, rendendo così il culto a Dio attraverso le cose. Per Gesù il tempio diventa in questo modo scandaloso, ,perché la fede è ridotta a mercato. Cacciando i venditori con gli animali, quali vittime destinate al sacrificio pasquale, destinati al culto, Gesù sta dicendo che quei sacrifici non servono più e che la nuova vittima pasquale, l’agnello è Lui. Anzi, dice che l’edificio del tempio non è più decisivo, perché il vero tempio è la sua persona. Con questo gesto Gesù contesta lo spettacolo del tempio ridotto a “casa di commercio”, critica la confusione creata tra fede e religione.

Se la fede è il coinvolgimento di tutta la persona, un modo di vivere e di scegliere, la religione è l’organizzazione storica della fede nelle dottrine e nei riti. Gesù non insegna una nuova religione, ma un modo di essere, di sentire, di relazionarsi con se stessi, con gli altri e con Dio. Il rischio è anche nostro quando appoggiamo la nostra fede alle apparizioni, alle botteghe del sacro, quando la domenica andiamo al tempio per il precetto, per avere il favore di Dio. Gesù ha distrutto l’idea della religione fondata sul commercio: noi facciamo offerte, novene, tridui, per avere in cambio una guarigione, un favore. Lo facciamo perché questo “dio-ragioniere” si ricordi di essere in debito con noi. In realtà non ci sono preghiere, offerte o liturgie che possano comprare il suo amore. Rischiamo così di cercare i suoi doni e non il Donatore! Il vero tempio è Lui, i veri tempi sono i nostri corpi. Quando lo riconosciamo nell’affamato, nell’assetato, nell’ammalato, nel carcerato, noi celebriamo la liturgia della vita.

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Domenica 25 febbraio 2024 - 2 quaresima (Mc 9,2-10)

«Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò su un monte alto». Perché loro soli? Perché in una luogo appartato? I tre discepoli capivano e non capivano. O forse cominciavano a capire che la vita dietro quel Maestro, dopo i primi entusiasmi, cominciava a essere in salita, come il sentiero che li portava sul monte.

«Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò su un monte alto». Perché loro soli? Perché in una luogo appartato? I tre discepoli capivano e non capivano. O forse cominciavano a capire che la vita dietro quel Maestro, dopo i primi entusiasmi, cominciava a essere in salita, come il sentiero che li portava sul monte. Poco prima quel Maestro aveva duramente rimproverato Pietro che si era ribellato all’idea della morte e risurrezione di Gesù. Come capire uno che dice: «chi vorrà salvare la propria vita la perderà?». Perdiamo o salviamo la vita seguendolo? Sono domande che anche noi sentiamo salire da dentro. E, dice il testo, «Si trasfigurò davanti a loro». La luce che abitava nel segreto del Figlio dell’uomo per un attimo illuminava il suo volto e le sue vesti. Una voce diceva: «Questi è il mio Figlio prediletto. Ascoltatelo». Come a dire: vi siete sbagliati. Vale la pena scoltarLo, perdere la vita. la trasfigurazione ne è una conferma. AscoltarLo è assumere il suo volto di amore, di pace , di libertà.

Talvolta si dice che sono le prove a rendere forti le nostre spalle, a renderle sempre più capaci di reggere una prova ancora più grande, come se nella prova ci fosse una sorta di collaudo. Il mistero della trasfigurazione ci sta dicendo che se hai visto una luce puoi affrontare il buio dei giorni più difficili della vita. Non solo, ma ci sta dicendo che la nostra luce, la nostra intelligenza, il nostro impegno non bastano. Il nostro mondo è impregnato di buio, ma è intriso anche di luce. Lo sanno le religioni, lo sanno gli innamorati, lo sanno gli artisti, lo sanno le persone pure. Ce lo ricorderanno i discepoli quando tutto si farà vedendo il loro Maestro preso, incatenato, spogliato, torturato e crocifisso. Il buio non ha fermato quei discepoli, come non ferma molti nei lager o nei gulag, fino ai Navalny dei nostri giorni e tutti coloro che si ostinano a credere nella forza della luce, nell’energia della pace. Il Cristo trasfigurato ci sta dicendo che l’ombra esiste solo dove c’è la luce.

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Domenica 18 febbraio 2024 -1 quaresima B (Mc 1,12-15)

La quaresima non è tempo di una penitenza semplicemente esteriore, ma un’occasione per lasciarci anche noi condurre nel deserto, come Gesù, per mettere ordine nella nostra vita.

La quaresima non è tempo di una penitenza semplicemente esteriore, ma un’occasione per lasciarci anche noi condurre nel deserto, come Gesù, per mettere ordine nella nostra vita. Senza che ce ne accorgiamo, la vita si disordina, si frammenta, si logora in mille pezzetti, dentro il nostro corpo e il nostro cuore. Quando Gesù viene a sapere dell’arresto dell’amico Giovanni Battista, lo Spirito lo spinge nel deserto. Egli sa quanto fosse rischioso continuare la strada del Battista, sa quanti satana e quante fiere avrebbe potuto trovare sulla sua strada. Come i profeti sapeva quanta sordità e opposizione avrebbe trovato anche lui. Eppure nel deserto prepara il suo cuore a fare spazio per le situazioni e le persone che incontrerà. Pur tentato, non scappa, sceglie di rimanere nella fatica e nella lotta di regalare libertà all’uomo prigioniero di tanti fantasmi. Per questo domanda una nuova direzione della vita.

Il deserto è il luogo dove lo Spirito ci porta, dove “mette in crisi” il nostro stile di vita, la nostra mentalità. È tempo della scelta tra due stili di vita che ci attirano, per fare ordine nei nostri pensieri, sentimenti e affetti. Gesù ci indica un percorso di libertà, che ha un suo prezzo. Come bambini noi vorremmo un Diosuper-eroeche risolve tutto. Sono in tanti a cercarlo, anche nella chiesa, dimenticando che la sua è la strada dell’amore e del servizio. Dio non ci toglie i sassi dalla strada, ma ci aiuta a vederli, ad affrontarli. Non cercafollowers, ammiratori che lo seguano, ma gente che attraversa le tentazioni senza evitarle. Gesù aveva conosciuto troppi maestri, religiosi e politici, che non sapevano ascoltare e vendevano per volontà di Dio pareri personali, tradizioni umane, interessi di casta. La storia anche oggi si ripete. L’uomo crede di volere la libertà, ma ne ha una grande paura e accade che per superarla toglie all’altro la libertà di pensiero, non sapendo che sta togliendo l’aria a se stesso.

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Domenica 6 febbraio 2024 - 6 B (Mc 1,40-45)

Del lebbroso del vangelo non conosciamo né il nome, né il volto, perché è ogni uomo. Secondo la Legge è un impuro e per evitare il contagio, doveva gridare: “sono lebbroso, sono impuro!”. Stanco di gridare e di fuggire, va contro la Legge e si avvicina al Nazareno.

Del lebbroso del vangelo non conosciamo né il nome, né il volto, perché è ogni uomo. Secondo la Legge è un impuro e per evitare il contagio, doveva gridare: “sono lebbroso, sono impuro!”. Stanco di gridare e di fuggire, va contro la Legge e si avvicina al Nazareno. Attorno a lui si fa il vuoto e Gesù rimane. Per i sacerdoti il lebbroso è un caso difficile, per Gesù è una persona che ha bisogno. Con tanta discrezione il lebbroso lo supplica: «Se vuoi, puoi purificarmi». Non chiede la guarigione, perché sapeva che dalla lebbra non si guarisce, ma la purificazione. Vorrebbe almeno il contatto con Dio. Ha perso tutto: la famiglia, gli affetti, gli amici. Ha perso anche Dio, perché la religione lo ha reso un disperato. Vive nel paradosso: perché impuro l’unico che può togliergli l’impurità è Dio, ma siccome è impuro non può rivolgersi a Lui. Gesù risponde: «Si, lo voglio». Si commuove, lo tocca, è purificato e lo manda via bruscamente con la proibizione di divulgare la notizia.

Il lebbroso che ha la pelle malata è come un morto che cammino. Rischia di morire di solitudine: ha fame di persone, di una parola, di uno sguardo. Ogni vita se non è toccata dall’incontro muore di silenzi. Per Gesù una carezza vale più della Legge. Due le trasgressioni. Il lebbroso disobbedisce alla Legge avvicinandosi a Gesù e questo la trasgredisce toccandolo. Noi, educati all’obbedienza della Legge, incontriamo oggi un Gesù che la trasgredisce per amore della persona, che viene prima della Legge. Egli non paura del contagio, anzi è Lui stesso che contagia: ascoltando il grido, muovendo il cuore e toccando le ferite. «Se vuoi» dice il lebbroso. Egli pensa che solo quelli che hanno iltagliando in regola, solo chi se lo merita può rivolgersi a Dio. Persone che pensano: “Io che non vivo più con mio marito come posso essere purificata?”, “Io che continuo a cadere negli stessi errori, come posso supplicarlo?”. Credere in un Dio-giudice genera angoscia, credere nel Dio che ama la vita significa sentirlo come nostro alleato.

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Domenica 4 febbraio 2024 - 5 B (Mc 1,29-39)

Le giornate di Gesù erano piene: guarigioni, ammalati, folle, discepoli che non capiscono e la mattino momenti di preghiera. Uscito dalla sinagoga, dove è andato per pregare, lo informano che la suocera di Pietro (quindi era sposato!) ha la febbre.

Le giornate di Gesù erano piene: guarigioni, ammalati, folle, discepoli che non capiscono e la mattino momenti di preghiera. Uscito dalla sinagoga, dove è andato per pregare, lo informano che la suocera di Pietro (quindi era sposato!) ha la febbre. Si dirige verso la sua casa r mostra tutta la sua attenzione per la persona che soffre. Gesù ama il contatto con le persone, prende sempre sul serio il loro vissuto, i loro bisogni. Con il suo comportamento ci dice che il regno di Dio passa attraverso il benessere delle persone. Si avvicina alla malata, la fa alzare, la prende per mano. Letteralmente stringe forte la mano, non ha paura del corpo malato! E mentre il mattino presto pregava, i discepoli lo informano dicendo: «Tutti ti cercano!» risponde: «Andiamocene altrove». Non guariva tutti, ma curava tutti quelli che incontrava, per strada, nei villaggi, sulle piazze.

Anche le nostre giornate sono piene e non ci manca la febbre da lavoro, la febbre da volere sempre di più, la febbre da fanatismo che produce insofferenza e discriminazione per chi è diverso. Il Nazareno sfugge al successo, all’accerchiamento, si ritira in disparte per pregare. La preghiera non è una lista di richieste fatte a Dio o peggio dire a Dio come si fa a fare il suo mestiere, ma si prega perché attraverso la preghiera possa cambiare il nostro modo di affrontare la realtà. La fede non è un discorso, ma un cammino. Gesù ce lo mostra con i fatti che non spiegano il male, ma lo condividono. Si avvicina alla donna che ha bisogno, la fa alzare (è il verbo della risurrezione!), la prende per mano e non ha paura del corpo. La chiesa ha molto da imparare, noi che abbiamo teorizzato il distacco, il non mescolarci, noi che abbiamo seminato il sospetto sul corpo: lui tocca il corpo, e di una donna. Anche oggi Gesù, come la suocera di Pietro, ci prende per mano perché torniamo a servire.

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Domenica 28 gennaio 2024 - 4 B (Mc 1,21-28)

Chi ascolta la parola del Nazareno nella Sinagoga rimane stupito, perché la sua è una parola libera, rispetto alla sua famiglia, alla religione dei sacerdoti e alla Legge.

Chi ascolta la parola del Nazareno nella Sinagoga rimane stupito, perché la sua è una parola libera, rispetto alla sua famiglia, alla religione dei sacerdoti e alla Legge. Lo ascoltano «come uno che ha autorità», cioè come una persona credibile, che traduce con la vita le notizie di Dio che racconta. La sua è la libertà di chi si prende cura, di chi ha bisogno, di chi subisce ingiustizie: «guarisce un uomo posseduto da uno spirito impuro». È una persona colpita da qualche malattia sconosciuta alla medicina di allora. È l’immagine di ogni uomo ammalato, schiavo del male. Egli frequenta il luogo di culto e alla domanda «Che vuoi da noi Gesù Nazareno?», si sente rispondere: «Taci». È il gesto del mettere la museruola. E chiedendo «Sei venuto a rovinarci?», dice una profonda verità: Gesù “rovina” una certa idea di Dio. Per la Sinagoga contava l’appartenenza al gruppo, per Gesù conta rendere umana la vita!

L’uomo di Cafarnao frequenta il luogo sacro, recita le preghiere, eppure in lui abita un demone. Noi oggi possiamo dire che i diavoli accettano la fede della domenica, quella limitata al sacro e alle devozioni. Marco ci dice che la prima liberazione parte da noi stessi, dalla comunità parrocchiale. Gesù capovolge la religione imbalsamata e valorizza la nostra umanità. A suo tempo era stato detto che se credi in Dio devi vigilare sulla tua affettività, perché può essere pericolosa: meglio non dare troppo spazio alla gioia e pensare a chi sta peggio, meglio poco divertimento perché viene dal demonio. Poi arriva Gesù e dice: tutto ciò a cui rinunci “per Dio”, viene da Dio. Pensavamo di agire “in nome di Dio” e agendo “contro Dio” abbiamo mortificato la nostra umanità. Il Nazareno è venuto davvero a rovinarci! È infatti demoniaca la fede chiusa nel recinto sacro dell’incenso e della sacrestia, che non conosce gli odori della strada e il profumo del volersi bene. È venuto a rovinare una finta fede!

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Domenica 21 gennaio 2024 - 3 B (Mc 1,14-20)

«Camminando lungo il mare di Galilea, Gesù vide…». Il Nazareno cammina dentro il quotidiano e guarda, osserva, riconosce chi può diventare suo discepolo e lo chiama. Le sue prime parole sembrano sottolineare l’urgenza: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino».

«Camminando lungo il mare di Galilea, Gesù vide…». Il Nazareno cammina dentro il quotidiano e guarda, osserva, riconosce chi può diventare suo discepolo e lo chiama. Le sue prime parole sembrano sottolineare l’urgenza: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino». È come se dicesse: non dove più aspettare, Dio è entrato nella storia, nella vita delle persone. È diverso da come i sacerdoti l’avevano descritto: è un Dio che dà, non un Dio che chiede. Non castiga, ma perdona. Gesù chiarisce dicendo che non è venuto a fondare una nuova religione, a dare nuove regole o precetti morali, ma annuncia un incontro, una relazione, un nuovo modo di vivere con gli altri. E domanda un cambio di mentalità: «Convertiteti e credete nel vangelo». Infine una promessa: «Vi farò diventare pescatori di persone». Pescati dal Nazareno dovranno imparare a pescare persone.

Cosa avrà visto Gesù in quei pescatori? Perché non è andato a cercare i suoi discepoli, nelle scuola rabbiniche o diremmo oggi nei seminari? Avrebbe trovato persone più preparate! Gesù ha colto chi erano dal modo in cui lavoravano. Dal modo con cui parli a tuo figlio si coglie lo spessore della tua vita. dalla passione che ci metti nel fare le cose si capisce se sei contento. Da come alla fine della giornata aggiusti le tue reti rotte, senza dare la colpa al mondo, si comprende chi sei. Per diventare liberi ciascuno sa quali sono i “legami” da lasciare, le “barche” da abbandonare, i “pesci” da cui separarsi… Il lavoro, gli affetti rappresentano molto nella nostra vita, ma non sono tutto: non sono un idolo a cui tutto va sacrificato. Gente che stordisce trascorrendo ore davanti al televisore, che passa da unhobbyall’altro, da un vetrina all’altra, imprigionata a rispecchiarsi nei proprio bisogni. Gesù ci chiama a pescare persone, a tirarle fuori dall’acqua che le soffoca, che impedisce loro di respirare bene.

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Domenica 14 gennaio 2024 - 2 B (Gv 1,35-42)

Per i due discepoli del vangelo quel pomeriggio non fu un momento come altri. Si trovano in una casa, fuori dai luoghi religiosi e Giovanni fissando lo sguardo sul Nazareno dice «Ecco l’Agnello di Dio».

Per i due discepoli del vangelo quel pomeriggio non fu un momento come altri. Si trovano in una casa, fuori dai luoghi religiosi e Giovanni fissando lo sguardo sul Nazareno dice «Ecco l’Agnello di Dio». A queste parole due suoi discepoli seguono quel maestro che li interroga: «Che cosa cercate?». Gesù si rivolge ai desideri profondi dell’uomo, a qualcosa di vitale. Non fa appello all’intelligenza, ma al cuore. È come se dicesse: che cosa ti manca? Di che cosa hai fame? Quale sete hai dentro? La risposta dei due discepoli è una domanda: «Dove abiti?». In altre parole: dove ti troviamo? Dacci un indirizzo preciso dove poterti venire a cercare quando ti perdiamo di vista. E il Nazareno risponde: «Venite e vedrete». Che significa: state un po’ con me, ascoltate ciò che dico, guardate quello che faccio, osservate come incontro le persone, guardate come mi lascio contaminare dalle ferite.

A chi lo segue Gesù non dà risposte, ma formula domande, invita a guardarci dentro, ad ascoltare la temperatura del cuore, a capire di che cosa ci sentiamo poveri, a conoscere che cosa ci rende insoddisfatti e inquieti. Egli non chiede sacrifici, sforzi, rinunce, ma di muovere i passi verso la vita. Respirare non basta, è necessario vivere. Questo Gesù non lo troviamo nei palazzi, nelle cattedrali, nelle sinagoghe, ma nei luoghi dove scorre la vita: in famiglia, nella piazza, nel cantiere, nell’ambiente di lavoro. Il Nazareno s’incontra anche in chiesa, ma alla condizione che questa apra le porte alla vita e soprattutto alle ferite dell’esistenza. “Stare con lui”, significa stare dalla sua parte, dalla parte dei poveri, dei malati, delle donne ferite, dell’emarginato, dell’immigrato… La politica di Gesù non consiste nel raccogliere voti, ma nel perdere poltrone ed energie purché l’altro stia meglio.

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Battesimo del Signore - 7 gennaio 2024 (Mc 1,7-11)

Gesù è cresciuto e dopo anni di normalità esce allo scoperto. Ci saremmo aspetti un’esposizione originale tipica di chi fa colpo sugli altri, guarendo le masse e compiendo miracoli a ripetizione.

Gesù è cresciuto e dopo anni di normalità esce allo scoperto. Ci saremmo aspetti un’esposizione originale tipica di chi fa colpo sugli altri, guarendo le masse e compiendo miracoli a ripetizione. E invece si mette in fila tra i peccatori. Sceglie una via alternativa e per molti scandalosa, un modo a cui resterà fedele pe tutta la sua vita e che lo porterà a morire sulla croce in compagnia di due delinquenti sul Calvario. Egli fa piazza pulita delle attese di gloria e di potere che l’uomo sogna dentro di sé. Questo episodio per i primi cristiani, e forse ancora oggi per noi, appare imbarazzante raccontarlo: Gesù in fila con i peccatori! Non interessa fermarci a quel po’ di acqua che viene versata sul capo, ma al significato che contiene espressa con le parole: «Tu sei il Figlio mio, l’amato. In te ho posto il mio compiacimento». Il segno del battesimo racconta che Gesù è figlio perché si sente amato.

Lo sa bene il bambino che venendo al mondo, se amato si sente robusto, sicuro, forte. Sviluppa fiducia in se stesso e fa crescere la sua autostima per dare e ricevere amore. Al contrario un bambino non amato, oltre a provare malessere e disagio, lo riconosci negli occhi e nei comportamenti. Egli si trova a respirare l’aria del mondo, senza tuttavia trovare un posto nella vita di quelli che l’hanno messo la mondo. Si sente isolato e percepisce il mondo come una minaccia costante. Si sente confuso, spaesato, crede di essere sbagliato e sviluppa il tipo di senso di colpa di chi non è amato. Diversamente con il battesimo viene annunciato che siamo tutti figli unici, nel senso che Dio ci ama singolarmente, di un amore non meritato. Egli ci dice: «sei il mio compiacimento», tu mi piaci! Se vuoi incontrarmi cercami nelle persone che io ho cercato, nel vicino di casa insopportabile, nel malato da aiutare, nella persona che ti nega il saluto, in quella che al lavoro non perde l’occasione per fati sentire inadeguato… perché proprio provando sulla tua pelle di di essere amato impari ad amare, cioè a regalare vita.

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Epifania del Signore - 6 gennaio 2024 (Mt 2,1-12)

La festa dell’Epifania annuncia l’amore universale di Dio per tutta l’umanità, nessuno escluso. Se a Natale è Dio che cerca l’uomo, all’Epifania è l’uomo che cerca Dio.

La festa dell’Epifania annuncia l’amore universale di Dio per tutta l’umanità, nessuno escluso. Se a Natale è Dio che cerca l’uomo, all’Epifania è l’uomo che cerca Dio. Il paradosso è che a cercarlo non sono coloro che dicono di credere, ma uomini pagani, gente che non sa nulla di Dio. Sono i Magi: conosciuti come astrologi, amanti della saggezza, ricercatori della verità. vengono dall’Oriente, da una terra lontana dal ‘popolo eletto’. Alla notizia che in un luogo sconosciuto è nato un Bambino re, il potere di Erode, i capi dei sacerdoti, gli esperti delle Scritture e tutta la città di Gerusalemme sono turbati, hanno paura e si mobilitano per far fuori il neonato. Al contrario quelli che vengono da lontano cercano il Bambino, provano una grandissima gioia e portano i loro doni. Ecco il paradosso: i vicini “privilegiati” della religione sono ciechi e sordi, mentre i lontani, gli esclusi sono pronti a incontrare il Bambino.

Noi praticanti siamo più a rischio di tutti, perché pensiamo di “possedere” Dio, di avere il monopolio della fede, della morale, della verità. Talvolta ci sentiamo come il megafono di Dio. L’impresa più difficile è di ottenere la conversione dei “cosiddetti buoni”, di coloro che si sentono arrivati. Da un lato l’autorità civile, qui rappresentata dal re Erode, ha previlegi consolidati da difendere. Dall’altro le autorità religiose – come diceva Gesù – «dicono e non fanno». Da credenti nomadi cercatori di Dio, siamo diventati sedentari che hanno smesso di cercare. Epifania è la festa dei cercatori di Dio, dei lontani che insieme si sono messi in cammino e ci dicono: hai trovato il Bambino? Ti prego, cerca ancora: nelle pieghe della storia, nelle ombre della vita, nella luce di tanti volti, nel cuore delle persone. Mettiti in viaggio verso le persone e troverai Dio! Perché il Dio cristiano non è quello dei libri, ma della carne, non quello della dimostrazione, ma del respiro che ti fa vivere.

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1 gennaio 2024 - Maria madre di Cristo (Lc 2,16-21)

Nella liturgia del primo giorno dell’anno civile la chiesa celebra Maria come Madre di Dio. In realtà sarebbe più corretto chiamarla “madre di Cristo”, per evitare le sia attribuito anche la maternità di Dio Padre. Maria non è una divinità!

Nella liturgia del primo giorno dell’anno civile la chiesa celebra Maria come Madre di Dio. In realtà sarebbe più corretto chiamarla “madre di Cristo”, per evitare le sia attribuito anche la maternità di Dio Padre. Maria non è una divinità! Come potrebbe Dio avere una madre? All’inizio dell’anno la chiesa pone di nuovo al centro il dono che Dio ha fatto all’umanità nella persona di Gesù. Dare alla luce un figlio è qualcosa di nuovo e la novità ci spaventa perché ancora non la conosciamo. Il nuovo ci costringe a rimetterci in gioco e la cosa ci disturba. Il Bambino Gesù suscita due reazioni. Dapprima, senza paura, i pastori si mettono alla ricerca del Bambino e dopo averlo trovato riferiscono quello che avevano visto e udito, onorando e lodando Dio. L’altra reazione suscitata è quella di Maria, la quale custodiva i fatti  e li meditava nel suo cuore: li esaminava e li interpretava, cercandone il vero senso.

Due i messaggi che ci arrivano. Innanzitutto descrivendo i pastori si dice che quelli che la religione considera i più lontani da Dio, per il vangelo sono i più vicini a Dio. Non sono i personaggi romantici che oggi riempiono i nostri presepi, ma erano considerati delinquenti, dei ladri, dei lontani da Dio perché vivevano in uno stato di impurità. Il secondo messaggio ce lo offre Maria, la quale intuisce che nell’annuncio dei pastori c’è tutta la novità di quel Figlio che ha tra la braccia. Non ha capito tutto, ma sa aspettare, lasciando che questa novità si depositi nel cuore. Chi va a cercare questo Bambino nei sacri palazzi non lo trova, non lo trova nei regali, nei botti, nei messaggi artificiali e impersonali mandati suisocial... Egli sa di latte e di emozioni, di lacrime e di sorrisi, di voce materna e di sguardo attento…Ènato per risanare un mondo lacerato, in cui tutti parlano di pace e cercano guerra. Questo neonato Bambino sembra dirci: vuoi contribuire alla pace nel mondo? vai a casa e ama la tua famiglia.

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Domenica 31 dicembre 2023 -Famiglia di Nazareth – B (Lc 2,22-40)

A pochi giorni dal Natale la liturgia ci invita a celebrare la festa della famiglia di Nazareth. Maria e Giuseppe portano il Bambino al tempo per presentarlo a Dio secondo la tradizione, ma non fanno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo Simeone e di una donna Anna se lo contendono, lo vogliono tra le braccia.

A pochi giorni dal Natale la liturgia ci invita a celebrare la festa della famiglia di Nazareth. Maria e Giuseppe portano il Bambino al tempo per presentarlo a Dio secondo la tradizione, ma non fanno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo Simeone e di una donna Anna se lo contendono, lo vogliono tra le braccia. In realtà il bambino Gesù non appartiene al tempio, ma all’uomo che sa attendere, che sa guardare lontano, oltre l’apparenza. Appartiene a Simeone che sa vedere oltre o ad Anna che rimane incantata davanti a un neonato nel quale vede il futuro di Dio. Gesù non accolto dai sacerdoti del tempio, ma un anziano e da un’anziana senza nessun ruolo ufficiale nel tempio: sono due nonni orientati a Dio come girasoli alla luce e vedono ciò che altri non riescono a  vedere. Nemmeno Maria e Giuseppe non sanno vedere. Entrambi non capiscono chi è quel Figlio: Giuseppe non capisce il sogno, Maria non comprende le parole dell’angelo, è dubbiosa sotto la croce…

Quella di Nazareth è una famiglia in carne e ossa, tipica di ogni famiglia, dove non mancano le incertezze sui propri figli, le ansie per il loro futuro, la fatica di capirli. Simeone fa una profezia su Maria: il Bambino è motivo di caduta perché fa cadere le tue maschere e le tue falsità; è segno di contraddizione, presenza ingombrante che contesta i tuoi progetti e i tuoi pensieri, tutto ciò che non è amore; è qui per la risurrezione, perché ti fa risorgere, ti prende per mano, ti fa rialzare quando credi che per te è finita. Gesù vive e lavora in famiglia fino all’età di trent’anni nel silenzio del quotidiano, in cui conosce la spiritualità del sacrificio, la mistica dei calli alle mani, la teologia del sudore. Oggi diremmo la spiritualità del pannolino o del pannolone, la mistica del ferro da stiro, la teologia della vendita e dell’acquisto. Non esiste una sola forma di famiglia: c’è la famiglia con o senza figli, quella separata/divorziata, quella che adotta o accoglie in affido… E tutti, come Maria e Giuseppe, in fatica a capire i figli. Ci consola che non sono nostri, ma appartengono a Dio, al futuro che non ci è dato di controllare.

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Natale 2023 (Lc 2,1-14)

«Un angelo del Signore si presentò ai [pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore».

«Un angelo del Signore si presentò ai [pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore». Questo timore non è la paura che paralizza, ma il rimanere davanti a quel Dio che guarisce le nostre paure, è il timore di Dio di chi si sente ospite sulla terra, è il timore di Dio di chi vivendo all’ombra avverte il fastidio della luce, è il timore di Dio di chi guardando il cielo si sente piccolo, è il timore di Dio di chi riconosce in Lui una grandezza non paragonabile alla nostra.

 

O Dio Bambino fa che abbiamo paura di chi dice di amare e poi accoltella la vita,

non manchi il nostro rispettoso timore per chi la difende.

O Dio Bambino fa che abbiamo paura di chi brucia l’incenso

e poi per interessi politici ed economici brucia i bambini.

O Dio Bambino fa che abbiamo paura di chi spezza il pane la domenica

e lungo la settimana spezza i corpi di chi lavora, del diverso, dell’immigrato.

O Dio Bambino fa che abbiamo paura di chi vive nella notte

e il timore sincero per chi non teme la luce del giorno.

O Dio Bambino fa che abbiamo paura di chi ha capito tutto dalla vita

e ispiraci il garbato timore di salutarlo e cambiare strada.

O Dio Bambino fa che abbiamo paura di chi ci insegna la diffidenza dell’altro

e regalaci di attraversare la vita con il timore e la fiducia che merita.

O Dio Bambino con la paura ci vogliono imprigionare dentro una fortezza senza muri,

e, grazie al consumo e al divertimento, soffocare ogni timore e amare la schiavitù.

O Dio Bambino non ci manchi la paura di offendere le persone che amiamo

e cresca in noi il timore di non ingannarle e di non deluderle.

O Dio Bambino fa che abbiamo paura di chi allarga i cimiteri,

non ci manchi il timore di piantare uliveti tra famiglie, tra parentele, tra popoli.

O Dio Bambino fa che nessun altro sia sacrificato sugli altari dell’opportunità politica

e donaci il timore perché la dignità di ogni persona sia rispettata, onorata, difesa.

O Dio Bambino fa che abbiamo paura di consumare il pasto della pace da soli

e dacci il timore di condividerlo nei pasti della memoria con cristiani, ebrei e musulmani.

 

Almeno una volta in vita tutti abbiamo avvertito il sentimento della possibile ambiguità di Dio: dietro un volto apparentemente buono e promettente, ne nasconde forse uno preoccupante e minaccioso. Un’idea che soffia sul fuoco della paura e ci fa sentire nudi ed esposti di fronte a un Dio immaginato al modo di un Faraone strapotente, che non fa mancare favori e dispensare disgrazie. È la religione della paura, del sentirsi servili. In realtà il Bambino, che è il Signore Gesù, fino alla misura colma della morte in croce riscatta i poveri, i ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i peccatori, cioè noi, che non raramente siamo i devoti della religione della paura. A Natale siamo invitati a praticare, come i pastori, una forma di timore di Dio che non ha nulla a che vedere con lo sfruttamento della paura e con l’esercizio del potere. È il timore di noi piccoli e prudenti amici che sanno di rivolgersi alla grandezza dell’Amico maiuscolo, perché ci restituisca quella fiducia di vivere che talvolta ci manca. Il timore di Dio respinga ogni paura di Lui, nasca la fiducia nella vita e sarà Natale!

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Domenica 24 dicembre 2023 - 4 Avvento B (Lc 1.26-38)

L’angelo Gabriele, con le sue ali spiegate, vola via dal tempio, dall’anziano sacerdote senza parola va verso una giovane laica, dalla città santa Gerusalemme si reca a Nazareth un villaggio senza storia,

Domenica 24 dicembre 2023 - 4 Avvento B (Lc 1,26-38)

L’angelo Gabriele, con le sue ali spiegate, vola via dal tempio, dall’anziano sacerdote senza parola va verso una giovane laica, dalla città santa Gerusalemme si reca a Nazareth un villaggio senza storia, da una figura maschile va verso un figura femminile. Dall’unico tempio va verso una casa come tante altre, dove in modo appartato e silenzioso si è accesa la fiamma della vita che si apre come finestra sul cielo. È questo l’inizio del vangelo: Dio esce dal recinto del sacro per immergersi nella normalità della vita quotidiana, non fra incensi e candelabri, ma fra pentole e telai, non fra melodie e preghiere, ma fra stanchezze e speranze, fra debolezze e attese. La prima parola dell’angelo è chiara: sii felice Maria. Non le ordina di inginocchiarsi, di obbedire, di pregare, di andare al tempio, ma di essere contenta. Poi aggiunge il motivo della gioia: sei piena di grazia, Dio ti ha amata per sempre e il figlio che nascerà è il figlio di Dio. Maria è sbalordita e reagisce con una domanda: come è possibile?

L’interrogativo di Maria è il nostro: perché l’angelo dice cose strane? Dio è uno e non ha figli. Ma nel vangelo gli angeli vengono proprio per dire questo: che l’impossibile è diventato possibile. Il cielo si nasconde nella carne umana, l’infinito mimetizzato nel sangue di una donna. Ospitare questo Bambino dentro di noi è far nascere l’impegno per una società più giusta, nonviolenta, senza discriminazioni. Stiamo attenti a non travisare il Natale. I discorsi natalizi carichi di emozione delle messe di mezzanotte, dello spettacolo televisivo e le “orge” caritative di questi giorni, rischiano di essere vernici che coprono con un mantello religioso le ingiustizie, le prepotenze e le falsità. Non si tratta di meravigliaci della vita che nasce nel grembo di Maria, ma di ospitarlo anche dentro di noi per recuperare la fiducia nella vita che non raramente è messa alla prova. Anche a noi l’angelo ripete: sii felice, non dare per scontata la vita che ti è regalata, perché Dio non si è dimenticato di te.

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Sergio Gaburro Sergio Gaburro

Domenica 17 dicembre 2023 - 3 Avvento B (Gv 1,6-8.19-28)

Ogni anno il cammino di Avvento verso il Natale ha come compagno di viaggio una figura strana che mentre ci rende curiosi nello stesso tempo ci provoca: è Giovanni il battezzatore.

Ogni anno il cammino di Avvento verso il Natale ha come compagno di viaggio una figura strana che mentre ci rende curiosi nello stesso tempo ci provoca: è Giovanni il battezzatore. Secondo il vangelo ascoltato appartiene alla razza dei “dirottatori”, non di aerei, ma di vita fatta di vangelo. Il Battista è colui che invita a cambiare rotta. Alla domanda “Tu chi sei?”, per tre volte risponde: io sono voce, sono grido, eco di un Altro: solo Dio è la parola. Il battezzatore non è la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. È come se dicesse: vi siete ingannati, avete sbagliato la meta del viaggio. Siete venuti a cercare me, ma è un altro che dovete cercare. Cambiate direzione. Andate alla ricerca dei segni: «In mezzo a voi» – avete capito bene – in mezzo a voi «sta uno che non conoscete». È uno che fa cambiare direzione, è il “dirottatore” dei passi di chi cammina verso la meta che inganna.

Il Battista grida il contrasto della vita: è il grido del bambino che nasce e il grido crocifisso di ogni morente. Egli è testimone della luce e non dell’ombra, sentinella del bene e non del degrado del mondo. Ripetendo per tre volte “io non sono”, fa cadere le maschere. Non sono ciò che gli altri credono di me, non sono il mio ruolo, la mia immagine e nemmeno il mio peccato. Non sono la persona importante che vorrei essere, né la persona sbagliata che temo di essere. Sono voce, eco, risonanza di un Altro maiuscolo. Ce la immaginiamo oggi una chiesa che a quelli che corrono verso i santuari, alle porte sante, riesce a dire: avete sbagliato meta, non sono io.Il santuario, quello vero, è un altro: è Gesù e voi non lo conoscete,mentre come Chiesa esco di scena è lui che deve entrare, io Chiesa non sonoCristo,ma la sua eco che rinvia a quel Bambino che permette di ritrovare la bussola della vita.

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Sergio Gaburro Sergio Gaburro

Domenica 10 dicembre 2023 -2 Avvento B (Mc 1,1-8)

«Inizio del vangelo di Gesù Cristo». È l’inizio della buona notizia per ricominciare a vivere. L’invito è a non ricominciare dai problemi, dal pessimismo, da un cattiva notizia, ma dalle buone notizie di Dio ne prende atto che il nostro rapporto con Lui non è più basato sull’osservanza della Legge, ma sulla consapevolezza che siamo gente già amata.

«Inizio del vangelo di Gesù Cristo». È l’inizio della buona notizia per ricominciare a vivere. L’invito è a non ricominciare dai problemi, dal pessimismo, da un cattiva notizia, ma dalle buone notizie di Dio. Si tratta di prendere atto che il nostro rapporto con Lui non è più basato sull’osservanza della Legge, ma sulla consapevolezza che siamo gente già amata. L’appello alla conversione battesimale di Giovanni Battista non va inteso come ritorno alla religione, ai riti, alle preghiere, ma come immersione nella libertà di chi impara ad amare. A quel tempo il battesimo indicava una nuova realtà della persona. Quando, per esempio, a uno schiavo veniva data la libertà si immergeva nell’acqua, moriva simbolicamente lo schiavo ed emergeva una persona libera. Il battesimo, quindi, era un segno di morte al passato per iniziare una vita nuova. Non solo, ma se il perdono dei peccati avveniva portando al tempio dei sacrifici, con Gesù avviene attraverso un profondo cambiamento di vita.

Oggi, non pochi cristiani praticanti si pensano credenti per le pratiche religiose che accettano, anche se non ne conoscono il significato. In realtà “convertirsi” significa smettere di pensare che per raggiungere Dio si debba diventare più buoni, dire tante preghiere, fare tante penitenze, ma vivere per gli altri. La conversione Gesù la chiede a tutti, anche a chi non lo segue. Non si tratta di aumentare le prestazioni religiose, ma di essere diversi. Il Battista annuncia uno che sarà più forte di lui. Non è la forza fisica, prodigiosa, ma di chi ha il coraggio di amare fino alla croce. È l’audacia di chi all’ospedale regala un sorriso e un conforto, è la coppia che allarga la propria casa per prendere in affido un bimbo, è il giovane che dedica il pomeriggio ad aiutare chi fatica a scuola, è la famiglia che apre la porta ai parenti anziani… Sono questi i profeti che esistono ancora. Non vestono pelli di cammello, ma i vestiti di tutti i giorni.

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Sergio Gaburro Sergio Gaburro

8 dicembre 2023 Immacolata (Lc 1,26-38)

Nel giorno in cui la chiesa celebra la festa di Maria come immacolata, torniamo al vangelo. Si narra di una ragazza tra le tante, occupata nelle sue faccende di casa e nei suoi pensieri, quando l’angelo Gabriele entrò da lei.

Nel giorno in cui la chiesa celebra la festa di Maria come immacolata, torniamo al vangelo. Si narra di una ragazza tra le tante, occupata nelle sue faccende di casa e nei suoi pensieri, quando l’angelo Gabriele entrò da lei. In questo modo l’evangelista Luca ci dice che Dio ci sfiora e ci tocca nella vita quotidiana, nella nostra casa. Lo fa in un giorno di festa, nel tempo delle lacrime e non prova imbarazzo se ci trova impreparati. La prima parola dell’angelo che dice «Rallegrati› non è un semplice saluto come noi diciamo “buongiorno”, ma è un invito a gioire, a essere contenta. Il motivo è presto detto: Dio ti ha colmata del suo amore: sei amata per sempre. Dicendo che è “immacolata” la chiesa intende esaltare l’azione “generante” di Dio cha dà l’avvio alla vita del bambino Gesù.

Il vangelo ci aiuta a liberare Maria da tutte quelle costruzioni che l’hanno allontanata da una vita vera. È una ragazza del popolo, in carne e ossa, con i suoi pensieri, le sue sofferenze e le sue gioie. Diversamente avremmo una sorta di Maria disidratata, una candida statua di gesso fuori dalla realtà. Purtroppo non è mancato il rischio di renderla un puro simbolo, rivestita di una “corona di privilegi” tanto da allontanarla dalle Scritture e dalla vita reale delle donne. Maria, la ragazza di Nazareth, alla luce del vangelo forse ci sta chiedendo di non allontanarla dalla vita reale, di sospettare di quei modelli di credenti che sono privi di vita quotidiana, persone tutte pure e tutte sante che lasciano il sospetto di una costruzione, di un artificio, di un inganno. Non è “piena di grazia” perché ha detto “sì” a Dio, ma perché Dio ha detto “sì” a lei, prima che risponda. Così Dio continua anche oggi a dire il suo “si” a noi.

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Sergio Gaburro Sergio Gaburro

Domenica 1 Avvento B (Mc 13,33-37)

Iniziamo oggi il tempo liturgico dell’Avvento che ci dispone al Natale. L’Avvento non è un “bel giochino” in cui si fa finta che il Bambino non sia ancora venuto e aspettiamo che nasca. Gesù è già venuto, è in mezzo a noi: siamo noi che ce lo dimentichiamo e viviamo come se non fosse ancora impastato con la nostra carne.

Iniziamo oggi il tempo liturgico dell’Avvento che ci dispone al Natale. L’Avvento non è un “bel giochino” in cui si fa finta che il Bambino non sia ancora venuto e aspettiamo che nasca. Gesù è già venuto, è in mezzo a noi: siamo noi che ce lo dimentichiamo e viviamo come se non fosse ancora impastato con la nostra carne. Non raramente si è usato questo brano del vangelo per creare la paura della morte improvvisa, quando Dio, il padrone di casa, a sorpresa arriva. Egli sembra giocare a fare scherzi di cattivo gusto. In realtà ci invita a fare tesoro della nostra vita, a non addormentarci, a tenere gli occhi ben aperti come le sentinelle nella notte. Dicendo che il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo… il testo biblico non parla della fine del mondo, ma del suo significato. Ci sta dicendo che il mondo è fragile e anche le istituzioni, la società, l’economia, la famiglia e la nostra stessa vita sono molto fragili. Dio si attende e viene nella nostra ricerca di legami.

Siamo fragili, ma è appoggiando una fragilità sull’altra che insieme sosteniamo il mondo. Il rischio è di farci trovare addormentati, di non accorgerci di chi ci sfiora in casa, di chi ci rivolge la parola, dei naufraghi di Lampedusa, di questo pianeta depredato, dei germogli di speranza che spuntano. Chi conosce più di tutti l’attesa sono le madri, quando per nove mesi l’imparano aspettando che in loro lieviti una vita nuova. Non è l’attesa inquieta, ma quella gioiosa dei genitori che aspettano la nascita del loro bimbo, quella delle sentinelle quando l’alba sembra non arrivare mai, quella degli amanti della vita. Le nostre stesse chiese sono addormentate, quando favoriscono il sonno. È il caso del “bravo cattolico” della pratica domenicale, che non si adopera contro le manipolazioni televisive, contro le cause della povertà, contro le radici delle discriminazioni e si accontenta di riti e parolepre-masticate. Forse il Bambino che attendiamo ci chiede come chiesa di abbandonare la terra ferma della sicurezza, per andare verso la sponda insicura ed evangelica dell’incontro con gli altri.

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Domenica 21 novembre 2021 - Cristo re - 34 – B (Gv 18,33b-37)

In quest’ultima domenica dell’anno liturgico il vangelo pone la figura di Gesù di fronte a Pilato. Quest’ultimo è l’uomo del potere e della paura. Lo scontro è tra Gesù, la potenza nascosta nella debolezza e la debolezza mascherata dal potere. In questo contesto è difficile stabilire chi sia il giudice e chi l’accusato.

In quest’ultima domenica dell’anno liturgico il vangelo pone la figura di Gesù di fronte a Pilato. Quest’ultimo è l’uomo del potere e della paura. Lo scontro è tra Gesù, la potenza nascosta nella debolezza e la debolezza mascherata dal potere. In questo contesto è difficile stabilire chi sia il giudice e chi l’accusato. Per il procuratore romano l’interrogatorio risulta alquanto imbarazzante quando per due volte domanda: «Sei tu il re dei giudei?». In realtà nessuno poteva essere il re dei giudei, tantomeno una persona disarmata, senza esercito, non violento. Possibile che quel galileo indifeso sia a capo di una rivolta, un pericolo per Roma? Gesù ripete che il suo regno non è di questo mondo e per questo Pilato non capisce di quale mondo stia parlando. Gesù non è un re che tiene in mano uno scettro ma ha le mani forate, non porta in testa una corona d’oro ma dei chiodi, non siede su un trono prezioso ma il suo piedistallo è una croce. quanto è difficile rimuovere dentro di noi l’idea che l’onnipotenza di Dio consiste nell’amministrare il mondo e le persone in modo autoritario! Gesù ci rivela di essere un Re differente, la cui potenza sta nell’amore. 

Come ha detto a suo tempo a Pietro, oggi ripete anche a noi «metti via la spada», altrimenti la ragione sarà sempre del più forte e del più violento. Per i regni della terra l’essenziale è vincere, per il regno di Gesù l’essenziale è dare. Se i servi del re combattono per i loro signori, nel regno di Gesù è il re che si fa servitore dei suoi. Gesù è un re che non spezza nessuno, ma spezza se stesso, non versa il sangue di nessuno, ma versa il suo sangue. Per Lui l’altro conta più della sua vita. In un tempo in cui i capi politici mondiali non raramente rivendicano a se stessi pieni poteri, sentendosi autorizzati ad intervenire con forza per debellare i presunti ‘nemici’, dichiarando guerra al grido: ‘nessuna pietà’, oggi ci viene presentata la figura di Cristo Re crocifisso. Siamo sicuri di voler credere in un Dio così? Pensiamoci bene prima di rispondere, perché è un Dio senza bacchetta magica, che si china e lava i piedi degli altri, un Dio che non toglie il dolore, ma lo condivide, che non salva dalla morte ma nella morte, che perdona i suoi assassini e che sceglie come primo beato da canonizzare un delinquente crocifisso come lui. I re della terra prolungano tante leggi, lui una sola: «amatevi»! Anche oggi ci sono dei poveri che sotto un manto di stenti sono dei veri re, delle donne ferite dalla vita che sono delle vere regine, dei malati che sono dei signori capaci di stare in piedi con grande dignità: tutti discepoli del vero Re Gesù di Nazareth. In questo modo Gesù ci sta dicendo che il potere vero, quello che cambia il mondo, è la capacità di amare. 

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Domenica 14 novembre 2021 - 33 B (Mc 13,24-32)

Mentre ci avviciniamo al termine dell’anno liturgico Gesù ci educa alla speranza che non raramente è messa alla prova. Ai nostri giorni non smettiamo di fare l’esperienza drammatica del conflitto fra il bene e il male, percepiamo la bellezza e la fragilità dell’amore, avvertiamo in noi il desiderio di una giustizia che superi quella dei tribunali e ci chiediamo che cosa resterà di tutto questo.

Mentre ci avviciniamo al termine dell’anno liturgico Gesù ci educa alla speranza che non raramente è messa alla prova. Ai nostri giorni non smettiamo di fare l’esperienza drammatica del conflitto fra il bene e il male, percepiamo la bellezza e la fragilità dell’amore, avvertiamo in noi il desiderio di una giustizia che superi quella dei tribunali e ci chiediamo che cosa resterà di tutto questo. Mentre sperimentiamo il nostro limite e la nostra fragilità ci viene detto che la Parola di Dio non passa, non ammuffisce, non invecchia. È un messaggio controcorrente. Si tratta di rimanere in una attesa che si nutre di fiducia, consapevoli che Dio non chiude il suo cuore, non si dimentica di noi. Anzi paradossalmente ci dice che la fragilità della storia è simile alle doglie del parto che fa nascere qualcosa di nuovo, che le fatiche della vita corrispondono all’uscire dalla notte alla luce. Gesù parlando del sole che si oscurerà, della luna che non darà più luce e delle stelle che cadranno, non profetizza la fine del mondo, ma il significato del mondo, nascosto nelle sue pieghe. La speranza a cui Gesù ci educa è simile alla prima fogliolina di fico che spunta sul tronco apparentemente secco.

Noi siamo testimoni che ogni giorno cadono molti punti di riferimento, vecchie cose che vanno in frantumi, programmi che si sciolgono come neve al sole. Quante volte si è spento il sole nella nostra vita, quante volte le stelle sono cadute a grappoli dal nostro cielo, lasciandoci vuoti, poveri, incapaci di sognare il meglio per noi e per gli altri. Una disgrazia, una malattia, la sentenza di un medico, la morte di una persona cara, una sconfitta nell’amore, un tradimento, una relazione diventata muta. E in questi momenti siamo stati costretti a ripartire, recuperando un’infinita pazienza per ricominciare, per ritrovare un nuovo equilibrio. Quante volte la vita ci chiama a guardare oltre l’inverno, a credere nell’estate che comincia con piccoli segni quasi invisibili, con un germoglio su un ramo che pareva ormai morto. Noi spesso confondiamo l’attesa con l’aspettativa. L’aspettativa è della persona che prende tempo perché si avveri ciò che ha già stabilito, mentre l’attesa non ha un oggetto: è l’apertura all’imprevisto. L’aspettativa vuole tutto e subito, l’attesa si nutre di fiducia. L’aspettativa genera ansia, l’attesa genera pace. Chi aspetta vuole vedere ciò che ha previsto, mentre chi spera gli capita di toccare con mano con ciò che non sperava. Gesù ci sta dicendo che per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte e che nemmeno la notte più buia può impedire al sole di sorgere ancora.

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